Politica

Welfare, l’innovazione si fa in Comune

Brescia, Milano, Pavia e Parma. Quattro responsabili delle politiche sociali territoriali a confronto nella redazione di Vita. Obiettivo: condividere le idee migliori. Ecco come è andata

di Redazione

 
Innovazione: questa è la parola chiave per affrontare il problema dei fondi che scarseggiano.  Nella redazione milanese di Vita quattro amministratori comunali (i tre assessori alle Politiche Sociali di Brescia, Pavia, Milano più la direttrice dell'assessorato al Welfare di Parma) per la prima volta si sono confrontati attorno allo stesso tavolo. Nelle righe seguenti troverete la trascrizione della chiacchierata tra Felice Scalvini, Rodolfo Faldini, Pierfrancesco Majorino e Isabella Menichini.  Ciascuno di loro ha proposto la ricetta, ma c’è pieno accordo su due punti di base fondamentali: 1. Le politiche sociali devono cambiare modello di intervento; 2. Il Terzo Settore è un attore fondamentale, ma deve essere in grado di concepirsi in modo più moderno ed efficiente.
 
PARTECIPANTI: 
Felice Scalvini (Assessore Politiche sociali e famiglia Brescia)
Rodolfo Faldini (Assessore educazione e giovani Pavia)
Pierfrancesco Majorino (assessore Politiche sociali Milano, nella foto)
Isabella Menichini (direttore assessorato Politiche sociali Parma)
 
 
FELICE SCALVINI (Brescia): 
Stiamo approntando il Programma Triennale per presentare le linee strategiche. Nel programma del PD che ha vinto c’era anche la costituzione del Fondo per la non autosufficienza.
Sto cercando nel  lavoro di assessore di non smentire il mio impegno nel volontariato e nella cooperazione sociale. Il mio passato mi spinge a ragionare in termini universalistici. In questo momento di contrazione delle risorse, se si vuole garantire l’universalismo bisogna cercare di essere più efficienti. Dobbiamo arrivare dappertutto, cerchiamo di  essere tutti meno pessimisti. Sono arrivato da poco, devo ancora capire com’è la macchina che sono chiamato a gestire. Io ho 36 milioni di budget, dalla Regione mi arrivano meno di tre milioni. Le risorse dobbiamo a nostra volta trasferirle ad altri soggetti, gli attori della politica sociale sul territorio.
 
Bisogna affrontare il problema della vischiosità normativa: c'è un accumulo di situazioni vischiose. In un Comune che è stato ricco (Brescia) l’idea è sempre stata che il Comune dovesse occuparsi del servizio e incorporare il privato sociale nelle sue varie forme. Siamo passati da 3 milioni a 1 milione per l’assistenza domiciliare: questa non è l’idea di universalismo che coltivo.  Allora, è necessario guardare il sistema complessivo dei produttori dentro la città. Il Comune non è l’unico soggetto da prendere in considerazione
 
L'obiettivo che dobbiamo porci è guardare al sociale con gli occhi del distretto industriale. La mia idea è che l'assessorato sia in grado di fare impresa in questo senso. Attraverso una politica industriale, anche nel settore sociale, faremo in modo che questo mondo copra in termini universalistici. 
 
Facciamo l'esempio delle strutture diurne per i portatori di handicap: il mio funzionario mi ha detto che c’è una lista d’attesa piuttosto lunga. Io ho replicato al funzionario: il problema non è la lista d’attesa. Ditemi piuttosto quanti posti sono a disposizione per i prossimi anni. Oggi ne abbiamo 302, dovremo arrivare a 420 nel 2015. Come riusciremo ad aumentare la spesa di 1/3? Non possiamo basarci solo sugli standard regionali, piuttosto bisogna imparare ad essere imprenditori innovativi. Tutti devono avere chiaro qual è l’assetto delle nostre risorse.
 
Il mio compito è sollecitare i diversi settori, ma non metterli in concorrenza. Il discorso che faccio io è il seguente:“Signori, queste sono le risorse, ora è il vostro turno: metteteci le vostre risorse, la vostra intelligenza”. Da lista d’attesa deve diventare gestione dei flussi. Basta con l’affidamento in gara. Non so se l’anno prossimo sarò a zero gare, ma la mia tendenza è quella di abolirle del tutto. E convocare tutti alla responsabilità.
 
