Qualche giorno fa il guruGiorgio Soffiatosiglava con un post la resa – spero non incondizionata – all’informazione “fast and frugal” dei social network. E se ad arrendersi è lui – uno dei migliori navigatori nel mare magnum dei contenuti digitali, arrivando a dubitare delle proprie opinioni di fronte a titoli corti e gridati – allora stiamo freschi. Aggiungiamo pure un dettaglio: il post è stato pubblicato, quasi con chiaroveggenza, il giorno prima di #brexit, ovvero dell’evento che ha rimesso a nudo i limiti dei processi e delle pratiche attuali della democrazia deliberativa.
Ma cosa c’entra tutto questo con la nuova edizione del Workshop sull’impresa sociale? In apparenza poco ma in realtà molto, guardando ad aspetti di forma che però svelano elementi di sostanza (comunicativa).
La prima formalità è che il titolo di eventi come il Workshop di Iris Network segna una traccia sempre più labile e quindi per seguirla è necessario lavorare su declinazioni e implicazioni. “Equità e sostenibilità in uno scenario diseguale” riprende infatti elementi standard del dibattito sulle società post-crisi che hanno bisogno di essere ricombinati attraverso contenuti che si alimentano soprattutto con dati di esperienza. Per questa ragione abbiamo corso consapevolmente il rischio di utilizzare, per lo svolgimento del tema, titoli lunghi e pure contrassegnati dal punto interrogativo. Se le conversazioni “social” avranno presa, i temi diventeranno sessioni di lavoro al Workshop che si terrà il prossimo 15 e 16 settembre a Riva del Garda. Altrimenti si perderanno nel mare magnum di cui sopra.
Ecco su cosa vorremmo confrontarci.
C’è poi un’ulteriore formalità che riguarda il modo in cui si pongono le questioni. A dominare quest’epoca sono infatti coppie di opposti tra le quali, periodicamente, si pendola: tra stato e mercato, tra pubblico e privato, tra profit e nonprofit, tra filantropia e finanza, ecc. Ora in questo gioco delle coppie è entrata anche advocacy vs produzione, tipico frutto di un tempo diseguale. Dopo anni passati a sperimentare modelli economici per perseguire obiettivi sociali, cresce una nuova domanda di diritti alimentata da piattaforme politico culturali in buona parte inedite. Pendolare tra questi opposti sarebbe però un grosso errore. Lascerebbe, da una parte, l’economia sociale senza terra sotto i piedi, cioè senza legittimazione sociale rispetto ai beni e servizi che produce. Dall’altra, diritti formalmente riconosciuti – e magari declamati il sabato sera in TV – rischiano di essere, nei fatti, inesigibili se manca la capacità di mobilitare risorse non solo per via pubblica e redistributiva, ma anche attraverso produzioni economiche che incorporano valore sociale. Una sfida notevole per imprese sociali che si trovano a ricombinare questi aspetti in uno scenario ben diverso – in termini di rischi e opportunità – rispetto a quello in cui queste organizzazioni sono nate (e hanno prosperato).
Ecco quindi la scelta di puntare non sugli opposti, ma sull’endiadi: una figura retorica che esprime un concetto con due termini coordinati e complementari, dove uno rafforza l’altro per esprime un contenuto più denso. Come equo e sostenibile. Sufficientemente breve per un tweet, eppure capace – ci auguriamo – di suscitare esperienze e proposte che ben volentieri raccoglieremo grazie al vostro aiuto.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.