Non profit

Welfare d’azzardo: ci risiamo?

Legare azzardo e welfare è il grande sogno di chi prospera col primo e vuole asservire il secondo. Un'idea che sta tornando in auge, sotto forma di "tassa di scopo" o di stanziamento diretto per le comunità con soldi prelevati direttamente dai profitti del settore. Mentre c'è chi gioisce per i 250milioni di euro promessi con la Legge Delega, la domanda è lecita: si può svendere così il diritto di critica, subordinando la cura di una patologia a ciò che produce patologia?

di Marco Dotti

Per molti, troppi attivisti anti-azzardo il problema si riduce ai numeri. Numeri – spesso lanciati a casaccio – sul volume d'affari, numeri sui potenziali "ludopatici", numeri su numeri. E anche i 250milioni di euro previsti dalla bozza della Legge Delega prossima ad arrivare sul tavolo del Consiglio dei Ministri che altro sono, se non numeri?

Numeri – anzi, soldi freschi –  a cui prestare molta attenzione. Quei soldi dovrebbero costituire un fondo contro le "esternalità" dell'azzardo legale, ossia le patologie prodotte proprio da quel sistema a cui si chiedono soldi. 

Di primo acchito si potrebbe credere che destinare in questo modo soldi per il recupero dei giocatori possa essere cosa buona e giusta. Ma nella modalità c'è il trucco o, meglio, la trappola.

Tre le modalità con cui si può raggiungere questo obiettivo perverso:

1) Istituire una tassa di scopo. Tassare ad hoc i concessionari del gioco e destinare direttamente quei soldi alla società civile, agli enti locali o alle comunità di recupero affinché – come diceva un vecchio proverbio cinese – chi può ripari i cocci, ma chi deve si guardi bene dal contestare il vaso.

2) Prevedere un fondo specifico all'interno di un provvedimento generale di riordino del settore, in modo da zittire preventivamente le voci critiche interessate agli stanziamenti.

3) Orientare "al sociale" alcuni investimenti delle Concessionarie del gioco.

In tutti e tre i casi la maschera della legge è necessaria affinché gli operatori del sociale salvino la faccia e la mano sinistra, pur sapendo benissimo quel che fa la destra, abbiam l'alibi pronto per l'uso. 

Lo scopo di chi vuole unire in amorosi affetti welfare e azzardo è sempre lo stesso: legare mani e piedi ogni critica depotenziandola preventivamente.

Lo si faceva anche nella Genova del XVI secolo quando al neonato gioco del lotto si affiancò il "lotto delle zitelle", per dotare di dote le orfane e dare una parvenza di socialità a quello che, già allora, con i contratti di arrendatura era un business privato dietro maschera pubblica.

Prevenzione, cura, riabilitazione sono le tre parole d'ordine di ogni sana attività sociale. Parole che oggi, vengono spesso declinate in una visione a dir poco miope o annacquata della questione-azzardo. Meglio limitarsi agli effetti e non vedere le cause, illudendosi di stare in equilibrio su una corda troppo tesa per clown che si prendono per funamboli.

C'è da impegnarsi tutti, invece, per chiedere a gran voce che questa corda non si stringa e non si rinserri. La disintermediazione sarebbe un danno per tutti.

La fiscalità del gioco d'azzardo deve essere tenuta distinta e nettamente separata dagli stanziamenti per il sociale.

La mano che dà, non deve mai conoscere la mano che riceve. E viceversa. Per questo è necessaria una intermediazione forte che faccia ricadere i prelievi fiscali dell'azzardo in una "fiscalità generale" – come direbbe un tecnico. 

Qui ne va del diritto di critica di tutti, non del piccolo e tutto sommanto mediocre guadagno di pochi. Sulla pelle dei malati non si deve giocare d'azzardo. Né da una parte, né dall'altra.

 

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