Tutti si proclamano paladini del bene comune, ma il bene comune si realizza nell’armonizzazione. Altrimenti succederà che avremo tanti gestori del bene comune l’uno in competizione con l’altro. Faccio un parallelo coi ragazzi guerrieri del Sudan: messi di fronte alla pace non sanno che pesci pigliare. C'è un'operazione che abbiamo messo in cantiere. Noi, Comune, abbiamo tre Fondazioni: ho già impostato la discussione per cambiare la governance. Dobbiamo creare un sistema duale dove il Comune è uno dei soggetti che nomina l’organo d’indirizzo (e non dovrà essere quello maggioritario). Organo d’indirizzo dove entrano i lavoratori, i beneficiari, le famiglie, le organizzazioni di volontariato. Questo organo d’indirizzo eleggerà un consiglio d’amministrazione ristretto, tecnico, operativo e mettiamo sotto controllo queste cose che sono dei mostri (preponderante nomina politica, consigli d’amministrazione che una volta nominati sono totalmente autonomi, senza un sistema di controllo).
 
Il Comune deve cedere territorio ma deve conoscere l’assetto che c’è dietro le amministrazioni. Capire se le Cooperative sono espressione del territorio. Prendiamo il caso della mia città, Brescia: nell’assistenza domiciliare siamo stati i primi, invece ora non c’è una cooperativa locale di assistenza domiciliare. Erano nate legate ad alcuni quartieri. Io avrei bisogno come il pane di punti di riferimento strutturati per gli anziani nei quartieri. Le organizzazioni del sociale non devono essere considerate partecipate solo dal Comune,  devono esserci gli interessi della città là dentro. Vorrei che ci siano sistemi di autocontrollo.
Nel nostro piccolo stiamo dando il buon esempio sotto il profilo dell’efficientamento: gli autisti  li usiamo non per la Giunta, ma per i portatori di handicap. Per il trasporto usiamo persone munite di patente C. 
 
Non voglio che a Brescia l’erogazione avvenga sulla base di progetti. Voglio introdurre un nuovo meccanismo: presentare un programma accettabile che coincida con alcuni obiettivi (come lo sviluppo di un nuovo volontariato). Creare le condizioni per cui l’anno prossimo se queste persone presentano una rendicontazione del lavoro fatto, in automatico avranno la conferma per l’anno successivo. Quello che vien fatto bene in alcuni pezzi di città deve diventare epidemico: io gli do i fondi, ma loro devono fare un’azione diffusiva. 
 
 
RODOLFO FALDINI (Pavia): 
Ho trovato molti punti analoghi con Scalvini. Non condivido però la progettazione di piani a lunga scadenza, non mi trovo d’accordo sull’impostazione assembleare, modalità di stare insieme per poi spendere. Ho un’impostazione personale diversa: proporre per poi decidere. Così scongiuriamo il rischio che venga meno il ruolo dell’Ente, che deve coordinare tutte le realtà legate all’imprenditoria sociale. Benché io abbia fatto un po’ il ‘Vietcong’ sconfinando dalle mie deleghe e facendo servizio sociale in molti casi (con la casa circondariale di Pavia, col carcere).
 
Abbiamo cominciato da una riflessione su Milano – contro l’alcolismo dei minori ai tempi della Moratti si applicavano le multe. Io ho fatto un discorso differente rispetto all’ex sindaco: contro la dispersione giovanile abbiamo fatto ricerca, in collaborazione con l'Università, e poi intervento, laboratori coi psicologi nelle scuole, raggiungendo risultati significativi. Abbiamo voluto crescere dei tutor, ne abbiamo formati una ventina. Vogliamo continuare per aumentare la consapevolezza sul problema. A Pavia il nostro metodo di lavoro è rivoluzionario, abbiamo interrogato un po’ tutti quanti: questo di coinvolgere tutti è un caposaldo da cui non si deve fuggire. Siamo partiti con pochissime risorse (20.000 euro l’anno per questo progetto specifico sui giovani). Ho messo davanti tutti i dirigenti scolastici (prefettura, questura, responsabile Casa del giovane). A Pavia c'è un movimento culturale che ha portato a varare la legge regionale. 
 
La mia città aveva la maglia nera per quanto riguarda le spese sui giochi d’azzardo, abbiamo fatto una marcia "No Slot”. La cosa ha avuto eco nazionale. Ne abbiamo parlato a Roma con Crepet, Maccanico, abbiamo affrontato il tema dell' “azzardopatia”, l’autorità religiosa sfilava coi giovani. Tutta la città ha risposto a un bisogno in maniera unitaria. 
 
