Welfare

Welfare for people: nuovi modelli sotto la lente

Presentato il primo rapporto Ubi Banca e Adapt sul welfare aziendale e occupazionale a un anno dal lancio della prima divisione specializzata dell'istituto bancario. Per la presidente Letizia Moratti il documento presentato «vuol essere una piattaforma aperta e plurale». La sfida dare opportunità alle imprese piccole e medie e ai loro lavoratori

di Antonietta Nembri

A un anno dal lancio della divisione specializzata nel Welfare, Ubi Banca e Adapt hanno presentato “Welfare for people”, il primo rapporto sul welfare aziendale e occupazionale – promosso dalla scuola di alta formazione in Relazioni industriali e di lavoro di Adapt fondata da Marco Biagi e dall’Osservatorio Ubi Welfare di Ubi Banca. Un rapporto che nelle parole di Letizia Moratti, presidente del Consiglio di Gestione della banca vuole essere un «contributo indipendente e proiettato al futuro nella lettura dei recenti fenomeni di welfare aziendale, con l’obiettivo di inquadrarli all’interno di una più ampia prospettiva di comunità e territorio che riteniamo imprescindibile per ripensare il sistema di welfare pubblico italiano». Un rapporto che sempre nelle parole della presidente Moratti non è stato pensato come un documento chiuso ma una «piattaforma aperta e plurale che contribuisca a ricondurre a sistema le numerose e frammentate iniziative promosse da imprese, enti bilaterali e i molteplici attori del sistema di relazioni industriali».

Un volume, quello presentato che presenta l’analisi compiuta nel corso di questi mesi e che studia i fenomeni che possono contribuire a migliorare il benessere individuale e collettivo attraverso una fotografia dell’evoluzione del welfare aziendale e occupazionale nel nostro Paese.
“Welfare for People” ha l’obiettivo è di studiare i nuovi modelli di welfare alla luce della trasformazione economica, tecnologica e demografica, nell’ottica delle possibilità offerte dai cambiamenti del sistema delle relazioni industriali. Lo studio è basato sull’analisi dei principali contratti collettivi nazionali di lavoro che contemplano il tema e sulla lettura di una banca dati contenente oltre 2mila contratti collettivi di secondo livello, prevalentemente integrativi aziendali, a cui si aggiungono i più significativi accordi territoriali ordinati per settore merceologico.

La principale evidenza di questo primo anno di analisi è che il welfare aziendale si sta sviluppando non tanto come una soluzione all’arretramento del welfare pubblico, quanto piuttosto come un processo spontaneo di risposta degli attori del sistema di relazioni industriali alle profonde trasformazioni del mondo del lavoro, causa e non conseguenza della crisi del nostro modello sociale.

Nel suo intervento sempre Moratti ha osservato come il «fenomeno del welfare aziendale supera le logiche paternalistiche del Novecento industriale e dell’imprenditoria illuminata dell’Ottocento. Ma non può certo essere circoscritto e limitato dentro i rigidi confini aziendali. È in atto un cambiamento di paradigma economico e anche sociale che trova nel nuovo welfare una pietra angolare. È ormai condivisa l’idea, che per il sistema economico costruito nel secondo dopoguerra, sia arrivato con urgenza il tempo della verifica di sostenibilità. Con questo progetto Ubi Banca contribuisce alla lettura di un fenomeno, il welfare aziendale, che i principali indicatori vedono in netta crescita nel Paese, ma offre anche a un’ampia quota del sistema produttivo uno strumento efficiente ed immediatamente attivabile».


Michele Tiraboschi (nella foto), ordinario di diritto del lavoro all'Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt nel presentare il lavoro del rapporto ha aperto il suo intervento sottolineando come l’immagine di copertina che riporta il villaggio industriale Crespi d’Adda debba far riflettere sul fatto che quello del welfare aziendale «è un tema storico con radici profonde», quello che si vede nell’immagine «è un territorio, non un’azienda e va letto in chiave di comunità». E soprattutto ha ricordato che «il welfare aziendale non è nato dalla crisi del welfare pubblico, ma dalla rivoluzione in atto nelle imprese». In merito al rapporto ha spiegato che: «vuol essere uno strumento vivo, utile non solo per analizzare la diffusione e lo stato di salute del welfare aziendale, ma per mostrare le modalità concrete con il quale esso si è realizzato. Questo per raccontare un welfare che non sia tanto e solo strumento di riduzione dei costi ma una risposta concreta alla nuova grande trasformazione del lavoro che stiamo vivendo».

Ubi Banca è stata il primo istituto di credito, in Italia, a proporre sul mercato un servizio basato su un ecosistema territoriale che coinvolge, favorendone lo sviluppo, clienti e fornitori dei servizi, con l’obiettivo realizzare piani di welfare fortemente personalizzabili.

Nel corso del primo anno di lancio di Ubi Welfare, sono stati siglati accordi con numerose e significative associazioni datoriali e territoriali in molteplici settori e aree del Paese, che consentono di raggiungere un bacino complessivo di circa 17mila imprese, fra grandi, medie e piccole: il welfare aziendale, infatti, come emerge anche dallo studio di Adapt, oggi è un’opportunità importante per ogni impresa, a prescindere dalla classe dimensionale.
E come ha sottolineato Rossella Leidi, vicedirettore generale e Chief Wealth and Welfare Officer Ubi Banca – intervenuta alla tavola rotonda con Stefano Franchi Dg Federmeccanica, Gerhard Dambach Ad Bosch Italia e Gigi Petteni Cisl – «mettiamo a disposizione la nostra esperienza e la visione territoriale è fondamentale proprio per costruire nel territorio stesso un ecosistema di protezione degli individui creando così un circolo virtuoso capace di offrire alle aziende soluzioni operative e servizi portando a bordo il Terzo settore – imprese sociali e cooperative in prima fila nell’offerta di servizi assistenziali» Leidi ha poi concluso osservando come per Ubi questo sia «una realtà, un progetto che è un percorso che si alimenta. La vera sfida è rendere accessibile il welfare aziendale e occupazionale alle piccole e medie imprese».

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