Famiglia

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Registrare un indirizzo web con il nome di un’associazione o una persona e poi venderglielo a caro prezzo: una speculazione che negli Usa è punita con il carcere.

di Carlotta Jesi

Niente pantaloni larghi con boxer a vista e occhiaie nere da hacker che ha fatto la notte al computer. Capelli lunghi, slogan e pennellate da soldato anti globalizzazione? No: camicia azzurra, barba curata e taglio regolare. Con uno squatter multimediale che fa violenza su Internet, almeno fisicamente, l?imprenditore sardo Nicola Grauso ha ben poco a che fare. E forse proprio per questo, mentre media e governi di tutto il mondo davano la caccia ai ragazzini che per qualche ora hanno bloccato il server di Yahoo e risposto agli elettori americani al posto di Bill Clinton, tra fine ?99 e inizio 2000, con 60 miliardi di capitale, indisturbato, l?ex editore dell? ?Unione Sarda? oggi consigliere del partito Nuovo Movimento ha comprato mezzo milione di indirizzi Internet in tutto il mondo. Moltissimi in Africa e il resto in Italia, dove ha registrato domini Internet che corrispondono a nome e cognome di noti politici nostrani non ancora ?on line?: Mancino.it, Andreotti.it, Dipietro.it, Laloggia.it e l’intero gruppi dei Verdi a Palazzo Madama. Lo scopo di Grauso? «Il minimo che potrò fare sarà vendere agli interessati un indirizzo di posta elettronica personalizzato», ha dichiarato una volta scoperto. Una speculazione commerciale che negli Stati Uniti si chiama ?cybersquatting?, letteralmente sequestro di una persona virtuale, e può portare in prigione. In Italia no, per il momento: a Grauso si può imputare solo di aver reso visibile a tutti il pericolo di una nuova forma di schiavitù, telematica e imposta da multinazionali e imprenditori senza scrupoli a Paesi in via di sviluppo e cittadini del mondo. Un rischio che il Terzo settore italiano denuncia, inascoltato, da anni. «E, purtroppo, è divenuto un reale pericolo per i soggetti deboli a causa del vuoto legislativo in cui si muove l?Hi-tech italiano», spiega il segretario di Peacelink Carlo Gubitosa. Che nel 1998 ha lanciato una campagna internazionale per la tutela del non profit in rete e a ?Vita? spiega come le speculazioni alla Grauso siano una vera spada di Damocle che pende sulla testa del Terzo settore. «Grauso ha approfittato della deregulation avviata lo scorso 15 dicembre dalla Registration Authority, l?Autorità che regola l?assegnazione dei domini Internet in Italia che a fine ?99 ha deciso che mentre cittadini e associazioni senza partita Iva possono registrate un solo dominio Internet, aziende, privati e associazioni in possesso di Iva hanno il diritto di acquistare un numero illimitato di domini». Compresi quelli di chi una pagina web ancora non ce l?ha e in futuro dovrà comprare a caro prezzo un indirizzo costruito con il suo nome e cognome seguito da .it proprio da Nicola Grauso. Possibile? Ma davvero secondo la legge chi si chiama Mario Rossi non ha più diritti di un?azienda che con quel nome non c?entra nulla di avere l?indirizzo Internet www.mariorossi.it? Purtroppo no. Con le attuali leggi sull?assegnazione degli indirizzi Internet, i diritti stanno dalla parte di chi ha più soldi per esercitarli. Si spieghi meglio Facciamo un esempio concreto: a marzo 1998, la Metro Commerciale Spa, multinazionale tedesca, scopre che l?associazione culturale Metro Olografix di Pescara ha regolarmente registrato il dominio Internet www.metro.it e fa causa alla piccola non profit per ottenere quell?indirizzo. Sulla base di quale diritto? Solo quello del denaro. Che però ha funzionato: la Metro Olografix alla fine avrebbe anche potuto vincere, ma dove avrebbe preso i soldi per un processo lunghissimo come quello che il colosso tedesco aveva tutta l?intenzione di fare? Situazione terribile in cui, d?ora in poi, potrebbero trovarsi molti altri cittadini ed enti del Terzo settore. Che la Registration Authority, emanazione del Cnr e quindi ente a carattere pubblico che dovrebbe garantire a tutti la libertà di accesso alla rete, considera una categoria di serie B rispetto a chi svolge attività commerciali. Una discriminazione in nome dell?Iva, insomma. Che l?ente nazionale preposto alla registrazione degli indirizzi Internet ha reso ancor più grave impedendo di fatto alle associazioni di registrare domini.it dal 15 dicembre al 15 gennaio: l?arco di tempo necessario a smaltire comodamente il fiume di richieste di registrazioni commerciali pervenute dopo la liberalizzazione. Che in un mese si sono accaparrate centinaia di indirizzi Internet difficilmente riconducibili alla loro mission di mercato. Come è avvenuto per il dominio www.parrocchie.it: indirizzo web che don Ilario Rolle avrebbe voluto usare per il suo portale che da due anni ospita oltre cinquecento parrocchie ed ha scoperto essere stato acquistato da Renato Soru. Il fondatore di Tiscali, a lungo socio di Nicola Grauso, che con le parrocchie d?Italia ha davvero poco a che fare e al momento non sta utilizzando il dominio www.parrocchie.it. Cosa prevede la Registration Authority in questi casi? «Nulla», risponde ancora Carlo Gubitosa. «Nonostante le nostre sollecitazioni, nel nuovo regolamento per l?assegnazione dei domini Internet non c?è alcuna norma che vieti o almeno dissuada gli accaparratori di indirizzi web da fare incetta selvaggia di nomi altrui. Uno dei tanti indizi che confermano la direzione in cui si sta muovendo la Registration Authority: trasformare l?informazione telematica e Internet in una piattaforma commerciale globale». Come? Quali sono gli altri indizi? Invece di favorire l?accesso ad Internet del Terzo settore con sconti sui domini, per esempio, ha imposto modalità di pagamento contorte e vetuste. E impedisce ai cittadini deboli di registrare domini direttamente ai suoi uffici costringendoli a rivolgersi a provider che acquistano i domini dalla RA a prezzo fisso e li rivendono triplicando i costi». E meno male che Internet doveva annullare differenze socio-culturali e la povertà nel mondo.


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