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Voto Usa: tre punti su cui riflettere

La vittoria del partito democratico nelle elezioni di Midterm è stata indubbia. Cosa cambierà nelle politiche di Bush? Che lezioni trarre dal voto di martedì? Quanto ha pesato il "pantano iracheno"?

di Paolo Manzo

Che considerazioni fare dopo il voto di Midterm di martedì 7 novembre che ha consegnato al partito democratico Camera e, sul filo di lana grazie alla Virginia, anche Senato? Almeno tre.

Primo. Se è vero che la politica estera influisce poco o nulla su quella interna in tempo di pace, le cose cambiano radicalmente quando il Paese che va al voto è coinvolto in una guerra. Gli Stati Uniti che martedì hanno rinnovato la Camera e un terzo del Senato stanno combattendo dal 18 marzo 2003 sul fronte iracheno. Inoltre, a differenza del 2004 quando la vittoria era percepita assai vicina dalla popolazione che infatti si strinse attorno al comandante in capo Bush a scapito di Kerry, il mese scorso i marines uccisi a Baghdad sono stati 104. Un record negativo che ha fatto coniare la frase ?pantano iracheno? da parte di mass media, politici ed esperti di strategia militare Usa. Un record negativo che ha spinto persino parecchi membri del GOP a parlare sempre più spesso di ?exit strategy?, strategia di uscita dall?Iraq. Sarebbe stato sufficiente consultare un qualsiasi libro di storia britannica da parte di George W. Bush per capire che le democrazie in tempo di guerra votano in maniera differente rispetto a quando tutta l?attenzione è rivolta alle questioni interne. Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, infatti, Winston Churchill fu acclamato dai britannici che, tuttavia, gli voltarono le spalle nelle elezioni del 1945, da cui uscì trionfatore il laburista Clement Attlee. Più riforme socioeconomiche e meno spese militari volevano a Londra 61 anni fa. Fatte le debite proporzioni, gli americani che hanno votato martedì, hanno espresso lo stesso desiderio.

Secondo. Quando i democratici focalizzano la campagna elettorale su un tema chiaro hanno buone probabilità di vincere. Nella prima elezione di Bill Clinton, lo slogan martellante della campagna elettorale democratica fu «è l?economia, stupido», con l?obiettivo di mettere a fuoco la sua strategia elettorale proprio su quel punto e mettere all?angolo Bush padre, che dopo avere scacciato dal Kuwait Saddam non lo aveva deposto ma, soprattutto, lasciava un Paese in crisi economica dopo quattro anni di presidenza. In queste elezioni di Midterm i democratici hanno puntato su un altro slogan – «è la guerra, stupido» – per stringere all?angolo un Bush in vera e propria crisi di nervi sull?Iraq e fargli capire che le bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce non arrivano da Marte bensì da Baghdad.

Terzo. Se è probabile che la vittoria democratica comporti limitazioni all?agenda politica di Bush di qui alla scadenza del suo mandato nel 2008, non è detto che cambi granché sulle principali questioni su cui è differente la ?sensibilità? statunitense rispetto a quella europea. Per capirlo è sufficiente ricordare che la nuova star del partito democratico, il senatore Barack Obama, ha votato a favore di quella che, in tema di immigrazione, qualsiasi progressista europeo considera una delle più grosse vergogne dell?amministrazione Bush, ovvero il muro altro tre metri al confine con il Messico. Oppure tenere a mente che l?altro candidato forte del partito democratico per le presidenziali 2008, la senatrice Hillary Clinton, votò a favore della guerra in Iraq prima del 18 marzo 2003, data di nascita della cosiddetta guerra preventiva. Se a ciò si aggiunge che la sconfitta di parecchi repubblicani moderati (fattore che potrebbe rafforzare l?ala più radicale del GOP) è stata causata da democratici conservatori (antigay, antiaborto e militaristi), è comprensibile non attendersi cambiamenti rilevanti sulle questioni di fondo da parte dell?amministrazione Bush.

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