Cultura

Zac, nostro figlio è gay

Film/ C.r.a.z.y.: una famiglia cattolica scopre che...

di Maurizio Regosa

C.r.a.z.y.
di Jean-Marc Vallée,
con Marc-André Grondin

Un film strano e al tempo stesso ordinario, questo C.r.a.z.y. Che ha i puntini perché oltre che citare la splendida canzone di Patsy Cline, è un acronimo: si riferisce ai cinque figli della famiglia Beaulieu, cattolicissima, contraddittoria quanto si vuole, confusa e irrisolta, ma in fondo molto per bene. Nella quale l?affetto è una cosa seria, da far male, e i sentimenti sono veri, profondi. È soprattutto per questo che Zac, il quartogenito, nato proprio nel giorno di Natale del 1960, fa così tanta fatica ad accettare se stesso e la propria diversità: sa bene che darebbe un dolore al padre, bonaccione un po? inconcludente ma affettuoso; né del resto è nato l?orgoglio: essere gay è ancora una faccenda difficile. Tanto più nella provincia canadese, in cui Jean-Marc Vallée ha scelto di ambientare la sua pellicola.

Seguiamo così i tentativi di Zac per essere quello che non è. Lo vediamo affannarsi in esercizi fisici da ?macho?, corteggiare ragazze perché in fondo è innamorato del loro fidanzato, scontrarsi coi fratelli – questi sì un po? beceri, ma si sa che l?adolescenza, per quanto riguarda la delicatezza nei rapporti umani, è ?l?età acerba? (per citare un film di André Téchiné, al quale questo deve qualcosa).

Naturalmente arriva il momento in cui le bugie non reggono e il castello della volontà crolla: Zac finisce per dichiararsi e accettarsi, compiendo così quello che Jung, il saggio, definirebbe ?individuazione?. E ovviamente non rompendo con la famiglia perché anche quel burberone del padre non può che accogliere il figlio rivelato con il suo compagno?

C.r.a.z.y. è un film estremamente discreto. Nel senso che non eccede. Ma anche nel senso che è un prodotto medio, ben diretto: se la sceneggiatura è interessante (ma qualche ridondanza c?è), la ricostruzione delle diverse epoche è perfetta (non solo per la scenografia e i costumi, ma per il ?sapore? che ci restituisce i decenni che furono). Molto buona è anche la recitazione (specie di Marc-André Grondin e Michel Côté, figlio e padre).

L?aspetto forse migliore è però nella capacità di raccontare le dinamiche familiari, in fondo così prevedibili e ogni volta così diverse. Colpisce in particolare il personaggio della madre (benissimo interpreatata da Danielle Proulx), generosa figura, molto credente e capace di accogliere l?altro con i suoi difetti e le sue qualità, di valorizzare la relazione per quel che può dare e per quel che è, uno scambio fra esseri imperfetti. Un tema estremamente attuale e che interroga forse oggi più che mai la comunità dei cattolici.

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