Emil Zatopek, a vent?anni, prima di inventare ?la corsa come abitudine?, nel freddo della Moravia si era allenato guardando suo padre calzolaio al banchetto di lavoro. Taglia la suola, cuci, ficca i chiodi: le mani non sono quelle di un pianista. La faccia, quando le mani sono ferite, si contrae in una smorfia che rimarrà ghigno di sopportazione e dolore. Le ore che passano, nel gelo della Moravia, sono un esercizio spirituale e fisico. Temprano la volontà, recintano la vita dentro un cerchio nel quale Emil ha deciso di correre per tutta la vita.
Zatopek sarà ?l?uomo cavallo? che non ha mai incontrato o montato un cavallo. Per sfidare la fatica del cerchio ha deciso di essere lui un destriero che corre quasi sciancato per quattro ore al giorno fino alla gloria di Helsinki, 1952. è stato il primo a battere i diecimila in mezz?ora. Con la sua faccia da disperato, lui, ?la lepre?, correva alterando passo dopo passo i lineamenti in una irripetibile trasformazione come quella che passa – nelle mani di un ciabattino -, dal cuoio al manufatto. Ma Zatopek, sul podio della vittoria, non diventava bello come un gran paio di stivali, no, rimaneva orribile come un uccellino straziato.
Nella foto è con sua moglie Dana Zatopkova, la giavellottista. La sta baciando con la mascella scheletrica, con una specie di maschera elettrica. Con il braccio sinistro trattiene la ?protervia? della donna. Gli abiti che indossano sono camiciotti di povertà. Emil subisce il bacio. Non c?è scambio. Lui è sotto, in apnea. Lei è sopra. Lui, sempre con la mano sinistra, sembra volerle dire: «Fa? piano. Ti prego fa? piano. Debbo correre, correre e correre…».
Il loro non è un bacio. è una respirazione bocca a bocca. Lei lo ciba di ossigeno. Gli carica i polmoni. Lo gonfia di energia. E lui la lascia fare. Zatopek la bacia per correre, per avere nei nervi più lampi di globuli rossi quando la disperazione della corsa lo strazierà. Zatopek si lascia baciare per vincere. Per non fuggire dal cerchio eterno della sua imbattibile Olimpiade.
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