Volontariato

Welfare: per l’Iref è diviso in quattro

È quanto emerge dalla mappa messa a punto dall'istituto di ricerca delle Acli

di Gabriella Meroni

Il welfare italiano è segmentato in quattro mondi diversi: è quanto emerge dall’ultima ricerca dell?Iref, l’istituto di ricerca delle Acli. L’Iref ha realizzato una mappa precisa e articolata del welfare italiano, prendendo in considerazione diversi aspetti delle politiche di benessere, tra cui la spesa sociale di Regioni e Comuni e l’offerta di servizi cruciali per le famiglie (asili nido e ricoveri per anziani). Il risultato è il ritratto di quattro “mondi”, quattro ambiti geografici in cui si possono osservare regimi socio-assistenziali profondamente dissimili. C’è il welfare “ricco” della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, con una spesa sociale e un’offerta di servizi pubblici talmente sopra la media nazionale da far prefigurare una condizione di vero agio per le famiglie residenti. Un secondo gruppo di Regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia ed Emilia Romagna) è caratterizzato da un welfare “efficiente”, con un livello di prestazioni assistenziali molto alto, nonostante le difficoltà dovute ad una popolazione numerosa e ad un territorio molto esteso. Meno felice la situazione di Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e Sardegna. In queste Regioni il welfare tiene, ma è “sotto pressione”, gravato da un fattore demografico esplosivo: l’invecchiamento della popolazione, che qui incide più che altrove. L’ultimo gruppo ripropone l’annoso dilemma del Meridione. In esso, infatti, si collocano indistintamente tutte le regioni del Sud, fuorché la Sardegna: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Tutte caratterizzate da un welfare assolutamente “fragile”, che registra i valori più bassi quanto a spesa sociale, dotazione di posti negli asili nido e nelle strutture per anziani, presenza del Terzo Settore. Le disuguaglianze e gli squilibri tra le diverse regioni italiane dimostrano che una visione della politica che spinge verso la diversificazione territoriale degli interventi sociali, non può comunque prescindere da una concezione universalistica del welfare, che garantisca a tutti, in ogni parte del Paese, alcuni standard essenziali di benessere. Tanto più se si guarda al paradosso per cui la spesa sociale (e con essa l ‘offerta di servizi) si rivela più bassa proprio dove la logica – per lo meno una logica solidale – vorrebbe che fosse più alta, laddove cioè i redditi e i tenori di vita sono inferiori alla media. Ciò costituisce un grave handicap strutturale per lo sviluppo sociale ed economico delle regioni del Mezzogiorno, perché una buona dotazione territoriale di beni pubblici – dimostra la ricerca – è la premessa indispensabile perché sia l ‘uomo che la donna possano inserirsi nel mercato del lavoro, riuscendo solo così a garantire alla famiglia un livello di benessere sufficiente. Una riflessione, infine, sulla realtà e il ruolo del Terzo settore in Italia: dove esso è più presente – documentano i dati – maggiori sono anche gli investimenti per il sociale e migliore è l’offerta di servizi. Uno scenario sicuramente positivo, che però non vede ancora risolta la questione centrale del ruolo che l’associazionismo può e deve assumere: relegato alla sola gestione concreta delle prestazioni assistenziali oppure coinvolto nei processi di programmazione delle politiche sociali. La legge 328 del 2000 aveva dato un forte segnale in questa seconda direzione. I gravi ritardi, però, nella sua applicazione rischiano di vanificare gli sforzi fatti e i progressi compiuti, sia dal punto di vista pratico della qualità dei servizi offerti, sia dal punto di vista dei cambiamenti culturali e politici.


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