Povertà
Zamagni: «Alziamo la voce insieme al Papa, cancellare il debito si può»
Ieri Francesco, all'apertura dei lavori del seminario organizzato dalla Pontificia accademia delle scienze, ha ribadito la necessità di cancellare il debito del Sud del mondo in occasione del Giubileo. Secondo l'economista, si tratta di un intervento necessario ma soprattutto possibile
«Ci troviamo di fronte a una crisi del debito che colpisce soprattutto i Paesi del Sud del mondo, generando miseria e angoscia, e privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso. Di conseguenza, nessun governo può esigere moralmente che il suo popolo soffra di privazioni incompatibili con la dignità umana». Ieri il Papa all’udienza generale con cui ha ricevuto i partecipanti al seminario “Affrontare la crisi del debito nel Sud del mondo”, promosso dalla Pontificia accademia delle scienze, è stato chiaro nella sua richiesta, che già aveva espresso il 9 maggio nella bolla di indizione al Giubileo: cancellare il debito pubblico dei Paesi più poveri in occasione della ricorrenza religiosa. Secondo Stefano Zamagni, economista e past president dell’Accademia, si tratta di un’istanza importante, tanto coraggiosa quanto necessaria.
Zamagni, qual è stata l’importanza dell’evento di ieri e delle dichiarazioni del papa?
Ieri si è svolto un incontro internazionale, a cui hanno partecipato ottanta tra esperti e alcuni politici di diversi Paesi, per affrontare il tema del debito internazionale; in apertura dei lavori il Papa ha ricevuto in udienza tutto il gruppo. In quest’occasione ha letto una dichiarazione veramente importante; non era la solita raccomandazione di chi, appellandosi allo spirito di misericordia, chiede di fare degli sconti, ma – com’è peraltro costume del pontefice – andava alla ricerca delle cause profonde del problema.
E quali sono?
Il debito internazionale, che è ormai insostenibile dal punto di vista finanziario, non è un fatto di natura, come può essere stato il Covid-19 o un disastro qualsiasi, ma è il risultato del modo in cui le organizzazioni finanziarie globali hanno funzionato a partire dalla fine degli anni ’70 a oggi. La globalizzazione dei mercati è cominciata, per essere espliciti, il 15 novembre del 1975, quando vicino a Parigi si tenne il primo G6, di cui l’Italia faceva parte. In quell’occasione venne presa la storica decisione di rendere oggetto di libero movimento i capitali finanziari e quindi di far nascere la finanziarizzazione; il debito è la conseguenza di questa scelta, immorale dal punto di vista dell’etica cristiana: la finanza, che era sempre servita come supporto all’economia reale, diventava fine a sé stessa.
E questo come ha inciso sulla povertà dei Paesi del Sud del mondo?
Il meccanismo con cui si viene a creare il debito è molto semplice: i Paesi del Sud globale hanno bisogno di credito e ovviamente non vengono messi nella condizione di restituirlo. Anno dopo anno, a causa del meccanismo del tasso di interesse che viene deciso dal Nord del mondo, gli Stati poveri vedono aumentare gli interessi: oggi quello che pagano è quattro volte superiore rispetto al prestito che hanno ricevuto. Questo grida vendetta al cospetto di Dio.
Come mai questi Paesi non riescono a ripagare il loro debito?
C’è una parte di responsabilità anche dei governanti dei Paesi poveri, che chiedono prestiti e anziché metterli a frutto facendo investimenti sul loro territorio, se ne appropriano per arricchire la loro famiglia, nelle forme che più o meno tutti conosciamo. La responsabilità maggiore, tuttavia, ce l’ha l’Occidente, che dovrebbe chiedere, come accade per esempio col Pnrr in Europa: «Ti do il prestito, ma lo devi investire per costruire scuole, ospedali, infrastrutture, eccetera». A tutto questo, in temi più recenti, si è aggiunta – come dice il papa – una nuova disgrazia. I Paesi del Sud del mondo, per poter restituire i soldi, si vedono costretti a esportare le loro risorse naturali, in particolare carbone, gas e petrolio. Per pagare gli interessi sul debito, danno la possibilità ai creditori di sfruttare le riserve fossili del loro territorio. Questo aggrava la situazione ambientale: è stato calcolato che tra il 2020 e il 2022, quindi in tre anni, il sistema bancario internazionale ha dato prestiti per 10 miliardi, per consentire di aumentare l’estrazione di carbone e di petrolio. I Paesi del Nord non lo fanno a casa propria, ma siccome l’ambiente non ha frontiere, se tu inquini l’acqua e l’aria prima o poi le conseguenze arrivano ovunque.
Qual è quindi la proposta del Papa?
Tornare, in occasione del Giubileo, al cosiddetto Jubilee model, che significa cancellare i debiti e il meccanismo perverso dei tassi d’interesse. Nel 1997 venne approvata da un gruppo di Paesi soprattutto europei la Carta di Sant’Agata dei Goti, legata all’insegnamento di Sant’Alfonso, che era un grande moralista, in cui vengono fissati 12 principi per evitare la creazione di un debito insostenibile. Già col nuovo secolo questa carta è stata totalmente abbandonata.
Per quale motivo?
C’è chi dice che nel 1997 il problema del debito non era ancora esploso ed è vero. Ma bisognava avere testa e capire che sarebbe successo da lì a poco. Ecco perché ancora una volta gli interventi del Papa – e anche di chi lo ha preceduto – ovviamente è notevole in questo senso. Mentre gli altri occupano il tempo a suggerire formule tecniche, come allungare le scadenze, lui afferma di cancellare il debito.
Ed è possibile?
Certo. I soldi per pagare le armi si trovano. Il debito non è immenso, è diventato immenso a seguito del gioco perverso degli interessi. Non posso generare interessi sugli interessi, gli interessi si pagano sul credito che ho ottenuto. Ieri c’erano anche dei dirigenti del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e della Banca europea degli investimenti; tante persone di altissimo livello che dicevano che tecnicamente è possibile, ma ci vuole la volontà politica. Bisogna che almeno i Paesi del G20 prendano la decisione di fermare questo sistema. E ho motivo di ritenere che qualcosa succederà: la voce è stata alzata, tra qualche giorno uscirà e verrà tradotto in tutte le lingue il risultato del nostro lavoro di ieri. Si tratta di qualcosa di nuovo. Prima l’approccio era «Poverini, facciamo i buoni, aiutiamoli, facciamogli uno sconto: invece di fargli pagare 100 chiediamo 80»; questo, però, è offensivo per la dignità dell’uomo.
Nella foto di apertura, di Nicola Remene per Pictorium/LaPresse, il villaggio di Segou nel Mali, la cui principale attività è la produzione di ceramica.
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