Famiglia
Zitto, cyberbullo: un progetto didattico contro l’hate speech
Un progetto internazionale finanziato dalla Ue aiuta gli insegnanti a trovare delle idee per affrontare i discorsi d'odio online con i propri studenti, attraverso l’educazione ai media, l’educazione interculturale e il coinvolgimento attivo dei ragazzi e delle ragazze. Coinvolte due non profit italiane
Si chiama hate speech ed è purtroppo salito alla ribalta nelle cronache del nostro Paese: si tratta della diffusione on line discorsi di istigazione all’odio nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, a causa della loro origine nazionale o etnica, colore, lingua, religione, disabilità, sesso, genere o altra caratteristica o status. Ora un modulo didattico, realizzato nell’ambito del progetto europeo BRICkS -Costruire il rispetto su internet combattendo l’hate speech, aiuta a capire e gestire l’hate speech.
Si tratta di un’iniziativa da un’esperienza condotta in Italia da COSPE onlus e dal Centro Zaffiria, condivisa con organizzazioni in Germania, Repubblica Ceca, Spagna e Belgio e sostenuta dal programma “Diritti Fondamentali e Cittadinanza” dell’Unione Europea. Il progetto risponde al bisogno degli insegnanti di trovare delle idee per affrontare l’hate speech con i propri studenti, attraverso l’educazione ai media, l’educazione interculturale e il coinvolgimento attivo dei ragazzi e delle ragazze: i giovani rischiano infatti di essere maggiormente esposti sia per il massiccio uso dei social sia per la scarsità (o la mancanza) di situazioni in cui prendere consapevolezza del discorso d’odio. La scuola si trova in prima linea di fronte al difficile compito di affrontare questo fenomeno, che ha senza dubbio forti ripercussioni nelle relazioni tra i pari e nella propria relazione col mondo.
Per questo, oltre alla ricerca “L’odio non è un’opinione” diffusa nel marzo scorso, BRICkS ha realizzato un vero e proprio modulo didattico composto da 13 unità, frutto di un percorso partecipativo con diversi gruppi di stakeholder come insegnanti, attivisti rom e di seconda generazione, giornalisti e esperti del web; attraverso una formazione che ha coinvolto educatori ed educatrici dei territori della Regione Emilia-Romagna e Toscana e, infine, da una sperimentazione sul campo realizzata in cinque scuole secondarie dell’Emilia-Romagna e della Toscana per un totale di 580 studenti coinvolti.
Questo aspetto – affermano i promotori – è stato fondamentale: non si tratta di attività immaginate a tavolino ma di situazioni realmente vissute da ragazzi e ragazze (le loro esperienze, le loro opinioni, le loro strategie, le loro emozioni), che hanno permesso di riprogettare situazioni di apprendimento in base all’azione e agli scambi verbali degli studenti. Le metodologie scelte nelle singole attività hanno l’obiettivo di “far vivere il problema”, collegarlo all’esperienza concreta degli studenti, sollecitare il loro ragionamento, la loro attivazione positiva. Nel modulo non ci sono dunque risposte giuste o sbagliate ma idee concrete per aprire ricerche e appassionare studenti e insegnanti attraverso giochi di ruolo, video, dibattiti.
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