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Yemen, non è una guerra dimenticata ma volutamente ignorata

A marzo di quest’anno ricorreranno i 7 anni dell'inizio del conflitto nel Paese. Una guerra che ha fatto oltre 380mila vittime e 4 milioni di sfollati interni. Le persone che necessitano di assistenza umanitaria sono 20.7 milioni, circa il 70% della popolazione, più della metà sono minori. «Il lavoro delle organizzazioni umanitarie rimane l’unico argine al definitivo collasso del Paese», spiega Mattia Leveghi, Grant manager dell’organizzazione umanitaria Intersos in Yemen. «Questo argine dipende tuttavia dalla disponibilità di sufficienti fondi per continuare a fornire assistenza alla popolazione, fondi che si stanno progressivamente riducendo»

di Anna Spena

Stando ai dati del rapporto dell’Onu pubblicato pochi giorni fa, sono quasi 2mila i bambini soldato morti in 16 mesi, combattendo tra gennaio 2020 e maggio 2021. L’escalation del conflitto in tutto il Paese ha portato a un aumento del 60% delle vittime civili negli ultimi tre mesi del 2021, e il 2022 sembra già avere conseguenza ancora più gravi per i civili. In Yemen tutto è nel caos. La vita dei civili è risucchiata da una guerra iniziata sette anni fa che che chiama in causa i protagonisti scomodi della scacchiera mondiale. Prima tra tutti l’Arabia Saudita che insieme agli Emigrati Arabi Uniti ha contribuito alla frammentazione del Sud e del Nord del Paese. Mentre dall’altro lato Iran sostiene i ribelli Houthi.

Nelle ultime due settimane di gennaio si sono avvicendati più e più attacchi: un gruppo armato degli Houthi ha colpito una struttura petrolifera di Abu Dhabi, causando tre vittime civili. Alcuni giorni dopo un missile ha colpito il sud dell’Arabia Saudita. Così la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha lanciato una pioggia di missili sulla capitale yemenita Sana’a e altre zone del Paese. Il 20 gennaio il porto di Hudaydah è stato colpito da attacchi aerei provocando numerosi morti. Il 21 gennaio a Sa’da, una struttura di detenzione per migranti è stata attaccata durante la notte, insieme ad altri edifici, provocando, la morte di 80 persone e 200 feriti.

Il conflitto in corso tra il governo centrale e il gruppo degli Houthi, ha avuto un’escalation costante dal 2015 e «i bombardamenti di queste ultime settimane», spiega Mattia Leveghi, grant manager dell’organizzazione umanitaria Intersos in Yemen, «non sono incidenti isolati, ma fanno parte di un conflitto che negli ultimi 3 anni è andato progressivamente a inasprirsi. A ottobre 2021, i distretti con fronte di combattimento attivo erano 48, il che rappresenta un aumento rispetto ai 45 del 2020 e ai 35 a fine 2019. L’escalation militare e lo spostamento delle linee di fronte rendono ancora più complessa la risposta umanitaria nel Paese, esacerbando i già drammatici bisogni della popolazione civile». A marzo di quest’anno ricorreranno i 7 anni dall’inizio del conflitto. Si stima che le vittime siano circa 380mila. Il 60% di loro sono vittime indirette, vale a dire persone che hanno perso la propria vita per conseguenze indirette del conflitto come, per esempio, fame e malattie prevenibili. Gli sfollati interni sono a oggi oltre 4 milioni, molti dei quali sono stati sfollati più di una volta.

Intersos lavora in Yemen dal 2008 e, anche dopo lo scoppio del conflitto nel 2015, non ha smesso di fornire assistenza umanitaria alle fasce più vulnerabili della popolazione. «Al momento operiamo in 9 governatorati», spiega Leveghi. «Sia nei territori controllati dal governo internazionalmente riconosciuto al sud (Abyan, Aden, Hadramout, Lahj, Shabwa e Taiz) che in quelli controllati dalle autorità de facto al nord (Sana’a, Hajja e Ibb). In parallelo, manteniamo presenza in altri governatorati attraverso una rete di avvocati e collaborazione con organizzazioni locali».

L’intervento umanitario di Intersos si concentra principalmente su servizi di assistenza sanitaria, nutrizionale e di protezione, ma anche assistenza idrica e servizi igienico-sanitari, borse di studio universitario per ragazzi rifugiati e yemeniti in condizione di particolare vulnerabilità, oltre a garantire assistenza di prima necessità a migranti appena sbarcati dopo una lunga traversata per mare dal Corno d’Africa o bloccati all’interno del paese a causa della chiusura dei confini. «Il personale Intersos è specializzato nel valutare le necessità individuali e indirizzare il beneficiario verso i servizi di cui ha bisogno, quando possibile all’interno dell’organizzazione oppure a partner umanitari che operano nelle stesse aree», dice il Grant manager dell’organizzazione.

