Sostenibilità

Wwf: Ritrovare l’ambiente in Europa con scelte strategiche in 10 settori

L’80% delle norme ambientali italiane, che hanno migliorato la nostra vita, derivano dalla UE. L’Italia deve fare di più, condividendo le norme e gli standard ambientali comunitari che possono aiutare il Paese ad essere più competitivo su scala globale. Attualmente sono 17 le procedure d’infrazione aperte, 43 le istruttorie e 548 i milioni di euro pagati per multe europee

di Redazione

L’Italia può e deve sfruttare meglio il vantaggio di stare nell’Unione Europea condividendo con maggiore convinzione le norme e gli standard ambientali comunitari che possono aiutare il Paese ad essere più competitivo su scala globale. È quanto emerge dal dossier Italia chiama Europa – L’Ambiente ritrovato, presentato oggi dal WWF Italia che pone all’attenzione delle maggiori forze politiche in vista delle elezioni europee del 26 maggio, ricordando come si stia discutendo in tutto il mondo di un nuovo Global Deal post 2020 che integri le politiche di sostenibilità, con quelle climatico-energetiche e per la tutela della biodiversità all’orizzonte del 2030.

Alla presentazione del rapporto tenutasi nella sede nazionale del WWF a Roma Stella Bianchi, Pd; on. Matilde Siracusano, Forza Italia; on. Eleonora Evi, europarlamentare M5s; Elena Grandi, co-portavoce dei Verdi; Emanuele Pinelli, +Europa; on. Elena Lucchini, capogruppo Lega Commissione Ambiente della Camera dei Deputati; Serena Pellegrino, responsabile Ambiente Sinistra Italiana. Hanno portato il loro contributo anche due giovani del movimento Fridays For Future – FFF: Eugenia Aguilar Jareguei e Marianna Panzarino.

Nel dossier WWF si ricorda come, sul piano istituzionale, l’80% della legislazione ambientale del nostro Paese sia di derivazione comunitaria, con evidenti benefici per l’ambiente e per il benessere dei cittadini. E come, sul piano economico e sociale, i posti di lavoro verdi abbiano registrato una crescita dal 2000 al 2015 di ben 7 volte superiore a quella del resto dell’economia (nonostante la crisi esplosa nel 2008).

Ma, secondo lo screening, compiuto nel dossier dal WWF, il nostro Paese deve ancora migliorare le sue performance, visto che sono ancora aperte ben 17 procedure d’infrazione (che sono il 23% del totale delle procedure a carico dell’Italia) ed è sotto sorveglianza con 43 istruttorie EU Pilot (al primo posto in Europa) aperte per sospetta violazione delle norme ambientali – dato aggiornato al 2017 -, e come al 31 dicembre 2018 il nostro Paese abbia pagato oltre 548 milioni di euro di multe per il mancato rispetto della normativa comunitaria (dei quali più di 204 mln solo per le discariche abusive, oltre 151 mln per la gestione dei rifiuti in Campania e 25 mln per il mancato trattamento delle acque reflue urbane).

Eppure l’Unione Europea, che ha certo i suoi limiti di governance, non può considerarsi “matrigna” quando si pensi ad esempio che nel periodo di programmazione 2014-2020, come si ricorda nel dossier WWF, ha assegnato complessivamente oltre 4 miliardi di euro per l’agricoltura biologica e le indennità per le aziende agricole nei siti della Rete Natura 2000 – aree tutelate dalla UE – a valere sui 52 miliardi destinati al nostro Paese nell’ambito della PAC (Politica Agricola Comune). Ma nel dossier si rileva anche come i punti di debolezza del nostro Paese continuino ad essere la gestione dei rifiuti (con le procedure d’infrazione aperte sulla gestione dei rifiuti urbani, delle discariche, dei rifiuti pericolosi e dell’emergenza rifiuti in Campania), la gestione delle acque interne e marine (con le procedure di infrazione aperte sulla mancata depurazione delle acque reflue urbane, per la non corretta applicazione della Direttive Acque e Alluvioni e sull’Ambiente marino), la qualità dell’aria (per mancato rispetto dei limiti per il PM 10 e delle soglie massime per il biossido di azoto) e la migliore tutela degli ecosistemi (come dimostrano le procedure d’infrazione sulla governance e la conservazione della Rete Natura 2000).

«L’Europa ci ha insegnato come perseguire l’obiettivo dello sviluppo sostenibile tenendo conto del principio di precauzione nell’uso delle risorse naturali, migliorando i nostri standard di vita, grazie ad un patrimonio di 550 direttive, regolamenti e decisioni in campo ambientale. In questo periodo di crisi, gli elevati standard ambientali europei possono costituire un vantaggio competitivo per lo stesso rilancio dell’economia e della società italiana. Non bisogna però dare nulla per acquisito e rafforzare e rinnovare il ruolo globale dell’Europa contro il cambiamento climatico e il degrado ambientale», ha dichiarato Gaetano Benedetto, direttore generale WWF Italia.

In vista delle prossime elezioni europee, il WWF ritiene che si debba e si possa uscire e per questo chiede ai partiti in lizza per il rinnovo del Parlamento Europea 10 mosse per mettere l’Italia al passo con L’Europa:

1.C’è bisogno di dare finalmente gambe e concretezza alla Strategia per lo Sviluppo sostenibile e introdurre indicatori di impatto ambientale nella contabilità nazionale, territoriale e di impresa che includano il capitale naturale, oltre che recepire al più presto la nuova Direttiva per il bando di 10 oggetti fatti con plastica monouso, visto che l’Italia ha un elevata quota di riciclo (43,5% rispetto alle media europea del 30%), ma il 40% della plastica finisce ancora nei termovalorizzatori e il 16,5% in discarica.

