Mondo

Weah, un calcio al passato che puzza di bluff mediatico

L’ex numero 9 del Milan è il grande favorito nella corsa alla presidenza ma, al di là dell’entusiasmo dei tanti ex bambini soldato, non ha ancora presentato un programma.

di Pablo Trincia

Dal nostro inviato a Monrovia

Dicono che George Weah diventerà il ventitreesimo presidente della Liberia. Quello che, dopo colpi di Stato, guerriglie e massacri durati oltre vent?anni saprà restituire dignità e sviluppo a una nazione sui gomiti, sorvegliata da 15mila caschi blu delle Nazioni Unite e totalmente dipendente dagli aiuti esterni. George Weah: quarant?anni, quindici dei quali da ragazzo di strada e i restanti da calciatore e imprenditore, con una piccola parentesi da ambasciatore dell?Unicef. Nessuna esperienza politica, nessun merito se non quello di aver fatto sognare – a colpi di gol, acrobazie e miliardi – un?intera generazione di liberiani cresciuta nella guerra e nella miseria. E questi ora lo vogliono presidente. Almeno stando a giudicare dalle decine di migliaia di sostenitori che si sgolano per lui a Monrovia e nei poverissimi villaggi sperduti nella foresta.

Molti gli scettici
Nessuno mette in dubbio il forte affetto che l?ex attaccante rossonero ha sempre dimostrato per il suo popolo, con il quale spesso è stato generoso. Ma basta questo per fare un presidente? Soprattutto se il suo compito è quello di pacificare una terra uscita da una spaventosa guerra lunga quattordici anni che in più occasioni ha assunto i connotati di un genocidio? Gli scettici non hanno tutti i torti. Tra la maglia numero 9 e il doppiopetto di un capo di Stato c?è un abisso, e George Weah sta facendo il passo più lungo della gamba. Con la differenza che qui non c?è in gioco lo stiramento di un polpaccio ma il futuro di uno Stato.

Come Berlusconi
Dice Weah: «Riunificherò il Paese. Ricostruirò strade e ospedali. Riaprirò le scuole. Riporterò luce e acqua nelle baracche». E va bene. Ma come? Per certi versi, la candidatura del Pallone d?oro ricorda quella di un personaggio piuttosto conosciuto dalle nostre parti: Silvio Berlusconi. Le analogie tra il centravanti liberiano e il Cavaliere nostrano sono molte: il Milan, la carriera imprenditoriale, la ?discesa in campo? senza passato da politici, i bagni di folla, i proclami e le promesse difficilmente realizzabili. Parlare con i giovani liberiani che inneggiano a Weah è come ascoltare un disco rotto: «George è il nostro futuro, non ci tradirà mai. Anche se non ha studiato. D?altronde chi lo ha preceduto aveva fior di lauree, ma è riuscito solo a seminare morte». Che poi è la formula che Weah tira fuori dalla tasca in risposta a chi gli ricorda di avere solo la licenza elementare. Tra questi, molti giornalisti liberiani, che non perdono occasione di farlo a fette con taglienti editoriali pre-elettorali.
«Where?s your platform, Mr. Ambassador?». Dov?è il suo programma, signor ambasciatore? Per ora non se ne vede traccia. Dice Weah: «Eliminerò la corruzione». E va bene. Poi però vai a farti un giro nel quartier generale della polizia liberiana a Monrovia, un edificio decadente con le pareti ancora crivellate dai fori dei proiettili. E scopri che nei corridoi bui e sudici, tra l?odore di urina ed escrementi, decine di ufficiali analfabeti, con divise rattoppate e bisunte chiedono mazzette e ?regali? a chiunque passi loro davanti. Per non parlare dei palazzi ministeriali, che brulicano di funzionari dalla dubbia reputazione. Sono queste le persone che, insieme a Weah, dovrebbero riportare stabilità e sicurezza in Liberia?

Populismo a go-go
Magari poi, se eletto, il ragazzo che mandava in visibilio gli 80mila di San Siro si dimostrerà un leader ai livelli di Patrice Lumumba, Kwame Nkrumah, Julius Nyerere o Nelson Mandela. Ma al momento è più facile credere al contrario. A meno di non essere un diciottenne di Monrovia che è già stato costretto a vedere (o a commettere) ogni tipo di atrocità. Dice Weah: «Tutti i profughi e gli ex combattenti e bambini soldato torneranno a studiare». E va bene. Ma dove sono i banchi, e soprattutto i soldi per costruirli, in una nazione che conta oltre tre milioni di persone incapaci di leggere e scrivere?
Intanto la Liberia esulta e si gode la sarabanda elettorale tra canti, colpi di clacson e festeggiamenti. Come all?uscita dallo stadio. Nella speranza che le promesse di George Weah non restino solo ingenui sogni di una gloria che non arriverà mai.

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