Soffermiamoci sul welfare. Prima si parlava di gare, di imprenditoria sociale. Noi abbiamo a che fare con le Cooperative sociali, io appalto ogni due anni situazioni che gestisce il privato sociale per conto nostro. 
 
Se non ci fosse il privato cattolico nelle scuole di Pavia noi avremmo 450 bambini da ospitare nelle nostre scuole materne. Il pubblico non può fare a meno del privato. Sulla disabilità, per quanto riguarda la spesa abbiamo conflitti tra le istituzioni che si riverberano. 
La crisi della famiglia, della società si riflette anche per quanto riguarda il pagamento della mensa a scuola. C'è una grande maleducazione civica, che si riflette anche nel ritardo del pagamento delle bollette, anche quelle di dieci anni fa.
Manovra comunale sul prossimo assestamento di bilancio: 200.000 euro per il pagamento delle pigioni di chi è sotto sfratto; faremo un regalo di Natale per le famiglie più bisognose: non far pagare la mensa durante il mese di dicembre. 
 
Parliamo dei servizi educativi. Ho chiuso una scuola materna che aveva pochi bambini e tanti educatori. Mi sono messo d’accordo col privato: ho chiesto "mi ristrutturi la scuola? Fanne un asilo nido". Entro aprile 2014 aprirò l’ottavo asilo nido. 
 

Il Forum sul Welfare municipale a VITA
 
PIERFRANCESCO MAJORINO (Milano):
 L’assessorato ha una spesa di 208 milioni di euro di cui 170 sono risorse del Comune, 30.8 risorse vincolate provenienti da Stato e Regione. Abbiamo visto aumentare radicalmente il bisogno, in un anno e mezzo aumentata la domanda in relazione alle azioni riguardanti il sostegno al reddito. Esplode la domanda ma diminuiscono le risorse. Il Piano di sviluppo del welfare è l'occasione per darsi un documento d’inquadramento generale. Da qui un piano d’azione che si struttura in 46 azioni innovative.
 
Confronto col Forum del Terzo Settore, con cui c’è un Protocollo d’Intesa. Vogliamo liberare al massimo tutto ciò che sta sotto la cenere, liberare le risorse presenti a Milano. Bisogna invertire la direzione sul terreno delle risorse disponibili. La Legge di stabilità di questi giorni sulla povertà zero purtroppo non dice niente di significativo: sono previsti trenta milioni in meno rispetto a quelli garantiti in luglio per i malati di Sla.
 
Stiamo attuando processi d’innovazione in vari campi: siamo sensibili alla questione dei diritti. Abbiamo raddoppiato i posti per i senzatetto, da 1.248 a 2.520 e abbiamo tolto la discriminazione per i residenti clandestini. Abbiamo cancellato l’ingresso ai figli di cittadini irregolari. Assistenza domiciliare: pensata per i poveri con la collaborazione del Terzo Settore. Sviluppare una nuova capacità di offerta:  assieme al Terzo Settore immaginiamo nuovi interventi in quell’area che oggi è totalmente soggetta a dinamiche informali (sei ore di badante ad esempio): lì sviluppare un nuovo pezzo di mercato. Non solo welfare per i poveri.  Da maggio 2014 a Milano nuova offerta sull’assistenza domiciliare. 
 
Parliamo della residenzialità (alloggio, accoglienza, nuove dimensioni abitative): vogliamo recuperare forme di residenza magari temporanee, transitorie. In quest’ottica è l'uso dei beni confiscati alle mafie.
Altro nodo fondamentale: la questione del rapporto col territorio. Stiamo cercando di riorganizzare la presenza territoriale. Costruire nelle nove zone della città i punti di accesso unici ai servizi. I servizi sociali come punto di accesso per le situazioni emergenziali. Trovare dei luoghi in cui una persona che ti riceve ti dice immediatamente se puoi essere preso in carico (col sostegno al reddito ad esempio). Capire anche quali sono le altre risorse: accompagnare la persona allo sportello della Caritas. 
 
Razionalizzazione sui percorsi di sostegno al reddito. Noi eroghiamo circa 24 milioni di euro. 5.7 milioni per la Social Card. Quei 24 milioni perché Milano tradizionalmente fa azioni di sostegno al reddito. Costruiamo un fondo unico per tutti i soggetti erogatori di azioni di sostegno, facciamo un fondo misto pubblico privato . Fondo unico: da gennaio partiamo con un fondo unico che implementiamo con le risorse nostre e un po’ di risorse private.
 
