Welfare

Welfare : “Più che cambiare deve iniziare a esistere”

Intervista a Tito Boeri: "Nel futuro l’Italia deve mettersi alla pari con l’Europa con un sistema di reddito minimo, anche a costo di penalizzare le pensioni"....;

di Joshua Massarenti

Con Tito Boeri a parlare di welfare. Del welfare che c?è, di quello che non c?è mai stato. Di quello che sarà. Inizia così una serie di dialoghi realizzati attorno alle parole chiave del nostro futuro. Boeri insegna Economia del lavoro all?università Bocconi di Milano. Ha in curriculum un decennio (dal 1987 al 1996) come senior economist all?Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Oggi dirige anche la Fondazione Rodolfo De Benedetti. Vita: Una cosa ci è abbastanza chiara: che il welfare che abbiamo conosciuto non c?è più, non è più sostenibile per una serie di ragioni. I grandi numeri della demografia, innanzitutto. Poi c?è il prelievo fiscale, che non è in grado di sostenere i nuovi servizi, per rispondere ai bisogni che sono sempre di più e più diversificati. Quello che invece non è chiaro è quale sia il nuovo welfare. Sicuramente non si può più pensare al welfare come a un rubinetto, che eroga dei servizi e delle prestazioni. Anche il welfare, così come il denaro e la ricchezza, è qualcosa che bisogna rincominciare a produrre. Questo è punto serio con cui parlare di welfare in maniera nuova? Tito Boeri: C?è un primo ragionamento da fare e riguarda lo specifico italiano nel panorama europeo. Un secondo ragionamento invece è legato al coinvolgimento di privati nella fornitura di servizi e prestazioni sociali: cioè quello che viene chiamato passaggio dal welfare state alla welfare society. Li terrei separati perché sono due problemi di ordine diverso. Vita: Partiamo quindi dall?Italia. Boeri: Chiariamoci innanzitutto che cosa intendiamo per welfare: stiamo parlando di prestazioni sociali rivolte ai segmenti più deboli della popolazione, quindi stiamo parlando in genere di schemi per i poveri che combattano la povertà. Secondo me non sono più sostenibili schemi universalistici e confusi: per fare ridistribuzione a favore dei poveri, per combattere la povertà ci vogliono comunque degli schemi selettivi. In realtà è possibile avere un principio universalistico e selettivo al tempo stesso: ci devono essere regole che siano uguali per tutti, ma tra queste regole c?è anche una clausola di esclusione di chi ha un reddito al sopra di un certo livello. Non sto parlando di pensioni. Né di misure per la famiglia e per i figli: tutte cose che vengono affidate ai sistemi di protezione sociale ma che sono altre cose rispetto allo specifico del welfare. Bene. Se parliamo di welfare come politiche contro la povertà dobbiamo prendere atto che l?Italia non ha mai avuto un vero sistema di welfare. Esistono tante cose a livello locale, realizzate in modo diseguale. In realtà il welfare italiano sostanzialmente è stato la famiglia che aiutava chi era in condizioni di maggiore bisogno. La famiglia estesa ha dato questo servizio. Vita: E per quanto riguarda il passaggio dal welfare state alla welfare society? Boeri: è una prospettiva interessante e stimolante. è indubbio che ci vuole un maggiore coinvolgimento dei privati, che bisogna incentivare il volontariato. All?estero lo sviluppo delle charity è molto più avanti che da noi. Però, se parliamo dell?Italia specificatamente, a mio giudizio in questo momento c?è ancora molto ?state? da fare. Il livello di base minimo deve essere fornito dallo Stato. Abbiamo bisogno di metter in piedi in Italia uno schema come quello che esiste in 13 Paesi su 15 della vecchia Unione europea prima dell?allargamento, e che già esiste in diversi Paesi dell?allargamento. Ad esempio ci vuole un sistema di reddito minimo garantito. Si fanno delle valutazioni sulla condizione reddituale patrimoniale degli individui, si vede la loro posizione rispetto alle soglie di povertà che vengono stabilite, e si integra il reddito in modo tale da portarlo al di sopra di quella soglia. Tutto quello che sta al di sopra di questo servizio di base per tutti, va benissimo che sia affidato privato e che sia legato al volontariato. Vita: Come si finanzia questa lotta alla povertà? Boeri: è un problema molto serio. La ricetta si chiama: meno pensioni più welfare. Non c?è dubbio che si debba cambiare la distribuzione della spesa sociale. Bisogna intervenire sulle pensioni nel senso di estendere a tutti il metodo contributivo nel limiti del possibile… Seconda operazione è quella di razionalizzare i sussidi di disoccupazione. Attualmente abbiamo una pletora di istituti diversi, alcuni molto generosi altri molto meno. E in più anche qui abbiamo politiche attive la cui efficacia è molto discutibile. Noi spendiamo circa metà dei fondi per i disoccupati in politiche attive senza una valutazione seria dell?efficacia di questi strumenti. E io ho il forte sospetto che molti di questi istituti siano del tutto inefficaci. Per esempio, molte attività di formazione non sappiamo esattamente se effettivamente servano. La letteratura degli studi di valutazione a livello