Mondo
Walter Benjamin e le perversioni del fascismo
I fatti di Macerata e gli spari al centro di accoglienza di Pietraperzia (Enna) inquietano i nostri pensieri e parole come fascismo e antifascismo – che vorremmo archiviare definitivamente – tornano ad alimentare il dibattito pubblico tra indifferenza, prese di posizioni, rivendicazioni identitarie e nostalgie totalitarie. In questo folle logoramento simbolico, il gioco delle polarizzazioni divide e allontana e la vittima principale appare sempre essere la stessa: la ragione
di Pietro Piro
Come Sisifo
Per quanto ci sforziamo di avanzare verso un futuro che appare quanto mai incerto e indecifrabile, siamo sempre riportati indietro da eventi e discussioni che non riusciamo in nessun modo a “risolvere” definitivamente. Come Sisifo trasciniamo un masso fino alla cima di un monte che poi, inevitabilmente, ricade alla base lasciandoci sgomenti.
I fatti di Macerata e gli spari al centro di accoglienza di Pietraperzia (Enna) inquietano i nostri pensieri e parole come fascismo e antifascismo – che vorremmo archiviare definitivamente – tornano ad alimentare il dibattito pubblico tra indifferenza, prese di posizioni, rivendicazioni identitarie e nostalgie totalitarie. In questo folle logoramento simbolico, il gioco delle polarizzazioni divide e allontana e la vittima principale appare sempre essere la stessa: la ragione.
Ritengo che un dibattito pubblico centrato sui temi fascismo/antifascismo oggi sia solo un sintomo negativo, di recessione civica e morale, che riporta indietro l’orologio della storia e che ci fa perdere del tempo utilissimo che dovremmo dedicare a risolvere i temi più urgenti e necessari: il lavoro, la casa, i diritti, la solidarietà, la cooperazione, lo squilibrio Nord-Sud.
Nel dominio fascista non c’è razionalità che non sia perversa
Walter Benjamin
Una polarizzazione identitaria su queste categorie oggi rallenta il debole riformismo che stiamo conoscendo in questi anni e fa regredire socialmente l’intero Paese. Però è anche vero che quando certi fantasmi tornano ad agitare i nostri vissuti significa che non siamo stati capaci di guardare in profondità alle nostre paure, alla radice delle nostre inquietudini. Se è vero che oggi molti italiani si sentono attratti dalla partecipazione attiva a sigle o organizzazioni che s’ispirano al nazi-fascismo non possiamo non chiederci quali siano i fattori d’attrazione, le dinamiche del coinvolgimento, le folgorazioni identitarie. Inutile emettere giudizi frettolosi su un fenomeno che ha molto a che vedere su come oggi si costruisce la personalità. Personalità che deve costruirsi nel pieno del crollo delle “grandi narrazioni” e nel progressivo polverizzarsi delle agenzie di coesione sociale come la politica, la religione, la cultura. Secondo Alvin Toffler la violenta accelerazione in atto genera “curiose flore sociali” e “personalità bizzarre” che di fronte alla “trasmutazione di tutti i valori” si sentono sradicate e angosciate; disorientate e private della possibilità di un ritorno a ciò che è familiare. Questo disorientamento profondo può dare vita a persone “pericolose per se stesse e per gli altri” (A. Toffler, Lo choc del futuro, Rizzoli, Milano 1971, pp. 17-19).
Oggi di persone pericolose per se stesse e per gli altri – e in particolar modo di giovani senza lavoro e senza identità – ce ne sono anche troppe. L’adesione a una logica o a un gruppo nazi-fascista può rappresentare un porto sicuro – per quanto assurdo e immorale – in un oceano d’inquietudine e di precarietà dove mancano figure di riferimento in grado di trascinare verso il bene. L’odierna adesione al “nazi-fascismo” ripete tragicamente alcuni meccanismi del passato, meccanismi non sconfitti dall’educazione e dall’amore e che si riattivano potentemente nei periodi di profonda inquietudine come quello che stiamo attraversando.
Benjamin interprete del fascismo
In questi giorni inquieti ho trovato di grande interesse la lettura del saggio di Libero Federici, Il misterioso eliotropismo. Filosofia, politica e diritto in Walter Benjamin, Ombre Corte, Verona 2017 e soprattutto, il capitolo dedicato al fascismo perché credo possa essere utile per comprendere alcuni movimenti “tellurici” dei nostri giorni. Si tratta di un saggio ben scritto e approfondito, molto attento a collocare le citazioni di Benjamin in un contesto preciso con l’intento di sottratte l’autore a piegature troppo semplicistiche. Il primo capitolo illustra la ripresa ed il superamento che Benjamin compie, durante gli anni degli studi giovanili, in particolare tra il 1916 ed il 1918, della filosofia kantiana e neokantiana. Il secondo capitolo analizza il difficile tema di una lingua pura come immediata medialità. Il terzo capitolo delinea la distinzione tra Erlebnis, esperienza vissuta, esperienza dell’immediato, esperienza i cui flussi di eventi vissuti entrano ininterrottamente nella coscienza che li conchiude in se stessa, ed Erfahrung, esperienza in cui la coscienza entra a contatto, integrandosi, con profondi materiali della memoria. Nel quarto capitolo si affronta il nodo teoretico e giuspolitico del mito.