 
ISABELLA MENICHINI (Parma):
Parma è in Emilia Romagna, quindi c'è una grande tradizione di attenzione ai servizi, è una regione che lavora per preservare i pilastri del welfare. Come budget del welfare abbiamo circa 50 milioni, oltre il 70% sono per la non autosufficienza, quindi disabilità e anziani. La città ha 180.000 abitanti, un budget per gli anziani 26 milioni di cui 14 milioni di fondo regionale; disabili 11 milioni di cui una metà fondo regionale. 
C’è il problema dei ragazzi in comunità: nessuno lavora sull’uscita dei ragazzi. A Parma prima di me si lavorava sull’accoglienza, ma il Terzo Settore può svolgere un grande ruolo nella seconda fase. Welfare Comunitario di Parma, condiviso con tutti i soggetti della comunità. Questo budget che abbiamo lo difendiamo. 
Grosso investimento sul patto formativo, anche in termini valoriali, per ricostruire il rapporto tra istituzioni e Terzo Settore.  Accordo siglato con  Fondazione Cariparma, Forum Terzo Settore, Forum Solidarietà, il Consorzio delle Cooperative: da lì sta nascendo un progetto che è molto azione di sistema. Per il momento abbiamo già una rete di 12 laboratori sparsi per la città, a costo zero e tenuti su dai volontari. Laboratori famiglia attorno a cui si sta aggregando tutta la vita di quartiere: mamme, bambini che vanno a fare i compiti, straniere che si conoscono. A partire da queste esperienze, metterle in rete per costruire un serio welfare di città.
 
Altra idea del nostro welfare municipale: chi beneficia deve poi partecipare ai progetti. Il destinatario di un’erogazione dove può, quando può, sottoscrive un patto con l’amministrazione. Alcuni fondi inizialmente destinati al disagio destinati ai lavori socialmente utili. Accordo col Consorzio Cooperative, che assume alcune delle persone che vanno ai loro sportelli e li impieghiamo per lavori (cooperative di tipo b).  
Gruppi permanenti di lavoro contro la povertà, stiamo costruendo il database con Caritas e proviamo a fare outplacement con un’agenzia del lavoro. Quelli che hanno un curriculum più spendibile proviamo a inserirli nel mercato del lavoro. Principio dell’appropriatezza: ogni luogo deve avere una sua funzione precisa.
In Emilia Romagna c'è un investimento grossissimo sugli studenti disabili. Il rischio è che uscendo da scuola poi rimangano a casa. Col Consorzio delle Cooperative abbiamo costruito un primo progetto ma adesso ne faremo altri, “Nuovi lavori”, dove i ragazzi sono occupati in attività più vicini alle loro capacità. 
 
Soffermiamoci sul tema povertà. Il mio proposito è di arrivare a bandi zero sui contributi. Quando ho cominciato c’erano 15-20 bandi. Li abbiamo sostanzialmente eliminati. Il Comune di Parma aveva il compito di definire i progetti personalizzati. Abbiamo una Commissione con più operatori che valuta l’appropriatezza del progetto: tutto dovrà passare alla Commissione, perché i bandi possono uccidere l’appropriatezza. A proposito di zero bandi, ci sono anche dei vincoli (non tutti i servizi sono uguali, non tutte le prestazioni uguali), anche normativi. 
 
Accreditamento per la definizione degli standard di qualità. Gruppi Appartamento, Case Ritrovate: tutti gestiti dalle Cooperative. Abbiamo costruito dei parametri di qualità (accreditamento). Non abbiamo mai utilizzato il massimo ribasso. Facciamo delle gare che premiano molto la qualità (70% valutiamo la qualità, 30% l’offerta economica)
Abbiamo definito un piano formativo per gli operatori fortissimo, che sta partendo adesso. Sarà tutto un lavoro di formazione sul campo per abituarli al lavoro della comunità. Uscire da un’ottica prestazionale e passare a un’ottica di progettualità sulla persona. 
 
Trasporti per gli anziani alle visite mediche? La vecchia struttura costava un sacco di soldi. Abbiamo parlato con l'Assistenza Pubblica, abbiamo organizzato il servizio con loro, a costi più bassi, abbiamo chiesto che lavorassero insieme ad Auser. Problema sul procedimento: ho riconosciuto una somma -150.000 euro l’anno- che non posso chiamare servizio perché così dovrei andare a una gara. Lo chiamiamo supporto all’attività statutaria di quell’associazione. Ma dare 150.000 euro a un’associazione così non è possibile.  Ora bisogna aprire una forma di pubblicità: diamo risorse alle aziende che fanno trasporto.
 


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