Volontariato
Yangoon, un anno dopo
Il 26 settembre 2007 i militari spararono sui monaci che manifestavano per la libertà. E oggi la capitale è blindata
Giornata di tensione a Yangoon, in Birmania, per l’anniversario della strage dei monaci buddisti. Esattamente un anno fa, infatti, il 26 settembre 2007, i militari inviati dalla giunta militare birmana aprivano il fuoco contro i manifestanti, per lo più monaci, che avevano invaso le vie della capitale per chiedere la fine della dittatura che tiene in scacco il paese da oltre 45 anni. In queste ore nella capitale birmana si continua a vivere in un’atmosfera surreale: poliziotti armati pattugliano le strade, dove sono state erette barricate di sacchi di sabbia e filo spinato. Anche la vigilanza che abitualmente staziona di fronte alla casa del premio Nobel Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari, è stata rafforzata per il timore di manifestazioni.
nei giorni scorsi si sono vissuti momenti di terrore: una bomba rudimentale è esplosa davanti al municipio di Yangoon, provocando sette feriti non gravi. E oggi la stampa di regime auspica una reazione ferma contro «gli attentatori e terroristi che sono tra noi». Tuttavia, contrariamente al passato, il governo non ha ancora addebitato l’esplosione a nessun gruppo in particolare, né agli attivisti democratici che operano in clandestinità né ai guerriglieri delle minoranze etniche attivi nel paese da sessant’anni. Il fatto che le autorità non abbiano accusato nessuno dell’attentato ha fatto pensare ad alcuni diplomatici che potrebbe essere stata la stessa giunta ad attuare l’intimidazione, in modo da giustificare le misure di sicurezza odierne.
Nella strage di anno fa, secondo le Nazioni Unite, i morti accertati furono 31 (tra cui un giornalista giapponese), anche se il bilancio potrebbe essere molto più grave; nella successiva ondata di rappresaglia da parte del governo furono fermate 3000 persone. La repressione continua ancora oggi: all’inizio di settembre è stata arrestata Nilar Thein, ex leader del movimento studentesco protagonista della rivolta del 1988 (pure repressa nel sangue), che era stata tra gli organizzatori delle manifestazioni dell’anno scorso. Fino alla cattura, la Thein ha vissuto in clandestinità, lasciando la figlia di quattro anni con il marito, anch’egli a sua volta condotto in carcere lo scorso mese di agosto. Secondo la giunta militare, quasi tutti gli arrestati di un anno fa sono stati liberati, mentre secondo le associazioni per i diritti umani sarebbero ancora 700 le persone detenute per motivi politici. Pochi giorni fa è stato rilasciato, dopo 19 anni di carcere, il più anziano prigioniero politico del Myanmar, il giornalista 79enne Win Tin.
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