internazionale ci dice che in casi molto rari queste cose funzionano. Poi ci sono tutti gli incentivi: per esempio, per la riassunzione delle persone in lista di mobilità. E qui è documentato che ci sono casi di abusi, molto frequenti, di imprese che assumono dalle liste di mobilità e quindi dopo un anno, quando scade il sussidio, rilicenziano la persona che ritorna lì alle stesse condizioni. è un modo per ridurre i contributi. Una razionalizzazione libererebbe molte risorse. Vita: Come sta cambiando la geografia della povertà? Boeri: Abbiamo una situazione di disagio crescente che si spiega con molto fattori ma non specificatamente con l?impoverimento, con quello che tecnicamente si definisce impoverimento. Non è aumentato negli ultimi due o tre anni, dai dati che disponiamo, il numero di persone che possono essere classificate come povere sia in termini assoluti che relativi. Anzi la povertà assoluta è notevolmente diminuita. La vera questione è che restiamo tra i Paesi europei che hanno i livelli di povertà più elevati e anche le disuguaglianze più elevate. Dal punto di vista dei redditi siamo più disuguali di tanti altri Paesi. Oggi c?è più povertà tra gente che lavora, prima era solo tra chi non lavorava; c?è più povertà tra i più giovani, prima era solo tra persone di età adulta; c?è più povertà tra famiglie con tanti figli. Invece c?è meno povertà degli altri Paesi europei tra i single con figli, questa è una cosa abbastanza unica della situazione italiana. Sono dati emersi dall?Indagine sui bilanci delle famiglie promossa da Banca d?Italia e che ho realizzato insieme ad Andrea Brandolini. Credo sia l?indagine più seria fatta in Italia su questa questione. Vita: Cosa viene fuori? Boeri: Apparentemente questa sensazione di diffuso impoverimento non si spiegherebbe alla luce dei dati. In realtà c?è stato un visibile ridimensionamento delle aspettative delle famiglie. Erano abituate a livelli di crescita di reddito molto maggiori. Invece c?è stato un fortissimo rallentamento, frutto di questi anni di Pil piatto. In secondo luogo sono emerse disuguaglianze orizzontali anziché verticali: ci sono categorie di persone che hanno cambiato la loro posizione, come quelle coinvolte dal più grosso fenomeno che abbiamo avuto negli ultimi anni, quello di uno spostamento di redditi da lavoro dipendente a quelli da lavoro autonomo. Nel lavoro dipendente oggi ci sono povertà più diffuse, mentre tra i lavoratori autonomi ci sono molto meno poveri che in passato. Inoltre in presenza di una situazione in cui il reddito è praticamente piatto, è aumentata la volatilità per cui le persone hanno più rischio di cambiare la loro situazione: è facile trovare un lavoro, ma è facile anche perderlo. Allora se una persona, pur a parità di reddito, coglie una situazione in cui è più incerto il proprio reddito futuro, lo avverte come una perdita di benessere. Di qui la sensazione di diffuso impoverimento che avvertiamo. Vita: C?entra quindi la mancanza di welfare state nel senso che lei diceva prima? Boeri: Certo. Se ci fossero delle coperture minime come quelle che ci sono in altri Paesi probabilmente anche questi sviluppi verrebbero percepiti in modo meno drammatico. Se il rischio viene dal mercato del lavoro basterebbe avere degli ammortizzatori sociali con maggior copertura, non necessariamente più generosi in termini dell?ammontare di ciascuna prestazione, ma che coprano, ad esempio, molti lavoratori delle piccole imprese, che coprano alcuni dei lavoratori che hanno condizioni di lavoro temporaneo. Vita: Il fattore demografico come gioca in tutto questo contesto? è una causa? Boeri: è sicuramente il fattore che ha mandato in tilt i conti previdenziali. Se avessimo avuto sistemi pensionistici ben concepiti, in grado di adattarsi, di avere dei processi di aggiustamento automatico all?invecchiamento della popolazione, si poteva evitare questo contraccolpo. Per esempio, l?ammontare che uno accumula nel corso della sua vita lavorativa viene ripartito su più annualità. Poi ci sono gli incentivi a lavorare più a lungo. Chi ci ha pensato prima ha retto benissimo all?onda demografica senza dover fare aggiustamenti clamorosi. Per inviare mail a tito Boeri: tito.boeri@uni-bocconi.it Le parole che cambiano. Interviste per un nuovo dizionario del sociale La serie di dialoghi che, a partire da questa settimana, troverete nelle ultime pagine di Vita, scaturiscono da una necessità molto semplice: quella di capire meglio alcune parole decisive per il nostro futuro. Le parole infatti cambiano in due direzioni. Da una parte mutano il loro significato, si adeguano a una realtà più complessa o comunque profondamente in mutazione. Dall?altra sono anche parole che contengono un?energia in grado di cambiare poco o tanto la realtà. Capirle meglio significa avere tra le mani uno strumento più affinato. Conoscerle meglio significa aprirsi orizzonti, cioè aumentare la capacità di visione del futuro. La parola di settimana prossima è Etica. Ne ragioneremo con il teologo Pier Angelo Sequeri.


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