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Wael Farouq: «Francesco in Egitto? Un viaggio su tre fronti»

Per l’intellettuale egiziano Francesco a Il Cairo sarà «un incoraggiamento per la minoranza cristiana», un elogio «alla diversità religiosa» e una indicazione forte «sulla strada da seguire per uscire dalla crisi di ragione in cui è precipitato il mondo musulmano»

di Wael Farouq

Ci sono diversi motivi per cui questo viaggio è importantissimo. Il primo è che in Egitto ci sono 500mila cattolici che sono una minoranza di una minoranza. I cristiani egiziani, copti, sono circa 15 milioni, ma sono per la maggior parte ortodossi. I cattolici vivono ai margini della società e per loro sarà la visita della vita, sarà un evento, potranno dire: “Il Papa è passato di qui”, “Il Papa è venuto a trovarmi”. Sarà un forte incoraggiamento, soprattutto in questo momento di gravi difficoltà. Mezzo milione di fedeli è una percentuale piccola rispetto agli cento milioni di abitanti dell’Egitto, ma si tratta di un numero molto grande se pensiamo alla presenza nella regione: Israele, Palestina, Libano. Si tratta di un gesto di attenzione e di servizio verso il suo popolo presente in questi Paesi a maggioranza musulmana. Le minoranze religiose vivono in Medioriente un momento particolarmente difficile. Non mi riferisco solo, come è davanti agli occhi di tutti, alla persecuzione dei cristiani e al tentativo di cacciarli dalle loro terre. Esiste un problema di rapporti interno ai cristiani. I cristiani in Medioriente sono divisi: che Francesco vada in Egitto e dia un segno di amicizia alla Chiesa copta ortodossa è motivo di speranza per tutta la regione. È straordinario che Bartolomeo I abbia chiesto di partecipare alla visita di Francesco: insieme possono mostrare l’amicizia tra loro e con il papa copto Tawadros II. È un segnale importante in sé, per il benessere della società e poi perché l’unità tra le Chiese e tra i cristiani di diversa confessione può aiutare ad affrontare la persecuzione in atto. Chi perseguita i cristiani in Medioriente non fa differenza tra cattolici e ortodossi, ma spesso tra loro esiste una diffidenza che impedisce l’aiuto reciproco.

Il secondo è che la diversità è preziosa in un contesto a maggioranza musulmana. Francesco mostrerà al mondo che ricchezza è la diversità. La coesistenza di diverse componenti della società non è un valore solo per i cristiani, che sono la componente più debole perché minoritaria, ma anche per i musulmani. Le società in un cui è valorizzata la differenza hanno maggior possibilità di fiorire. Dove non è così, prevale la logica della violenza. La conoscenza e il rispetto dell’altro, del diverso, fa bene anche all’esperienza religiosa. L’incontro, l’amicizia, il rispetto tra cristiani e musulmani nutre l’esperienza religiosa di entrambi, perché permette a ciascuno di verificare la propria tradizione. Andare oggi al Cairo significa dare un segnale di fiducia in un momento in cui le relazioni politiche sono dominate da stereotipi reciproci. Questa visita può aiutare almeno ad attenuare questo clima di diffidenza.

Infine la presenza del Papa ricorderà a tutti che l’Egitto è un luogo importante per le tre grandi religioni: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. L’Egitto ha dato accoglienza a Giuseppe e ai figli di Giacobbe. In Egitto è riparata la Sacra famiglia in fuga da Erode. Questi fatti permettono di tornare a uno sguardo spirituale sulle vicende della storia. Concepire in modo diverso, più profondo, le relazioni umane è decisivo, soprattutto nel contesto di un Paese che vive una delicata transizione. Dal punto di vista del pensiero e della dottrina al Azhar è il centro più autorevole del mondo musulmano sunnita. È il luogo a cui tutti i musulmani sunniti guardano. Ma la classe intellettuale musulmana deve trovare la sua strada per uscire dalla crisi in cui si trova. Ed è una crisi dell’uso della ragione, come giustamente indicava papa Ratzinger. La testimonianza di fede e i gesti di amicizia e di pace di papa Francesco non possono che essere d’aiuto. Indicano la strada da percorrere.

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