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Zerai: Frontex plus? Una pezza, ma serve una soluzione radicale

Il religioso, punto di riferimento internazionale per tutti gli eritrei in fuga dalle persecuzioni, analizza a caldo il nuovo accordo per il salvataggio in mare dei migranti, che "non fermerà la brutalità dei trafficanti, servono azioni concrete nei paesi africani. Ue e Unione africana devono collaborare come non hanno mai fatto". Tante le questioni aperte

di Daniele Biella

“Frontex plus? È un’altra pezza che limita i danni, ma non sarà la soluzione alle stragi nel Mediterraneo”. Abba Mussie Zerai, religioso eritreo che vive in Italia da decenni, noto per essere da sempre il punto di riferimenti per i propri connazionali e non solo al momento di compiere la disperata traversata del mare in fuga da guerra e persecuzioni (il suo numero di telefono è in cima alla lista per le chiamate di aiuto dai campi di detenzione libici, nei quali i migranti sono spesso taglieggiati e su cui proprio pochi giorni fa Zerai, presidente dell'Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo, ha lanciato una forte denuncia, ripresa dai media di varie parti del mondo), è un uomo abituato a pochi proclami e tanti fatti. Per questo abbiamo raccolto le sue ponderate parole, poco dopo l’annuncio entusiasta del ministro Angelino Alfano che ha portato l’Europa a sostituire, dal prossimo novembre, l’Operazione governativa italiana di salvataggio Mare Nostrum (che ha permesso di portare in salvo almeno 70mila migranti ma che ha “costi insostenibili”, 9 milioni di euro al mese) con l’azione europea Frontex plus. Che rispetto alla sua ‘madrina’, Frontex, l’agenzia intergovernativa lanciata nel 2005 per la gestione delle frontiere esterne all’Unione europea, di fatto votata prima ai respingimenti, poi alla mera segnalazione delle imbarcazioni di migranti, in mare, prevede regole di ingaggio più incisive nel salvataggio delle persone, anche se in acque più lontane dalla costa libica di quanto si è sempre spinta Mare Nostrum.

Quanto cambia lo scenario con l’arrivo di Frontex plus?
Di sicuro verrà finalmente riformata Frontex, che si è rivelata un grande spreco di soldi e tempo, perché, a conti fatti, il loro lavoro di segnalazione di imbarcazioni è lo stesso che faccio io da anni, spesso in anticipo, perché i migranti mi chiamano dal mare e io lancio un Sos avvisando immediatamente le capitanerie di porto. Ma che Frontex plus non sarà la panacea è sotto gli occhi di tutti, perché continua a lavorare sul problema dei viaggi in mare senza affrontare il vero nodo della questione, ovvero la creazione di un corridoio umanitario che parta da paesi limitrofi a quelli da cui si scappa, come Sudan o Niger, ovvero prima che entrino in azione i trafficanti in Libia. Come? Istituendo luoghi di transito sicuri, aprendo le Ambasciate ai casi più vulnerabili, per esempio.

Trafficanti che fanno partire barche sempre più precarie, tanto sanno che quasi sempre (nel terribile naufragio del 2 agosto, di cui si è parlato molto poco se non raccogliendo negli ultimi giorni gli appelli strazianti di persone che hanno perso figli e parenti, come i genitori Abdallah, leggi articoli a lato) arriva Mare nostrum. Ma con Frontex plus il raggio d’azione dei salvataggi arretra…
Cosa assolutamente negativa. Se la spiegazione è quella che così si disincentivano le partenze, nulla di più sbagliato: in questi mesi, a conti fatti, la stessa Mare nostrum, Operazione nata all’indomani della morte dei 366 eritrei il 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa e strumento fondamentale che ha permesso di risparmiare tante altre morti, ha raggiunto meno spesso di prima le acque libiche, fermandosi in quelle internazionali. Ma le partenze sono continuate a ritmo serrato, tanto che la gran parte delle tragedie  che hanno fatto perdere la vita ad almeno 1600 persone è avvenuta con l’arrivo dell’estate. Ciò significa solo una cosa: i trafficanti sono gente senza scrupoli, a cui non interessa niente della vita umana.

Ma Frontex plus viene accolta dal Governo italiano come una propria vittoria.
Sì, per certi versi, oltre al risparmio, c’è la consapevolezza che l’Europa non lascerà più solo l’Italia a farsi carico del peso insostenibile del salvataggio in mare. Ma ribadisco, per risolvere il problema ci vuole una soluzione radicale, non un cerotto dopo l’altro: l’Unione europea e l’Unione africana si devono sedere attorno a un tavolo e lavorare alla costruzione di viaggi sicuri per chi fugge, in paesi limitrofi meno pericolosi da quelli da cui si scappa. Invece finora l’Europa si è sempre dimostrata più interessata a difendere i propri confini piuttosto che accogliere in modo sistematico i profughi, mentre gli esponenti degli Stati africani hanno chiuso gli occhi di fronte al dramma delle migliaia di morti assurde dei propri fratelli. I due continenti dovrebbe collaborare anche alla rimozione della causa primaria di tutto questo esodo, ovvero la fine delle guerre nei paesi in questione.

Perché l’Unione europea non recepisce la richiesta italiana di riforma incisiva del regolamento di accoglienza ora in vigore, Dublino III?
La richiesta italiana non è mai stata troppo convinta riguardo all’accoglienza, o comunque molto meno rispetto a quella del pattugliamento del mar Mediterraneo. Mi spiego meglio: gli Stati del Sud Europa, Italia compresa, sono stati per tanto tempo riluttanti nel cedere sovranità alla Ue per le politiche di gestione dell’accoglienza, essendo di fatto spesso paesi di transito e non la meta finale, che il più delle volte è il Nord Europa, dove in effetti vive la grande maggioranza dei richiedenti asilo. Per questo motivo, nel momento in cui si mettesse mano a una vera riforma, la redistribuzione del numero dei profughi avverrebbe in base agli abitanti, con Spagna, Italia e Grecia obbligate a riceverne molti più di quelli attuali. Dall’altra parte, gli Stati di centro Nord non hanno alcun interesse a cambiare le cose dato che il loro singolo lavoro lo fanno già e non avrebbero nessun giovamento da un cambio legislativo. Fin quando si rimarrà sui rispettivi egoismi, non cambierà nulla. Ora, la priorità resta comunque l’istituzione del corridoio umanitario.

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