Il quinto capitolo tematizza come proprio il diritto, potente crisalide del mito, sia indissolubilmente legato alla violenza. Il sesto capitolo si focalizza sul continuum dello storicismo e il settimo capitolo è dedicato all’analisi del fenomeno fascista e dello stato di eccezione. Infine, nell’ottavo capitolo vengono trattate le questioni della merce e del feticismo, nuove forme del mito. Sebbene tutto il libro sia di grande interesse, sono proprio le pagine dedicate al fascismo che suscitano in me grande interesse anche per la loro attualità.
Scrive Federici: «Il fascismo si impone in un contesto, quello post-bellico, caratterizzato da crisi economica, disoccupazione, inflazione e tensioni sociali. Il nazionalismo di cui si fa portatore è affermato su una situazione di forte difficoltà che attanaglia i vari ceti sociali, ognuno a proprio modo in fermento. Benjamin legge questo scenario attraverso due elementi: la progressiva proletarizzazione degli uomini e la formazione crescente di masse. Essi, in realtà, costituiscono due aspetti di uno stesso processo che il fascismo mira ad inquadrare in una prospettiva strumentalizzante: “Il fascismo cerca di organizzare le recenti masse proletarizzate senza però intaccare i rapporti di proprietà (Eigentumsverhältnisse) di cui esse perseguono l’eliminazione. Il fascismo vede la propria salvezza nel consentire alle masse di esprimersi (non di vedere riconosciuti i propri diritti)”» (p. 104). Il fascismo è dunque una risposta alla crisi che fornisce alle masse l’illusione della partecipazione e dell’espressione ma che mantiene inalterate le cause profonde che generano l’inquietudine e che in più si serve « in maniera dispositiva delle conquiste della tecnica al fine di riaffermarsi, continuamente, come identità affermata: cinema, radio, stampa statuiscono l’anti-mutamento» (p. 105). Dunque il fascismo: defrauda le masse proletarie del loro diritto al cambiamento dei rapporti di proprietà lasciando intatte tutte quelle condizioni determinate dagli interessi dei monopoli capitalistici. In sostanza: dirigere senza disalienare (p. 104).
E' proprio questa "falsa coscienza" e "falsa affermazione identitaria" che il fascismo promuove. Fornisce alle masse l'illusione della partecipazione ma in realtà, le trasforma in un mero strumento sempre più alienato. In sintesi dunque: Il potere fascista viene così a configurarsi come un’immanenza violenta ed artificiosamente estetizzata in cui totalizzazione e linguaggio della conservazione coincidono in una grammatica del pensiero unico che sradica l’umano da se stesso (p. 104). Non possiamo dunque pensare al fascismo senza comprendere come lavori nel profondo dell'animo dell'individuo espropriandolo della propria identità grazie alla promessa, mai realizzata, di diventare finalmente protagonista di una vita sociale che per la persona è sempre più artificiosa, impersonale, aggressiva. Ha ragione Laura Bazzicalupo quando nella premessa scrive: "il nostro è tempo nel quale si radicalizza e giunge a compimento quella povertà di esperienza che il filosofo berlinese lamentava; tempo che scorre travolto e risolto in infiniti Erlebnisse che rinviano l’un l’altro in relazione di contiguità e contagio, senza dialettica, esperienze dell’immediato, del comfort, della stanca omologazione tra tutte le cose, quotidianità soffocata dalla strumentalità e privata di senso e di fine, privatistica e asociale, incapace di incontrare l’evento – poiché oggi tutto è evento e niente accade (pp. 7-8).
Tra critica e messianismo
In questo tempo di "povertà" è probabile che ci sia ancora qualcuno che crede che aderire a forme più o meno aggressive di fascismo possa essere una risposta alla grande trasformazione in atto. Si tratta, ovviamente, di una mera illusione. La complessità del nostro tempo richiede ben altri sforzi e altre prospettive. E allora, "il cuore della sfida sta nella rottura della continuità passiva e causale e nella capacità di intercettare quel nucleo di differenza, di alterità che è racchiuso, depositato nel passato non raccontato con il quale occorre istituire un contatto tangenziale, attraversando la costellazione delle corrispondenze “misteriose” dalle quali fa irruzione il novum.(p. 11). Solo l'intreccio fra critica e messianismo dischiude nuove prospettive di vita e di Speranza, non certo il gesto terroristico che riporta indietro le lancette della storia.
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