Non profit
Volontari,triste esodo
Quattro ragazzi dell'Associazione Papa Giovanni XXIII da ottobre erano in Kosovo.Con l'Operazione Colomba, aiutavano serbi e albanesi a dialogare fra loro.
M artedì 30 marzo, ore 16.30. Il vento è teso sull?Adriatico, ma i viaggiatori sul traghetto da Durazzo a Brindisi, un percorso marino ormai famoso, sentono freddo per altri motivi: si stanno lasciando alle spalle l?ultima guerra moderna.
Alcuni sono contenti, altri si sentono sconfitti da questa ?fuga?. Sono anche loro, in certo modo, vittime del conflitto: Andrea, Giampiero, Eva e Giorgio, volontari dell?associazione Papa Giovanni XXIII (tutti tra i 24 e i 25 anni), erano andati in Kosovo a ottobre con l?Operazione Colomba per aiutare la popolazione, i primi profughi, i bambini senza famiglia, le famiglie senza una casa.
Un lavoro nei paesi di confine con la Macedonia bruscamente interrotto una settimana prima degli attacchi Nato. «Non c?era più sicurezza, ci hanno spiegato, il nostro gruppo è stato diviso», dice Andrea Pagliarani. «Siamo rimasti noi quattro, su un pullman, in viaggio verso Pristina». Dove sono rimasti, insieme ai volontari di Intersos e ai funzionari dell?Unhcr, fino a martedì 23, quando la Nato annunciò che avrebbe attaccato. Quindi la corsa contro il tempo per superare il confine e raggiungere Skopje, capitale della Macedonia. Dove li abbiamo contattati la prima volta, giovedì 25: avevano paura, il fiato era tagliato dall?ansia. Ma anche dalla frustrazione, perché volevano tornare nei villaggi kosovari dove con serbi e albanesi avevano iniziato a costruire un rapporto. «Abbiamo telefonato a Rekane, cittadina al confine tra Kosovo e Macedonia; abbiamo cercato di contattare le persone che ci avevano ospitato per le settimane che siamo stati lì a lavorare. Niente da fare», ci spiegano, mentre dalle loro finestre intravedono l?ambasciata americana a Skopje presa d?assalto da alcuni gruppi di serbi. «Ci sono arrivate notizie di decine di morti, ma non sono confermate. Speriamo».
Ma la conferma arriva. Tornare oltre confine ormai è impossibile, ci sono i bombardamenti, i civili trucidati, i villaggi bruciati. Andrea Pagliarani: «La Nato non sta sparando solo contro i soldati serbi, ma anche contro tutti noi che cercavamo di ricostruire un dialogo tra le due popolazioni. Certo, anche prima c?erano situazioni inaccettabili come le stragi di civili, ma adesso è peggio: c?è la guerra totale». E così si arriva alla decisione di tornare in Italia, con il cuore pesante: sono arrivati i ?professionisti?, Onu e Croce Rossa, e quattro ragazzi non servono più.
Un nuovo spostamento, quindi, domenica 28, difficoltoso, verso le coste dell?Albania. In piena emergenza profughi. «Ne abbiamo visti a migliaia, sentiamo parlare di almeno 80-100 mila giunti solo ieri. Ma sappiamo che sono almeno 500 mila ancora in Kosovo a nascondersi e ad aspettare», ci raccontano, mentre voci e informazioni corrono impazzite all?imbarco del traghetto. «I serbi hanno aperto le porte, li vogliono fuori. E l?Albania sta scoppiando: ieri sono arrivati a Tirana 300 pullman carichi di profughi, li hanno messi tutti nel palazzo dello sport, in attesa di smistarli, così come capita».
Finalmente i quattro sono sul traghetto, un viaggio per soli occidentali. Iniziano a raccontarci il loro stato d?animo, ma la linea cade. Li recuperiamo: «Tra due ore entriamo nelle acque italiane». Cade di nuovo. Una voce registrata in albanese ci informa che l?utente non è raggiungibile. Anche a Rimini, sede dell?associazione, non hanno notizie. Non c?è timore: è normale che il viaggio sia rallentato dai molti controlli. Però un velo d?apprensione si percepisce: aspettano il ritorno di alcuni fra i pochi che, in tema Kosovo, possono davvero definirsi eroi.
L?Operazione Colomba
Operazione Colomba,corpo civile di pace
Fondazione:1992, ass. Papa Giovanni XXIII
Partecipanti:circa 700 tra membri associazione Papa Giovanni XXIII,
volontari e obiettori di coscienza (Caschi bianchi)
Missioni:più di venti
Dove(principali):Zara, Mostar, Karlovac, Knin, Plavno, Sarajevo,Banja
Luka, Vukovar, Belgrado, Pristina, Zagabria, Tirana, Sierra Leone e Chiapas
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