2.Il nostro Paese deve dotarsi entro l’anno di un Piano Nazionale Energia e Clima che faccia scelte chiare, ambiziose e operative su fonti rinnovabili, efficienza e risparmio energetico e confermi l’uscita dal carbone entro il 2025. Inoltre va approvata una Strategia nazionale a lungo termine per arrivare al più presto, e comunque prima del 2050, a zero emissioni nette di gas serra per contribuire a contenere l’aumento febbre del pianeta entro l’1,5 gradi centigradi. In Italia le emissioni totali di gas serra sono diminuite al 2016 del 17,5% rispetto al 1990, ma preoccupa il fatto che siano tornate ad aumentare ogni anno a partire dal 2014, soprattutto a causa dei trasporti

3.L’Italia deve rilanciare la Strategia Nazionale per la Biodiversità, puntando su una migliore governance dei parchi nazionale e regionali e utilizzando lo strumento di co-finanziamento dei PAF (Pioritise Action Framework) per migliorare la tutela della Rete Natura 2000 (che copre il 19,3% della superficie terrestre e il 3,8 di quella marina), tenendo in considerazione che, come ricordato dal WWF, il nostro Paese ha il primato in Europa per la ricchezza della sua biodiversità con ben 57.468 specie animali (l’8,6% delle quali endemiche) e 8.000 specie vegetali (il 13% endemiche) presenti nel nostro territorio.

4.Per tutelare meglio i nostri mari bisogna attuare pienamente la Strategia Marina Nazionale, incrementando il numero di SIC (Siti di Interesse Comunitario) marini e rafforzando il numero e il ruolo delle aree marine protette (AMP), visto che siamo ben lontani del target del 10% di superficie marina protetta, visto che le acque territoriali italiane tutelate dalle AMP si attesta allo 0,5% che raggiunge l’8% solo se si include il Santuario internazionale “Pelagos” per la tutela dei cetacei, che però non ha un proprio ente di gestione.

5.Si deve anche porre fine al sovrasfruttamento degli stock ittici utilizzando virtuosamente i Fondi europei per la pesca (FEAMP) e contrastando la pesca illegale e non regolamentata, considerando che oltre l’80% degli stock ittici europei subisce elevati livelli di sovrasfruttamento e favorendo il settore della piccola pesca (che costituisce il 70% della flotta peschereccia italiana impiegando 13mila addetti) più colpito e quindi più sensibile alla co-gestione sostenibile della pesca.

6.Il nostro Paese deve sostenere, inoltre, una riforma della Politica Agricola Comune (PAC) post 2020 che assicuri eco-schemi obbligatori per gli Stati membri, destinando ad essi il 30% de lle risorse disponibili e conseguendo l’obiettivo del 40% della SAU (Superficie Agricola Utilizzata) certificata in agricoltura biologica entro il 2030 e sostenendo anche il presidio delle aziende agricole presenti nella Rete Natura 2000 destinando almeno il 10% dei fondi dello sviluppo rurale alla gestione della Rete. Secondo le rilevazioni della RRN/WWF, le aziende agricole in Natura 2000 sono oltre 214 mila con una SAU di oltre 1,5 milioni di ettari.

7.Bisogna fare anche sforzi ulteriori per favorire un’agricoltura pulita dando piena attuazione alla Direttiva Nitrati e approvando un nuovo Piano d’Azione Nazionale Pesticidi che indichi severe regole per il loro uso e distanze minime obbligatorie di sicurezza dalle abitazioni e dalle colture biologiche e per ridurre il loro impiego nei siti della Rete Natura 2000, visto che le misure di conservazione introdotte sin dal 2015, come rilevato dal WWF, per il 98,5% dei casi non sono conformi a quanto stabilito dal vecchio PAN sull’uso dei fitofarmaci, scaduto il 17/2/2019).

8.Si persegua seriamente l’obiettivo, stabilito dalla Direttiva Quadro Acque per il conseguimento del buono stato ecologico delle acque entro il 2025 e si mettano al centro della pianificazione dei distretti idrografici e nella definizione delle priorità di intervento nazionali le Autorità di Bacino, visto che solo il 43% dei 7.494 fiumi italiani monitorati è in buono stato di salute mentre solo il 20% dei 247 laghi ha conseguito questo obiettivo, mentre negli ultimi 50 anni, come attestato dal WWF, abbiamo consumato il 7,3% del suolo nelle aree a rischio elevato e il 10,5% di quelle a maggior rischio.

9.Abbiamo anche bisogno di una Strategia pluriennale a sostegno dell’economia circolare che punti all’innovazione dei processi produttivi e alla responsabilizzazione del consumatore, visto che pur essendo considerata l’Italia da Eurostat uno dei Paesi europei on le migliori performances di circolarità, siamo in difetto sulla raccolta dei rifiuti elettrici ed elettronici, come siamo in ritardo sulla raccolta e trattamento della frazione organica, mentre abbiamo solo disposizioni locali sui tessili e sui rifiuti da demolizione.

10.Bisogna dare nuovo rilancio anche alle iniziative che favoriscono l’end of waste, ferme alla fine degli anni ‘90, e introdurre forme di responsabilità estesa del produttore (EPR), utilizzando anche la leva fiscale per penalizzare l’uso inefficiente di materiali e di energia, considerando che ancora oggi il 23% dei rifiuti italiani finiscono in discarica mentre si avvicina l’obiettivo della riduzione allo 10% al 2035 e ancora si discute degli inceneritori, quando il nostro Paese è il terzo Paese in Europa per numero di questi impianti ( in Italia sono attivi sono 88 gli impianti di incenerimento di rifiuti speciali, 3.672 impianti di recupero di energia da rifiuti speciali e 50 per rifiuti urbani).

Foto: Nicolas Prieto/Unsplash

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