Torniamo in piazza. Non contro, ma per. Giovedì mattina a Milano, ma anche in altre città italiane. Le persone con disabilità, i familiari, le associazioni di tutela dei cittadini, uniti davanti al Pirellone, simbolo della Regione Lombardia, in piazza Duca d’Aosta, quella della stazione appena ristrutturata quasi ignorando una qualsiasi idea di progettazione inclusiva, saranno lì, dalle 11, per mostrarsi e per mostrare collettivamente la paura che ora si sta inevitabilmente insinuando quando si pensa al futuro prossimo dei servizi più importanti ed essenziali, sin qui faticosamente garantiti dalle leggi nazionali e regionali, e dal lavoro dei Comuni.
Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità, lo ha scritto con grande semplicità e chiarezza: “Tutti i servizi sociali erogati dai Comuni in Lombardia sono oggi a rischio e messi in discussione: assistenza domiciliare, vita indipendente, centri socio educativi, servizi di formazione all’autonomia, comunita’ alloggio – elenca la Ledha – per non parlare degli interventi nel campo del tempo libero, del lavoro e dell’inclusione sociale. Per via dell’entita’ dei tagli ai fondi sociali decisi dal Governo, la Regione Lombardia si vede alle prese con un drastico taglio alle risorse che di conseguenza si riversa sui Comuni lombardi, i quali dovranno fare a meno per quest’anno di 35 milioni di euro e per l’anno prossimo di circa 110 milioni. La notizia sta destando grande preoccupazione tra le persone con disabilita’, le loro famiglie e organizzazioni, ma come e’ evidente la questione riguarda tutti i cittadini che, a diverso titolo, si rivolgono e usufruiscono di servizi sociali comunali”.
Ma è, secondo me, nella sostanziale adesione dell’Anci, l’associazione dei Comuni, la chiave per comprendere la gravità della situazione: “In questi anni i Comuni lombardi hanno incrementato la spesa sociale di circa il 20% diminuendo la spesa per investimenti – scrive a Ledha Attilio Fontana, presidente di Anci Lombardia – Con i provvedimenti prima ricordati si mettono radicalmente in discussione servizi essenziali. Per questo abbiamo chiesto in modo pressante alla Regione di reintegrare i fondi per le politiche di ambito, di istituire un fondo per la non autosufficienza e di ritenere punto fondamentale a difesa dell’uguaglianza sociale tra i cittadini la garanzia di destinare le poche risorse economiche a disposizione a chi ne ha veramente bisogno. Non è possibile affrontare la complessità e la pluralità di richieste di sostegno senza un’adeguata analisi della situazione economica di ogni richiedente.”
Due cose emergono con chiarezza da queste frasi: i tagli decisi dal Governo penalizzano non solo i servizi alle persone più fragili, ma gli investimenti, ossia lo sviluppo economico e infrastrutturale dei Comuni, dunque penalizzano proprio la ripresa economica che si vorrebbe appoggiare. In queste ore di analisi del voto, qualcuno dovrebbe fermarsi a pensare perché i cittadini stanno cercando con forza il cambiamento. Non per la simpatia delle facce dei candidati, ma per la sostanza dei problemi economici e sociali che li riguardano da vicino.
La seconda nota, inquietante, è quell’accenno neanche tanto larvato, alla partecipazione alla spesa per i servizi. Fornirli solo a chi “ne ha veramente bisogno” significa due cose. Prima di tutto conferma che i servizi socio-sanitari vengono ancora ritenuti “non essenziali” (e questo, in mancanza cronica dei Lea e dei Liveas, appare evidente a tutti), e poi apre la porta a una nuova guerra tra poveri. Perché la scelta dietro l’angolo potrebbe, in mancanza di risorse nuove, quella di ridurre ulteriormente o eliminare quei servizi innovativi e civili, come i progetti di vita indipendente, i servizi domiciliari, i servizi diurni, i trasporti, le comunità alloggio.
Per il momento la Regione Lombardia ha deciso di tenere botta, e di compensare in modo autonomo le mancate entrate dallo Stato: una scelta di notevole importanza, perché dimostra non solo la comprensione del problema e delle sue gravi ricadute, ma perché si pone come interlocutore credibile per cercare, attraverso la mobilitazione e l’informazione, una soluzione stabile e positiva per gli anni a venire.
Di questi temi ora bisogna assolutamente parlare. Qui non ci sono ideologie o schieramenti, ma persone e famiglie. Di qui si passa, tutti insieme, per mantenere unito il Paese, attraverso un’idea concreta di welfare, che sembra essersi dissolta, sotto i colpi di una crisi economica, per la quale l’unica ricetta sembra essere quella dei tagli e delle sforbiciate nei confronti di ha meno potere, di chi ha meno voce. Ma è una battaglia che si può, si deve, ragionevolmente vincere.
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