Colpisce, in queste ore, l’incapacità di leggere correttamente e con completezza la portata delle scelte operate dal ministro Tremonti, all’interno della manovra finanziaria approvata a tempo di record dal Parlamento, per evitare – lo verificheremo presto – tracolli del nostro Paese sotto i fendenti della speculazione internazionale. Io stesso ho dovuto leggere più volte il testo, come sempre approfondito, minuzioso ed esauriente, di Carlo Giacobini su Handylex.org (lo consiglio a tutti coloro che nelle prossime settimane vorranno o dovranno aprire la bocca su questi temi), prima di coglierne appieno la profondità e l’ampiezza della preoccupazione. Ne riporto, qui, solo una frase, che rende perfettamente l’idea: “Non solo l’iter di approvazione della Manovra è stato rapidissimo, ma dopo la prima stesura sono intervenute modificazioni per renderla ancora più incisiva sul piano dei conti: recuperare con certezza 24 miliardi dagli interventi su fisco e assistenza. Ciò ha comportato l’approvazione di un comma che prevede una diminuzione di moltissime agevolazioni fiscali per la maggioranza dei contribuenti. Per l’esattezza la diminuzione sarà pari al 5% dal 2013 e al 20% nel 2014. Gran parte di queste riduzioni riguardano le famiglie e investono le più comuni detrazioni e deduzioni che la maggioranza dei contribuenti applica al momento della presentazione della denuncia dei redditi: detrazioni per lavoro dipendente, deduzioni per la prima casa, detrazioni forfettarie per carichi di famiglia (figli, coniuge…), detrazioni per spese sanitarie e così via. Fra le agevolazioni viene ridotta anche la possibilità di dedurre le spese mediche di assistenza specifica per le persone con grave disabilità (es. infermiere, terapista) nonché di detrarre le spese per ausili, veicoli, sussidi tecnici informatici, cani guida per non vedenti, deduzioni e detrazioni per le badanti. Questa riduzione sostanziale inciderà su tutte le famiglie ma in modo ancora più decisivo sui nuclei in cui è presente una persona anziana non autosufficiente o con disabilità”.
Rimando a questo articolo, per una lettura dettagliata, indispensabile per capire. Giacobini non è persona faziosa: ormai da tanti anni, assieme alla Fish, cerca di fornire strumenti positivi e corretti di analisi dei costi e dei servizi, per tradurre i principi contenuti nella legislazione sociale e sanitaria del nostro Paese in buone prassi, compatibili con le esigenze di contenimento e di razionalità della spesa – e soprattutto di correttezza ed equità sostanziale, a parità di condizione e di diritto soggettivo – mettendosi spesso nell’ottica del legislatore e dell’amministratore pubblico, direi perfino del tecnocrate che si adopera per ottimizzare l’apparato burocratico e assistenziale, farraginoso e complesso, del nostro Paese.
Frutto di questa cultura riformatrice, mai clientelare, mai corporativa o “di categoria”, è una serie di risultati sorprendentemente efficaci nel campo della normativa fiscale, e delle agevolazioni alle persone e alle famiglie, che ha significato, nel tempo, l’incentivazione attiva di scelte, perfino di consumi intelligenti, tali da consentire lo sviluppo di progetti di vita, attorno e con le persone con disabilità. Penso agli ausili, all’assistenza personale, alla vita indipendente, alla guida, alla mobilità personale, ai permessi lavorativi, all’inclusione scolastica, e via elencando. Un lavoro fatto di mediazione, di studio, di documentazione, di confronto con i ministeri, con gli esperti, con i responsabili della previdenza. Non sempre si vince, ma nel complesso, per oltre un decennio, la strada aperta dalla legislazione nazionale (dalla ormai storica legge 104 fino almeno alla legge 68/99 sul lavoro, senza contare, più di recente, la legge anti discriminazione 67/2006, e l’adozione della Convenzione Onu) è stata comunque positiva, indipendentemente da chi, al momento, fosse chiamato a governare il Paese.
Resto quindi molto colpito, adesso, nel leggere, nell’ampia analisi di Carlo Giacobini, una frase come questa: “Diviene, quindi, centrale l’approvazione della legge delega sulla riforma del fisco e dell’assistenza, ma con queste premesse anche l’attesa “riforma” ha tutte le premesse per rivelarsi molto rischiosa per le persone anziane o con disabilità. Si noti quella frase citata poco sopra: “eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali”. Che significa “si sovrappongono”? Il fatto stesso che ci si possa porre questa domanda significa che c’è ampio margine di discrezionalità per poter decidere – in un domani molto vicino – che chi accede a prestazioni sociali o sanitarie agevolate non abbia più diritto ad agevolazioni fiscali. Si potrebbe arrivare a sostenere che, per un figlio che percepisce l’indennità di accompagnamento o di frequenza, non si ha diritto alla detrazione per figli a carico, oppure se si ottiene un assegno di cura o per la vita indipendente non si può più detrarre/dedurre gli oneri relativi ad una badante. Ancora una volta, con queste premesse, anche la riforma fiscale e assistenziale inciderà in misura maggiore, rispetto agli altri Cittadini, sulle persone non autosufficienti, con disabilità e sulle loro famiglie”.
