Il Presidente che vorrei non è il custode della Costituzione, ma il suo promotore. Ne promuove la realizzazione di tutte le parti e di tutti gli articoli, sopratutto quelli finora trascurati o aggirati dai diversi poteri, statali e no. Il Presidente che vorrei è consapevole che i dodici “principi fondamentali” della nostra Carta sono l’equivalente laico dei “principi non negoziabili” delle confessioni religiose. Sono i “sani” principi, le condizioni senza le quali non il Patto non si tiene, il legame si scioglie.
Questo era chiaro ai padri costituenti i quali non scelsero parole auliche o ricercate per scrivere la Carta costituzionale repubblicana, ma le parole più comuni, comprensibili da tutti, senza alcuna ambiguità interpretativa, in un Paese nel quale solo il 40 % degli italiani sapeva leggere e scrivere.
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, è affermato nel primo principio e poi, se non fosse chiaro cosa s’intende con ciò, lo si spiega compiutamente nel quarto: “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ebbene, l’Italia è ormai tra gli ultimi posti in Europa per il lavoro, ossia a 3.000.000 di italiani – cioè il 12 % della popolazione italiana in età lavorativa, che diventano quasi il 40 % tra i giovani (e qui siamo proprio ultimi) – questo diritto non è riconosciuto, né esistono condizioni che possano renderlo effettivo. Per loro la Repubblica è fondata sulla precarietà esistenziale, la povertà materiale, la ricattabilità morale. Il Presidente che vorrei si adopera e sollecita parlamento e governo, affinché rendano effettivo questo diritto, senza il quale non si danno tutti gli altri, dunque non si dà vera cittadinanza né legalità costituzionale. Ma solo manodopera alle mafie.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni”, è scritto nel principio numero tre. I costituenti non si limitarono ad affermarlo, ma consapevoli che un diritto di qualcuno è tale solo se corrisponde al dovere di qualcun altro di renderlo effettivo, aggiunsero subito che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”. Poiché, insieme alla mancanza di lavoro, l’ignoranza è il principale impedimento “al pieno sviluppo della persona” ed alla consapevole partecipazione “all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”, il diritto di tutti alla cultura e all’istruzione è il principale strumento di rimozione degli ostacoli. Eppure gli ultimi dati pubblicati dall’Eurostat ci dicono che l’Italia è all’ultimo posto in Europa per le spesa pubblica destinata alla cultura 1,1% (rispetto ad una media, già bassa, del 2,2% ) ed al penultimo, dopo la Grecia, per la spesa dedicata all’istruzione 8,5% (rispetto ad una media del 10,9%). Il Presidente che vorrei è attivo e responsabile rispetto a questi numeri segnalati dall’Europa (non solo a quelli dellospread), i quali ci consegnano un Paese sempre più in preda alla disuguaglianza e senza speranza di futuro per questa e le prossime generazioni.
Poi, saltando altri principi (ma su ciascuno di essi ci sarebbe molto da dire), giungiamo all’undicesimo, quello che “ripudia la guerra” non solo “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma anche “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ripudiare, secondo il vocabolario Treccani della lingua italiana vuol dire “non riconoscere più come proprio qualcosa che pur è nostro (o lo è stato fino a qual momento)”. Dunque non è certo un verbo scelto a caso quello utilizzato dai costituenti in riferimento al rapporto tra la Patria e la guerra: la guerra è qualcosa che è stata nostra e, con il fascismo, ha portato il Paese al disastro, ora la liberazione dal fascismo è anche liberazione dalla guerra. La nuova Italia disegnata nella Costituzione vieta il fascismo e ripudia la guerra. Eppure, in spregio della Costituzione, da vent’anni truppe combattenti italiane sono impegnate in azioni di guerra in giro per il mondo. Eppure le spese militari, quelle che preparano le guerre e i loro strumenti, sono diventate l’unico capitolo intangibile nel bilancio dello Stato e sistemi d’arma sempre più potenti vengono acquistati da generali che poi, come premio, sono nominati ministri della Repubblica, giurando sulla Costituzione. Il Presidente che vorrei è antifascista e, in ossequio alla Costituzione, ripudia la guerra. Il primo atto che lo dimostra è l’annullamento della Parata militare del 2 giugno, che guasta – con la sua scandalosa incongruenza – la Festa della Repubblica democratica fondata sul lavoro.
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