«Alla luce delle caratteristiche del territorio e possibilità di accesso, abbiamo adottato un approccio che unisce presenza statica, strutture fisiche al cuore delle comunità che assistiamo, e team mobili che raggiungono le aree più remote e meno servite. Secondo questa logica, supportiamo strutture ospedaliere pre-esistenti, che prima del nostro intervento erano chiuse o solo parzialmente funzionanti, riabilitandole e retribuendo il personale sanitario, fornendo farmaci, materiale medico e laboratoriale, e in parallelo operiamo ambulanze e cliniche mobili per garantire accesso ai servizi sanitari necessari in territori difficili da raggiungere o in aree ad alta densità di popolazione sfollata. che in alcuni casi hanno raggiunto le dimensioni di un villaggio. Simile approccio è adottato anche nei programmi di protezione, in cui delle squadre mobili garantiscono la più ampia copertura possibili del territorio per individuare i bisogni della popolazione, mentre servizi di supporto psicologico, legale e assistenza finanziaria sono forniti in centri comunitari».

Nel 2021 Intersos ha fornito assistenza a 450mila persone, la maggior parte dei quali donne e bambini. «A sette anni dallo scoppio del conflitto», aggiunge Levighi, «il lavoro di organizzazioni umanitarie come Intersos rimane, nel bene e nel male, l’unico argine al definitivo collasso del Paese. Questo argine dipende tuttavia dalla disponibilità di sufficienti fondi per continuare a fornire assistenza alla popolazione. I tentativi di soluzione militare del conflitto hanno mostrato di non essere né sostenibili né efficaci, e a pagarne il costo maggiore sono state le fasce più vulnerabili della popolazione. La legittimità e il successo degli sforzi negoziali richiede che il processo di pace diventi il più inclusivo possibile, portando al tavolo le necessità della popolazione e coinvolgendo attivamente la società civile nelle sue diverse componenti come donne, giovani, minoranze. C’è inoltre bisogno che la comunità internazionale intensifichi i propri sforzi per impegnare le parti in conflitto su alcuni punti fondamentali come: concordare un immediato cessate il fuoco che favorisca lo svilupparsi di un dialogo inclusivo e ponga fine alle violenze; garantire il rispetto del diritto umanitario internazionale e di diritti umani; e assicurare che gli attori umanitari abbiano accesso alla popolazione».

La crisi umanitaria yemenita è considerata tra le peggiori al mondo. Le persone che necessitano di assistenza umanitaria sono 20.7 milioni, circa il 70% della popolazione – più della metà di loro sono minori. «Le cause di questa crisi non si limitano esclusivamente a violenze e insicurezza», spiega Levighi, «ma riguardano un più ampio collasso del sistema socio-economico del Paese. Solo 2021, il costo della vita è raddoppiato a causa di una profonda svalutazione della valuta, rendendo impossibile per molti permettersi beni di prima necessità, incluso cibo. Oltre 16 milioni di persone si trovano in condizioni di insicurezza alimentare. I tassi di malnutrizione sono tra i più elevati al mondo, con 2.3 milioni di bambini sotto i cinque anni di età in uno stato di malnutrizione acuta. La metà delle strutture sanitarie non sono funzionanti, mentre epidemie di poliomielite, colera, dengue, morbillo e difterite sono ricorrenti. A queste si è aggiunto il pericolo COVID-19, la cui reale diffusione nel paese rimane incerta. Il collasso economico e le difficoltà economiche di molte famiglie sono poi sfociati nell’adozione di pratiche negative, tra cui abbandono scolastico, lavoro minorile e matrimoni forzati».

Grazie ai buoni rapporti costruiti negli anni con le autorità e le comunità locali, Intersos riesce a operare sia nel nord che nel sud del paese. «I principali ostacoli all’accesso umanitario sono legati a contorte procedure amministrative e tentativi di intromissione da parte delle autorità nella definizione delle proposte progettuali. In alcuni casi, negoziare e ottenere il permesso per implementare un progetto può richiedere fino a quattro/cinque mesi».

Impossibile fare previsioni. Ma per quanto si può continuare così? «La popolazione yemenita è allo stremo. A sette anni dallo scoppio del conflitto, il lavoro di organizzazioni umanitarie come Intersos rimane l’unico argine al definitivo collasso del paese. Questo argine dipende tuttavia dalla disponibilità di sufficienti fondi per continuare a fornire assistenza immediata alla popolazione. Purtroppo però i fondi messi a disposizione dai donatori internazionali si stanno progressivamente riducendo. Lo scorso anno, sono stati raccolti meno di 2 terzi dei 3.9 miliardi di dollari che erano stati considerati necessari per finanziare la risposta umanitaria nel Paese. Garantire che si mantenga accesa la luce sulla gravità della crisi yemenita è più che mai urgente e fondamentale».

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