Io sono solo un giornalista informato sui fatti. Non me la sento di addentrarmi nei risvolti tecnici, non sono capace di muovermi tra commi di legge e combinati disposti. Ho capito solo alcune cose, e non mi piacciono affatto. Ho compreso che la manovra studiata da tempo dal Governo e gestita in prima persona dal ministro plenipotenziario Giulio Tremonti ha inciso, unilateralmente, sulle politiche sociali del nostro Paese al punto da vanificare di fatto la legislazione in vigore. Prima con il taglio dei trasferimenti alle Regioni e agli enti locali, che colpirà progressivamente i servizi ai cittadini, a partire dal prossimo anno, se non da subito. Poi tagliando chirurgicamente il sistema descritto da Giacobini di incentivazioni economiche e fiscali, che compensano in piccola misura quell’evidente carico di spesa per le famiglie all’interno delle quali vivono persone con disabilità o anziani non autosufficienti.
Io penso solo alle conseguenze concrete, nelle scelte delle famiglie, d’ora in poi. Le mie non sono fosche previsioni, ma ragionevoli scenari, basati anche su una discreta conoscenza, ormai, della psicologia delle persone con disabilità e soprattutto dei loro familiari, che non sono tenuti a ragionare in grande, in termini collettivi, ma che devono fare, ogni mese, i “conti della serva”, come una volta, con espressione cinica e classista, si usava dire correntemente.
Ebbene, questi tagli sistematici e chirurgici avranno come conseguenza una contrazione dei consumi sociali e dei servizi destinati alle persone. Meno assistenza familiare, meno mobilità, meno ausili, meno riabilitazione, meno visite specialistiche, meno tecnologie, meno auto adattate, solo per citare le cose più evidenti e banali. In compenso, specie per gli anziani, le famiglie cercheranno di nuovo soluzioni pratiche e a basso costo di tipo residenziale, quelle che una volta si chiamavano “case di riposo”, per non dire “ospizi”. Togliersi il peso, spendere meno, chiudere il cuore e il portafoglio, che tanto è ormai quasi vuoto. Se è vero come dice l’Istat che il 5,2 per cento della popolazione italiana vive in stato di povertà, non è arduo immaginare che in questa fascia si collocano soprattutto famiglie fragili, famiglie provate dai casi della vita, dalle malattie, dalla mancanza di lavoro e di prospettive.
Fino ad oggi la coesione sociale era garantita dal fatto che i ceti medio-bassi, all’interno dei quali si colloca la stragrande maggioranza delle famiglie con persone disabili o non autosufficienti per l’età, riuscivano a non staccarsi del tutto da tenori di vita dignitosi, e da un livello di consumi accettabile (comprendente, ad esempio, una vacanza, una pizza in compagnia, uno spettacolo, un computer, un televisore nuovo). Nei prossimi tre anni il rischio è che questa ampia parte della nostra società collassi, o si debba affidare quasi totalmente alla beneficenza, al volontariato solidaristico, alla sussidiarietà sotto forma di “carità compassionevole”. In questo senso non siamo tutti allo stesso modo a bordo del Titanic, anche se il ministro Tremonti la pensa diversamente.
C’è poi da mettere nel conto il diffondersi dell’incertezza, dell’insicurezza rispetto alle prestazioni sin qui garantite dal welfare italiano. In questo senso la interminabile vicenda dei controlli Inps (la manovra correttiva offre nuovi spunti di apprensione specie per quanto riguarda l’iter dei ricorsi, ma non solo) è di per sé ragione di paura ben fondata, e tutt’altro che irrazionale. La paura di perdere anche prestazioni minime, come la pensione di invalidità, o l’indennità di accompagnamento, contribuirà, in questo periodo ormai lungo, alla crescita degli egoismi e delle contrapposizioni corporative, perfino agli scontri fra patologie (non a caso la vicenda dei fondi da destinare alla sla, la sclerosi laterale amiotrofica, ha costituito motivo di discussione e di diffidenza fra le associazioni).
Il mondo della disabilità termina, a questo punto, la sua parabola di crescita civile, legislativa e sociale, e si entra in una fase calante, di pura difesa dell’esistente, dal momento che è anche difficile, in assenza di risorse, ipotizzare concrete revisioni del sistema di welfare senza correre il rischio, ogni volta, di far danni incalcolabili a questa o a quella fascia di popolazione.
Per uscire da questo tunnel senza impazzire, occorre davvero uno scatto di orgoglio della società civile, una reazione politica trasversale, non ideologica, concreta e virtuosa, che riparta dai fondamentali della nostra legislazione, e cerchi di porre un argine allo smantellamento delle prestazioni e delle tutele sin qui faticosamente conquistate. Tutto si può mettere in discussione e modificare, ma a patto di essere concordi sull’obiettivo. Ossia un uso più corretto, trasparente ed efficace della spesa sociale, pubblica e privata, che però non significa un definitivo e drammatico impoverimento delle famiglie, e una discriminazione pesante e crudele delle persone con disabilità.
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