Economia

Welfare, la spending review cancella il non profit

Il testo di legge in discussione al Senato impedirebbe a tutti gli enti pubblici (ministeri, regioni, enti locali, etc.) di dare contributi a associazioni riconosciute e non riconosciute, comitati e fondazioni. Giuseppe Guerini (Federsolidarietà): «Sarebbe un disastro»

di Redazione

Che la spending review non promettesse nulla di buono per il terzo settore lo sospettavamo (vedi l’intervista ad Aleceste Santuari che potete rileggere qui a lato), ma a fugare ogni dubbio è la puntuale analisi curata da Confocooperative/Federsolidarietà in particolare riferendosi ai commi 6/7/8 dell’articolo 4 del D.l. n. 95 del 2012 – Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – pubblicato in  Gazzetta Ufficiale il 6 luglio scorso.

«Chiediamo la cancellazione immediata di questi commi che se approvati, metterebbero la pietra tombale sul principio di sussidiarietà», attacca il presidente Giuseppe Guerini che aggiunge: «Che ci siano delle distorsioni da correggere e perseguire è senz’altro vero, noi non siamo qui a fare difese di casta, ma questo è un provvedimento killer inaccettabile». Guerini prova a immaginare anche un piano B. «Se proprio non si vuole abrogare la norma che almeno la si emendi aggiungendo “All’articolo 4 del decreto legge 95/2012 il seguente comma 8-bis: “Sono comunque fatte salve, nel rispetto dei principi generali di derivazione comunitaria, le procedure di affidamento di beni, servizi e forniture previste dalle vigenti discipline speciali”». Un modo questo per parare le spalle agli amministratori pubblici che «altrimenti sarebbero costretti ad azzerare le convenzioni, con ricadute drammatiche per il sistema di welfare di tutto il Paese» .«Non intervenire» conclude Guerini «rappresenterebbe un grave atto d’irresponsabilità, perché produrrebbe un caos territoriale con costi molto più alti dei risparmi che si pensa di poter raggiungere. Siamo fortemente preoccupati, e confidiamo che ai massimi livelli istituzionali si possa celermente lavorare per inserire un emendamento che fa salva una normativa ragionevole ed utile per il Paese già adottata come buona pratica anche in Europa».


Ma leggiamo i passaggi più rilevanti del documento di Federsolidarietà:

« Il combinato disposto dei commi 6, 7 e 8” sono un duro colpo  a ogni applicazione concreta del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale.

Il comma 6 stabilisce che “A decorrere dal 1° gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.  165  del  2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi  di  qualsiasi  tipo,  anche  in  base  a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 11 a 42  del codice civile esclusivamente in base a procedure  previste  dalla  normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti  di  diritto privato di cui agli articoli da 11 a 42 del codice  civile,  che  forniscono servizi a favore dell'amministrazione stessa, anche a titolo  gratuito,  non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche.  Sono  escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica”.

In sostanza questa previsione impedisce a tutti gli enti pubblici (ministeri, regioni, enti locali, etc.) di dare contributi a associazioni riconosciute e non riconosciute, comitati e fondazioni.

Il riferimento “a procedure  previste  dalla  normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria” in primo luogo non tiene conto della normativa regionale. In particolare, nel settore dell’assistenza, dei servizi sociali, della formazione, come previsto dal Titolo V della Costituzione (in particolare l’art. 117) viene incomprensibilmente esclusa tutta la vasta produzione normativa che regola il settore sulla base di una competenza esclusiva o concorrente. Creando non pochi problemi di interpretazione della volontà del legislatore nell’applicazione della norma.

L’art. 4 prevede poi, ai commi 7 e 8, due disposizioni che stabiliscono che per evitare le distorsioni della concorrenza e del mercato, dal 1° gennaio 2014, le pubbliche  amministrazioni  acquisiscono sul mercato i beni  e  servizi  strumentali alla  propria  attività mediante le procedure concorrenziali previste dal Codice dei contratti pubblici (comma 7).  
Si prevede poi che dal 1°  gennaio  2014 l’affidamento  diretto  per valore pari o inferiore a 200.000 euro annui può avvenire solo a favore di società a capitale  interamente  pubblico (comma 8) .
La disposizione sopra richiamata, apparentemente coerente con l’impianto generale introdotto dal Codice dei Contratti pubblici, rischia – laddove interpretata letteralmente – di determinare effetti abnormi e incoerenti con altri principi dell’ordinamento generale.
Il riferimento è, per esser chiari, alle vigenti discipline speciali previste dal legislatore statale a tutela e promozione di valori e interessi, di rango costituzionale, parimenti rilevanti.
Ne è esempio il Movimento cooperativistico, di cui all’art. 45 della Costituzione, la cui “specialità” trova adeguata regolamentazione in diverse fonti normative, nelle quali è il Legislatore ad aver valutato e contemperato i diversi interessi pubblici coinvolti, salvaguardando la specialità soggettiva ed oggettiva della cooperazione nel quadro dinamico delle fonti comunitarie e nazionali in tema di approvvigionamento di beni e servizi da terzi.

In particolare, il settimo comma dell’articolo 4 del d.l. 95/12, pur ribadendo un principio generale – sebbene già operante ed effettivo nelle forme di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 – collocato in una disposizione emergenziale, quale si manifesta il decreto legge, potrebbe contrastare con i canoni generali del rapporto tra le fonti del diritto, in particolare, tra quelle di rango generale e quelle di rango speciale.
Ma vi sono anche ragioni di carattere operativo che ci fanno ritenere che tale articolato produca effetti perversi (ovvero contrari a quelli sperati):

 Il combinato disposto delle suddette previsioni travolge il disposto dell’art. 5 comma 1 della legge 381 del 1991 ove si prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, di stipulare sotto soglia convenzioni con le cooperative sociali di inserimento lavorativo per creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate. Tale normativa, fiore all’occhiello nel panorama mondiale, rischia di essere scardinata con la conseguenza che:
 

  • a.    I servizi sociali che hanno in carico le persone svantaggiate non avranno la possibilità di azionare uno strumento veloce e rapido (e comunque trasparente) per l’affidamento di servizi che danno la doppia finalità (servizio ed inserimento lavorativo);

 

  • b.    poiché si tratta di servizi sotto la soglia di rilevanza comunitaria dei 200.000 euro (molti dei quali ben al di sotto di tale soglia), le procedure produrranno inevitabilmente intasamenti a livello locale con rallentamenti, incrementi dei costi della p.a., difficoltà di trovare soluzioni veloci o di emergenza per la presa in carico immediata delle persone in difficoltà;

 

  • c.    tale articolato, poiché  fa salvi gli affidamenti alle società in house (generalmente poco capaci di erogare servizi e mal gestite) crea una sperequazione tra servizi gestibili in affidamento diretto dalle società in house e quelli che ora non possono essere più gestiti in affidamento diretto dalla cooperazione sociale. Ma anche tutto il mondo del Terzo Settore viene di fatto annullato nella relazione di specialità con il settore pubblico«.

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