Elezioni Usa 2024

Zamagni: Trump segna il trionfo del capitalismo woke

Per Stefano Zamagni, professore emerito di Economia Civile all'Università di Bologna, la sconfitta del partito democratico è legata anche all'affermazione del capitalismo woke. «Torniamo al fondamento della democrazia, ovvero al governo del popolo per il popolo»

di Alessio Nisi

Una campagna elettorale, quella di Kamala Harris, sbagliata perché troppo appiattita su quella del presidente uscente Biden: tale da non rappresentare un salto di qualità appetibile per l’elettorato. Il tramonto definitivo, dopo 80 anni, dell’America di Bretton Woods del 1944, quella dell’unilateralismo e degli States come gendarmi della democrazia nel mondo post Seconda guerra mondiale.

E, non da ultima, la consacrazione di nuovo capitalismo, detto woke (il manifesto è di Peter Thiel e risale al 2009), che ha tra i suoi sostenitori il vicepresidente appena eletto J. D. Vance, Elon Musk e molti imprenditori delle big tech. Un orientamento secondo cui l’America è entrata in una stagione di declino e che la democrazia, intesa in senso liberale come l’abbiamo conosciuta, porta alla fame, è finita e dobbiamo dare il potere ai bianchi, non alle donne, e costituire una nuova oligarchia di imprenditori.

Queste alcune delle riflessioni di Stefano Zamagni, professore di Economia Civile presso Mater studiorum, Università di Bologna, a proposito delle ragioni della vittoria di Donald Trump alle elezioni politiche. 

Così si elimina la democrazia

Secondo questa impostazione, spiega Zamagni, «di fatto, le sorti del paese devono essere affidate ai super ricchi, che si devono farsi carico di provvedere alla sanità, alla scuola all’assistenza», con un livello di intervento dello Stato, «che deve tornare a essere minimo, limitandosi sostanzialmente alla sicurezza nazionale e a poco altro». In cambio «questi imprenditori chiedono di non pagare più del 15% di tasse». Così però, sottolinea, si «elimina la democrazia».

Una lezione per Europa e Italia

L’errore del partito democratico americano è stato da una parte «sottovalutare una cultura, che ha dimostrato di essere vincente», proprio perché i cittadini «hanno davanti una politica non all’altezza della situazione», dall’altra «non hanno saputo tenere conto della forza dirompente di questa impostazione». Per Zamagni si è trattato di «un errore di sottovalutazione, che dovrebbe essere di lezione per noi europei e per noi italiani in particolare». È stata «una campagna tutta sbagliata».

Tornare al fondamento della democrazia

In questo quadro, Zamagni invita a «cogliere le ragioni profonde per cui oggi la democrazia è in crisi». Ragioni che «il movimento cattolico italiano a Trieste nel luglio scorso ha dimostrato di aver compreso». La strada? «Tornare al fondamento della democrazia, ovvero al governo del popolo per il popolo».

Certo, anche i «woke», spiega, «lavorano per il popolo, ma lo fanno togliendo la libertà, perché si comportano in maniera paternalistica. O attuiamo la democrazia vera, quella aristotelica, deliberativa, o non ci sarà più nulla da fare».

Uno sguardo al futuro

Certo, sulle scelte di Trump molto dipenderà dalla composizione del Congresso e da quanto cioè il muovo presidente degli Stati Uniti dovrà scendere a patti. Certo ancora, pesa sul futuro l’imprevedibilità del personaggio. Tuttavia, per Zamagni «Trump ha interesse a chiudere la guerra sia in Ucraina che in Medio Oriente». Nel primo caso, ipotizza, uno degli scenari punterebbe a riportare Putin in un contesto occidentale «per sottrarlo alla Cina, il vero pericolo per Trump». L’elezione del tycoon peserà poi sulla bilancia commerciale europea e quindi italiana, «a causa dell’aumento dei dazi».

La foto di apertura di AP Photo/Evan Vucci/LaPresse.

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