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Yemen: si teme un vuoto di potere

La situazione è sempre più confusa tra manifestazioni popolari contro i ribelli sciiti, la sede presidenziale vacante e la chiusura fino a nuovo ordine dell’ambasciata degli Stati Uniti a Saana per “motivi di sicurezza”

di Marco Marcocci

Situazione sempre più confusa nello Yemen con manifestazioni popolari contro i ribelli sciiti, un presidente della repubblica che non è dato a sapere se è o non è in carica e con la chiusura fino a nuovo ordine dell’ambasciata degli Stati Uniti a Saana per “motivi di sicurezza”.

L’assedio dei ribelli sciiti Huthi sembrava avesse dato i suoi frutti. Il presidente yemenita Abed Rabbo Mansur Hadi aveva rassegnato venerdì le sue dimissioni ma secondo le agenzie di domenica le ha poi ritirate.

Hadi, sunnita, sostenuto dall'Arabia Saudita e dal Consiglio di cooperazione del Golfo, alleato dell'Occidente e degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, sembrava che fosse riuscito a mantenere la sua carica raggiungendo un accordo con i ribelli. Poi sono arrivate le dimissioni e, infine, la decisione di continuare ad essere il presidente dello Yemen “per continuare a servire il Paese” in un momento così delicato.

L’intesa con i ribelli doveva prevedere la modifica della carta costituzionale così da permettere loro di sedere in parlamento e nelle istituzioni statali ma, evidentemente, qualcosa non ha funzionato e sono arrivate le dimissioni, poi rientrate.

Prima del capo dello stato era stato il primo ministro Khaled Bahah a dimettersi dopo appena tre mesi di mandato e nonostante la sua nomina fosse avvenuta in accordo con i ribelli.

Il premier Bahah in un post sul proprio profilo Facebook ha evidenziato che il suo governo tecnico ha lavorato “in circostanze molto complicate” e ha specificato che le sue dimissioni sono state necessarie per non essere “trascinato in un abisso di politiche non costruttive che non si basano su alcuna legge”.

La situazione nel Paese era precipitata negli ultimi giorni durante i quali i miliziani Huthi che già controllavano Sanaa, la capitale, hanno assediato il palazzo e la residenza del presidente.

Il forte timore degli osservatori internazionali è che si replichi nello Yemen lo stesso scenario di sangue da tempo presente in Libia o meglio in Somalia. Una situazione di potenziale anarchia in cui avrebbero campo libero gli scontri tra gli sciiti e il jihadismo qaedista sunnita, molto presente nel sud del Paese.

Yemen quindi in totale confusione, con anche il fattore terrorismo a complicare le cose:  Al Qaida nella Penisola arabica (Aqpa) è ritenuto tra i mandanti dell’attentato alla redazione dello “Charlie Hebdo”. E proprio con riguardo al terrorismo, gli Stati Uniti hanno sospeso tutte le operazioni di antiterrorismo condotte insieme allo Yemen, vista la situazione nel Paese.

Da aggiungere poi le attenzioni di Teheran verso i ribelli Huthi che vedono nello Yemen un prezioso potenziale punto d’appoggio per contrastare in casa propria – la penisola arabica – il rivale Arabia Saudita.

Nei due giorni senza capo dello Stato il presidente ad interim, secondo quanto previsto dalla costituzione yemenita è stato  lo speaker del parlamento Yahia al-Rai, considerato fedele all’ex  presidente Abi Abdullah Saleh che venne deposto tre anni or sono a causa del malcontento popolare, peraltro fomentato da Stati Uniti e da Paesi del Golfo.

Intanto la popolazione ha dato vita a manifestazioni contro i ribelli sciiti che sono intervenuti attaccando dimostranti e giornalisti. Difficile stilare un bilancio sul numero dei feriti e degli arrestati.

Le prossime ore saranno determinanti per capire il futuro dello Yemen, un Paese che Pier Paolo Pasolini definiva il “più bello del mondo” per la sua archiettura.

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