Giustizia internazionale
Yazidi, quello dell’Isis fu genocidio
La Gran Bretagna riconosce la strage deliberata di questa comunità religiosa che vive nel Kurdistan, perpetrata nove anni fa dall'Isis in varie aree dei territori controllati durante la guerra di Siria. Forse l'inizio di un'azione internazionale che riconosca quella tragedia. Intanto lo Stato islamico ha designato un nuovo califfo
di Asmae Dachan
Nove anni dopo l’assalto mortale ai monti del Sinjar da parte dei terroristi dell’Isis, la Gran Bretagna riconosce il genocidio della popolazione Yazida. La decisione di Londra fa seguito a una sentenza della Corte di giustizia federale tedesca che ha riconosciuto un ex combattente del cosiddetto Stato Islamico colpevole di atti di genocidio e crimini contro l’umanità ai danni della comunità yazida. Il ministro di Stato britannico per il Medio Oriente, Lord Tariq Ahmad, ha affermato che la popolazione yazida “ha sofferto immensamente per mano dell’Isis nove anni fa, e le ripercussioni si fanno sentire ancora oggi. state devastate».
L’inizio di un riconoscimento
La giustizia e la responsabilità sono fondamentali per coloro le cui vite sono . Molti Yazidi si sono rifugiati nei campi per sfollati, altri sono stati costretti ad andare all’estero. «Oggi abbiamo riconosciuto storicamente che sono stati commessi atti di genocidio contro il popolo yazida. Questa determinazione non fa che rafforzare il nostro impegno a garantire che ricevano il risarcimento loro dovuto e possano accedere a una giustizia reale», ha aggiunto Lord Ahmad. «Il Regno Unito continuerà a svolgere un ruolo di primo piano nello sradicamento dell’Isis, anche attraverso la ricostruzione delle comunità colpite dal terrorismo e guidando gli sforzi globali contro la sua propaganda velenosa».
Era il 2014, la guerra in Siria era iniziata da tre anni e l’Isis, (Islamic State of Iraq and Sham – Levante – come viene chiamata la Siria), aveva già fatto la sua comparsa a cavallo dei due Paesi mediorientali da circa un anno. Una scelta studiata dal punto di vista economico, con la nomina di due capitali ricche di petrolio, Raqqa in Siria e Mosul in Iraq, ma anche strategica, per l’importanza delle rotte e dei traffici che passavano su quelle strade.
La comparsa dell’Isis
L’Isis si presenta subito come formazione integralista e terrorista. Tra i suoi obiettivi ci sono oppositori del regime di al Assad considerati moderati, quindi non in linea con la visione intollerante della formazione guidata da Abu Bakr al Baghdadi. Giornalisti, artisti, civili, leader di villaggi vengono presi di mira e uccisi senza pietà. A Raqqa l’Isis rapisce il 29 luglio 2013 anche un religioso italiano, padre Paolo dall’Oglio, un gesuita impegnato da sempre nel dialogo interreligioso, che era stato espulso da Bashar al Assad per le sue posizioni in favore della democrazia e delle aspirazioni dei manifestanti pacifici che chiedevano al governo di Damasco riforme, e che era rientrato in Siria proprio per tentare un dialogo tra tutte le parti. Dopo dieci anni dal suo sequestro, di lui, come di altre migliaia di siriani, non si hanno ancora notizie. L’obiettivo principale dell’Isis sono soprattutto gruppi considerati minoranze.
L’attacco a cristiani e curdi
Vengono presi di mira cristiani assiri della piana di Ninive, i Curdi di Kobane e altra città e appunto gli Yazidi delle montagne irachene del Sinjar. Qui l’Isis scatena la sua brutalità rapendo bambini e donne e riducendo queste ultime in condizioni di schiavitù sessuale.
Le immagini della liberazione della giovane yazida Nadia Murad, finita prigioniera dei terroristi dell’Isis ad agosto del 2014 e liberata a novembre dello stesso anno hanno fatto nel il giro del mondo. Grazie al suo coraggio e al sostegno di associazioni e organismi internazionali che l’hanno sostenuta, Nadia Murad è diventata simbolo della lotta per la sopravvivenza delle donne e del popolo yazida e oggi presiede l’associazione Nadia’s Initiative, che difende i sopravvissuti alla violenza sessuale. Murad è stata insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2018. «Accolgo con favore l’iniziativa britannica come un gesto significativo per il popolo yazidi, mentre continuiamo a lottare per accertare le responsabilità dei crimini commessi. Spero che il governo britannico cominci ora a fare giustizia per le vittime chiedendo conto ai combattenti nati in Gran Bretagna. Il mondo non può permettersi di lasciare che i membri dell’Isis camminino liberi. È come dare un messaggio al mondo che si può uccidere e stuprare impunemente»
Mentre le vittime chiedono giustizia, arrivano notizie dal fronte dell’organizzazione terrorista stessa che la scorsa settimana ha annunciato la nomina del quinto cosiddetto califfo. Si tratta di Abu Hafs Alhashemi Alqurashi, sul quale non si hanno informazioni ufficiali. La notizia è stata ripresa da diversi media arabi. Dopo l’uccisione dei suoi quattro predecessori, Alqurashi rappresenta oggi la ferocia di una formazione che ha perso forza e influenza, ma ancora non muore.
Nella foto di apertura di Frank Rumpenhorst/Pool via AP/LaPresse, il processo a un jihadista iracheno, Taha Al-J., accusato di aver ridotto in schiavitù una donna yazida con la figlia, di avere abusato di entrambe e di averle fatte morire di sete a Falluja. L’uomo è stato condanna all’ergastolo a Francoforte il 30 novembre del 2021.
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