Cultura

Vuoi metterti in coop? Mille idee ti aspettano

I cambiamenti aprono alle imprese sociali nuove opportunità di affari. Ecco i settori dove il non profit sta propagandosi e dove lo potrebbe fare entro breve.

di Giampaolo Cerri

Nuovi mestieri targati sociale. Si fa sempre più marcata la tendenza che vede l’impresa sociale rispondere alla domanda crescente di servizi alla persona e al mondo della produzione e cogliere le opportunità occupazionali con nuove offerte dall’ambiente e dall’agricoltura.
«Le realtà aziendali pionieristiche nel settore delle coltivazioni biologiche sono cooperative», dice Enrico Erba di Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltura biologica, «penso al Tamiso, a Mustiola, ad Alce Nero. E negli ultimi anni sono sempre più numerose le cooperative sociali: l’agricoltura pulita si coniuga idealmente allo scopo di un’impresa non profit».
Cooperazione e bio costituiscono d’altra parte un binomio vincente, come dimostra la vicenda del Consorzio Ecosviluppo della Sardegna: creato da una storica cooperativa del biologico isolano (S’atra Sardinia, specializzata in agricoltura e allevamento) è diventato un’organizzazione leader nell’accoglienza turistica, realizzando una rete di agriturismi dove è possibile degustare prodotti tipici certificati e svolgere attività ricreative verdi. «I settori dell’assistenza e più in generale dei servizi alla persona sono in forte espansione», commenta Paolo Nalon, direttore dell’Istituto Cortivo, big della formazione al non profit e che quindi, come tale, riesce a leggere le tendenze del mercato sociale in Italia. «L’infanzia, ad esempio, è un settore dove la domanda è elevatissima da tempo», spiega. «L’Italia è ancora un Paese dove le famiglie composte da coppie lavoratrici non sanno dove mandare i figli prima della scuola materna perché gli asili nido non hanno posti sufficienti». L’imprenditoria sociale prova a dare le sue risposte: «Abbiamo visto crescere in maniera esponenziale il numero dei giovani che partecipano ai nostri corsi di settore», spiega Nalon.
Le imprese che ci sono già e quelle che si vanno costituendo sono realtà molto attrezzate dal punto di vista qualitativo: «Certo, la domanda richiede un valore aggiunto, nessuno si accontenta di un semplice parcheggio. Si chiede preparazione pedagogica, attenzione agli aspetti evolutivi dell’infanzia: insomma dei professionisti a tutto tondo».
Sempre nell’ambito dei servizi alla persona, cresce la domanda di attività nel settore dell’handicap: «Le persone disabili sono oggi molto coscienti dei propri diritti e vogliono vivere una vita piena», osserva Nalon, «Da loro, per esempio, nasce una domanda di servizi turistici e ricreativi molto qualificata e piuttosto ricca cui solo il non profit, e solo adesso, sembra poter dar risposta». L’abbattimento delle barriere sensoriali, visto come elemento fondamentale di una società evoluta, pone sfide nuove al non profit italiano, chiedendo figure di mediazione prima abbastanza rare.
«Noi organizziamo da anni e con successo alcuni corsi di interpreti per il linguaggio dei segni», dice Francesco Dragotta, direttore dell’Accademia Fondazione Catis, un centro per la formazione del non profit attivo in Emilia-Romagna (fondato dalle principali pubbliche assistenze del bolognese) la cui attività formativa è sempre più richiesta fuori dai confini regionali. «Ci sono sempre più enti o aziende che richiedono personale esperto con questa specializzazione e spesso sono cooperative o associazioni a fornirlo». Ma a Bologna le oltre 850 ore di attività formative erogate nel 2002 a 1.071 persone, mettono in pool position altri mestieri sociali: «L’area sociosanitaria sta richiedendo professionalità nuove», conferma Dragotta: «ci sono profili come quello dell’autista di mezzi di soccorso, che un tempo erano lasciate al caso ma che oggi richiedono competenze forti».
Come consigliere delegato di un consorzio che raggruppa oltre mille cooperative sociali in tutta Italia, Johnny Dotti, di Cgm, è l’uomo giusto per decifrare i trend dell’imprenditoria sociale italiana. «Ci sono mercati maturi del nord Italia che si stanno affermandosi anche al Sud. Come il reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati che è legato al verde pubblico, dagli operai della manutenzione agli agronomi, ai tecnici di piani urbanistici. Se dovessi dare un consiglio a una coop di tipo b (che inserisce appunto soggetti svantaggiati, ndr) nel Mezzogiorno, indicherei questo tipo di attività. Tra l’altro, il settore può valersi di finanziamenti europei tra i quali Urban 2, programma che coniuga la riqualificazione urbanistica con interventi contro l’esclusione sociale». Dotti parla di esperienze (a Bari, a Ragusa, in Sardegna), economicamente forti: «La Sastrigiula di Cagliari inserisce 50 ex tossicodipendenti fatturando 1 milione e 100mila euro».
La cooperazione sociale di tipo b sarà trainata nel breve periodo anche dall’applicazione delle leggi sull’inserimento dei disabili. Le vecchie norme sono state infatti recentemente riviste e le associazioni degli industriali cominciano a siglare accordi di collaborazione con le coop sociali che formano e accompagnano i portatori di handicap nella fase di ingresso nel mondo produttivo. «La vecchia formazione professionale a questo riguardo è fallita», osserva Dotti, «c’è bisogno di un medium che faciliti il passaggio». A Cgm azzardano anche una previsione: «Mille posti di lavoro in tre anni».
Lo sviluppo del settore della cooperazione di tipo b porta con sé la domanda di manager sociali di questo tipo di realtà. «Occorrono competenze sociologiche, pedagogiche», dice Dotti, «ma anche una spiccata attitudine alla gestione dell’impresa. Una figura che è responsabile di impresa sociale ma che può diventare contemporaneamente un esperto di inserimento per le aziende private». E chi si occuperà della mediazione del lavoro delle fasce più deboli? Non le grandi realtà dell’interinale. «Per inserire un ex alcolista al lavoro», spiega Dotti, «non basta trovargli il lavoro più adatto, ma offrirgli un “reticolo sociale”, che non lo lasci».
Altro orizzonte di sviluppo, il turismo sociale: «L’ora delle vacanze fuori stagione a Rimini è finita», dice il manager. «Le cooperative sociali che si occupano di anziani e disabili cominciano a progettare vacanze che rappresentino un turismo responsabile interno, allo stesso modo con cui si viaggia all’estero».
Last but not least: il carcere. «Bene tutte le campagne che la società civile ha fatto e farà», dice il consigliere di Cgm, «ma la grande partita è la riqualificazione del lavoro penitenziario: fuori e dentro le mura. Ci sono fondi per milioni di euro da usare meglio».
Felice Scalvini, vicepresidente di Confcoperative e presidente di Cecop, la Confederazione delle coop sociali europe, ricorda altre domande di lavoro che si collegano a quelle principali: «Enfatizziamo molto l’aspetto delle nuove professioni sociali», osserva, «ma dimentichiamo che a questo è collegato lo sviluppo di funzioni di gestione e amministrazione, che sono fondamentali per la stabilità di queste nuove imprese». Insomma, non basta che le coop sociali che si occupano di assistenza siano cresciute «di almeno 2mila unità in Lombardia lo scorso anno»; per farle “girare” occorrono «bravi impiegati e contabili che ne conoscano struttura ed esigenze».
Newbusiness dunque, ma anche old job.

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