Famiglia
“Zucchina”, ovvero le emozioni di un bambino fuori famiglia
Arriva venerdì 2 dicembre nelle sale italiane il film "La mia vita da Zucchina", che racconta la quotidianità di un istituto per minori fuori famiglia. Cristina Riccardi di AiBi lo ha visto in anteprima e racconta perché questo film è davvero da vedere (ma non è per bambini)
«”Vai Zucchina, fallo per noi. Anche i bambini grandi possono essere adottati”: una frase così, prima ti colpisce alla pancia, poi al cuore, infine al cervello»: così Cristina Riccardi, membro del consiglio direttivo di AiBi-Amici dei Bambini con delega alle accoglienze temporanee sintetizza il suo giudizio sul film “La mia vita da Zucchina”, da venerdì 2 dicembre al cinema. Zucchina ha nove anni, i capelli blu e vive in una piccola struttura di accoglienza per minori, dopo aver visto la sua mamma morire.
Il film di Claude Barras, tratto dal libro Autobiographie de une Courgette di Gilles Paris, attraverso dei pupazzi animati in stop motion racconta la realtà quotidiana dei bambini che vivono fuori dalla loro famiglia. Zucchina (che in realtà si chiama Icaro), Simon, Ahmed, Jujube, Alice, Béatrice, Camille… hanno tutti storie complicate e dolorose alle spalle. La mamma di Zucchino ad esempio era alcolizzata, lui ha grossi sensi di colpa sulla sua morte e conserva in ricordo di lei una lattina di birra vuota. La presentazione del film, già applaudito dalla critica e premiato dal pubblico come Miglior film europeo al Festival di San Sebastian, è stata giovedì 1° dicembre a Firenze, nella sala cinematografica della Fondazione Stensen, alla presenza della referente locale di Aibi, Michelina Della Porta, che ha parlare della campagna “Fame di Mamma”, volta a sostenere le case famiglia e le comunità mamme bambino che AiBi ha in Italia. Il film prevede anche un "progetto scuole" ed è prenotabile per visioni dal 2 dicembre fino al termine dell’anno scolastico 2016/2017.
La critica cinematografica ha parlato molto bene del film. Lei che ne pensa?
Mi è piaciuto molto, ovviamente anche perché parla di un argomento che mi sta a cuore. È un film essenziale, delicatissimo, ma al tempo stesso prende la pancia. Usa un linguaggio e delle immagini che arrivano prima alla pancia, poi al cuore e infine alla testa, nel senso che al momento ti commuovi, ti suscita tenerezza, ma poi vai avanti a pensarci e a partire da una frase del film ti ritrovi a fare una vera riflessione.
La storia è realistica?
La storia in sé è se così si può dire “banale”: c’è un bambino orfano, con enormi sensi di colpa rispetto alla morte della madre, la fatica della vita in quella che non saprei come chiamare perché non è una comunità d’accoglienza nostra, italiana.
In che senso?
Quella che viene raccontata non è per nulla corrispondente non solo alle nostre case famiglia, ma nemmeno alle nostre comunità educative. C’è la direttrice rigida, qualche stereotipo sulle comunità c’è, direi che somiglia più a un vecchio istituto che a una comunità di oggi.
E allora cosa ha apprezzato?
Il film riporta benissimo i vissuti dei bambini, quelli che tutti i bambini che noi vediamo ogni giorno provano. A cominciare dal desiderio di avere una mamma e papà, a tutte le età. Zucchina alla fine viene adottato e prova sensi di colpa verso i compagni che restano in istituto, finché il ragazzino “bullo”, quello che gliene ha fatte vedere di tutti i colori, gli dice «fallo per noi, vai, anche i bambini grandi possono essere adottati». Capisce che una frase del genere apra un mondo di riflessioni. Intendevo questo dicendo che il film arriva prima alla pancia, poi al cure e infine alla testa: se una famiglia ha un desiderio adottivo sente una frase di questo tipo, anche al cinema, magari farà anche una riflessione sul “perché no un bambino grande?”.
Ci sono altri esempi o frasi che l’hanno colpita?
L’attesa della propria mamma e papà. Nel film c’è una bimba che non è orfana, sembrerebbe figlia di una donna migrante, che è tornata al suo Paese d’origine: ad ogni macchina che sente corre alla porta e grida “mamma, mamma!”. Gli altri bimbi la prendono in giro, ma questo è esattamente ciò che accade quotidianamente a tanti bambini che sono nelle comunità senza essere nè orfani e nè adottabili.
A chi consiglierebbe il film?
A tutti, ricordando però che non è un film per bambini. Almeno, non prima dei 10 anni e meglio con un adulto che possa riprendere i temi toccati dal film: la storia di Zucchina è molto triste, per difendersi dalla mamma lui provoca un incidente e la mamma muore… è un tema molto difficile. Se poi si è passati da un’esperienza analoga, direi che bisogna essere quasi adulti e aver già rielaborato molto il proprio vissuto.
A Firenze AiBi partecipa alla proiezione del film: come mai?
Ci è piaciuto il film, tratta tutti i temi che noi quotidianamente affrontiamo nelle nostre case famiglia, che sono quelle comunità di accoglienza dove c’è una famiglia residente: le emozioni sono quelle che tutti i giorni ci dicono i nostri bambini. Vedere il film è una buona occasione per conoscere meglio la realtà dei minori fuori famiglia, che hanno bisogno sì di sostengo economico ma anche di famiglie che diano la loro disponibilità. Noi abbiamo tre case famiglia in questo momento, nella storia abbiamo accolto circa 200 bambini, in media restano due o tre anni, poi rientrano nella famiglia d’origine oppure, se l’affido si prolunga, spingiamo per l’affido famigliare. La campagna Fame di mamma raccoglie donazioni in favore delle nostre strutture di accoglienza, le case famiglia e le comunità mamma-bambino.
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