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World Economic Forum: che cosa destabilizza l’Africa?
Mentre l'Italia perde tempo con le polemiche innescate da Di Battista sul franco CFA, al WEF viene discussa la questione del Sahel, l'area più cruciale del Continente, dove violenza jihadista, carestie, instabilità politica, mutamento climatico e sfruttamento predatorio delle risorse vanno a braccetto
di Marco Dotti
Dall'Atlantico al Corno d'Africa, il Sahel taglia in orizzontale il continente africano. Il suo nome significa "al limite il deserto" e, in effetti, gran parte del territorio di quest'area sub sahariana è sabbia.
Ma per capire l'importanza geostrategica del Sahel basta ricordare gli Stati che lo compongono: Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, Burkina Faso, la parte sud dell'Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l'Eritrea.
Carestie. cambiamento climatico, instabilità politica, caccia alle risorse e terrorismo rendono il Sahel una delle regioni più critiche e strategiche del pianeta. Non stupisce che nelle scorse ore l'area sia stata al centro dell'attenzione al World Economic Forum di Davos.
Evidentemente, però, molti italiani erano impegnati a discutere del Franco CFA evocato da Di Battista nel salotto televisivo di Fabio Fazio e si sono distratti. Eppure in Sahel si giocano molte sfide decisive e, se proprio volessimo trovare un nesso con le migrazioni, è proprio lì che dobbiamo guardare e, di conseguenza, arire
Dopo la crisi alimentare che si è abbattuta sulla regione nel 2012, si stima siano ancora oltre 33milioni le persone a rischio carestia nell'intera area.
Un'area dove le Nazioni Unite ritengono che circa l'80% dei terreni agricoli sia degradato e le temperature in aumento di 1,5 volte più velocemente della media globale. A questo si deve aggiungere che oltre 50 miioni di persone nel Sahel dipendono interamente dal bestiame per la loro sopravvivenza.
Riducendosi la terra a disposizione, aumentando la temperatura queste persone – spiegano in un lungo dossier presentato al WEF. il cofondatore del think tank Igarape Institute Robert Muggah e José Luengo Cabrera, West Africa researcher dell’ International Crisis Group – si muovono sempre più a nord.
QUI POTETE VEDER LA TIME LINE DELLA CRISI CLIMATICA NEL SAHEL
Leggiamo dal report The Sahel is engulfed by violence che nel 2018 i Paesi dell'area hanno conosciuto un livello di violenza terroristica e organizzata senza precedenti.
Ciò vale in particolare per il Mali e il Burkina Faso, che hanno entrambi registrato i più alti tassi di mortalità legati al conflitto negli ultimi anni.
Considerando tutti i paesi del gruppo G5 Sahel insieme, nel 2018 il numero di morti è quadruplicato rispetto al 2012, con il 62% di tutti i decessi violenti segnalati concentrati in Mali. Nel 2018 almeno 5 milioni di persone sono state sfollate oltre confine o all'interno del paese e 24 milioni di persone hanno avuto bisogno di assistenza alimentare in tutta la regione.
Nel 2018 il Niger ha visto tiplicare 2018 proteste e disordini e si è registrato un aumento della violenza alle frontiere. Una nuova legge fiscale e la spirale del costo della vita hanno scatenato ondate di disordini. Secondo l' Armed Conflict Location & Event Data Project, nel 2018 si sono verificate circa 30 proteste di massa, rispetto alle 11 del 2017.
Circa il 60% di questi eventi si sono concentrati nella capitale Niamey. In aumento anche la violenza tra le comunità, anche nel Niger occidentale al confine tra Burkina Faso e Mali. Più di 52.000 persone sono state sfollate solo nel 2018 (a cui si aggiungono i 144.000 che, secondo le stime, sono già sfollati). A peggiorare le cose, il numero di persone che sono insicure dal punto di vista alimentare dovrebbe aumentare di oltre il 55% quest'anno, passando da 787.000 nel 2018 a 1.221.000 nel 2019.
Nel frattempo, la cintura centrale della Nigeria è in fiamme. La violenza dei contadini è oramai di gran lunga più letale del caos provocato da Boko Haram.
Le controversie violente che coinvolgono le milizie dei pastori, inoltre, sempre più sono dovute a un'interazione di fattori, tra cui il controllo delle aree di pascolo, le dispute sulla terra, la manipolazione da parte delle élite e l'estremismo. Il sentimento anti-statale produce terreno fertile solo per la violenza e il reclutamento jihadista.
Gli investimenti umanitari e di sviluppo nelle regioni di confine e nei beni pubblici sono essenziali, hanno spiegato gli esperti al WEF.
In tutto il Sahel vi sono esigenze vaste e insoddisfatte. Infatti, quelli del Sahel sono tra i 10 paesi con i risultati più bassi dell'indice di sviluppo umano. Che fare? Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e altri hanno scoperto che i progetti su piccola scala incentrati sui beni pubblici generatori di reddito – pozzi di pace, generatori di elettricità solare, mercati comunitari o produzione lattiero-casearia – possono avere un effetto calmante, purché non alimentino la rivalità o la concorrenza.
Sono essenziali anche un costante miglioramento della fornitura di servizi alle aree marginali e gli sforzi per correggere le disuguaglianze politiche ed economiche. Agire, anziché sventolare franchi sulla tv di Stato è ben più che auspicabile. È necessario
In copertina: "Welcome to the Sahel", fotografia di Ammar Hassan
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