Non profit
Volontario = cittadino al quadrato. Così la vede don Giuseppe Bettoni
Volontari in fuga? Parla il presidente di Arché, alla testa di una grande associazione che si occupa del disagio minorile.
Ma insomma, il volontariato è in crisi? La pietra scagliata dal professor Zamagni sul numero 25 di Vita, e raccolta da Marco Revelli la scorsa settimana, continua a produrre cerchi nello stagno del non profit, suscitando reazioni e risposte. Alcune polemiche, altre preoccupate, altre che confermano anche nei numeri il disagio di chi si impegna gratuitamente. Padre Giuseppe Bettoni, presidente dell?associazione Arché, che si occupa dell?assistenza a minori sieropositivi e con disagio psichico, fu uno dei primi, nel dicembre del 2001, a lanciare l?allarme sulla crisi dei volontari, denunciandone la difficoltà a trasformarsi in ?cittadini solidali? fuori dalle mura dell?associazione. Un giudizio che Zamagni ha criticato indirettamente, definendolo «la bordata di sinistra contro i volontari», e in cui Revelli intravede il tentativo del ?pubblico? di trovare gratis «parastatali di seconda fascia».
Vita: Padre Bettoni, a distanza di mesi, lei conferma il trend negativo dei volontari? Insomma, questa crisi c?è o non c?è?
Giuseppe Bettoni Certo che c?è, e si fa sempre più acuta. Ma la mia conferma riguarda solo la riduzione di disponibilità da parte delle persone, non la morte dell?idea di dono sostenuta da Zamagni. Anzi: secondo me la crisi scatta non tanto quando si chiede di più al volontario, ma quando gli si prospetta un cambiamento di prospettiva nel suo agire, una riflessione culturale sul gesto solidale che compie e quindi il passaggio centrale da volontario a cittadino solidale. L?impegno del volontario si incrina qui, quando è chiamato da un?organizzazione ad assumersi un problema in tutte le sue valenze culturali e, oserei dire, anche politiche. Perché in definitiva il volontario di oggi preferisce un?attività a livello immediato e diretto, meno complesso nelle responsabilità. Ma non basta, perché serve la formazione, il ragionamento che sta prima, durante e dopo l?azione di aiuto.
Vita: Può dettagliare meglio in che cosa consiste il ?passaggio? in cui si incagliano i volontari, magari con un esempio?
Bettoni: Ecco un esempio reale. C?è una famiglia composta da padre tossicodipendente e sieropositivo, madre malata di Aids e un bambino. I nostri volontari entrano in questa famiglia per stare accanto al piccolo, ma a un certo punto si rendono conto che per il suo bene è necessario allontanarlo dai genitori. E qui si aprono due possibilità: i volontari scelgono di occuparsi ancora solo del bambino, andandolo a trovare nella sua nuova famiglia affidataria, ma lasciando perdere i genitori naturali; oppure decidono di attivare un percorso di inclusione dell?intero nucleo famigliare, facendosi carico di una situazione in cui il solo buon cuore non basta più e che comprende i servizi sociali e il tribunale dei minori, il farsi portavoce degli interessi dei più deboli, lo scontrarsi con prepotenze e ingiustizie? È ben diverso, si capisce, che giocare con un bimbo un paio d?ore! Si tratta di un?etica della responsabilità che secondo me sta nel cuore della cittadinanza solidale.
Vita: Chiarissimo. Ma secondo Zamagni in questo modo il volontario non è più tale, perché diventa qualcos?altro. Per Revelli cade vittima della retorica dello Stato. Insomma, rischia di estinguersi.
Bettoni: Magari si estinguesse il volontario! Ne sarei felice, anzi, è questo il mio obiettivo. Zamagni dice che l?essenza del volontariato è il dono? Io dico invece: attenzione a non esaltare l?idea del dono, a non idealizzarla, perché è molto difficile incontrare e sperimentare una forma pura di dono. Il più delle volte, infatti, il ?donare? nasconde un?intenzione cattiva, una tossicità intrinseca che è poi la strada verso quel ?munus? che anche Zamagni condanna come concessione dall?alto, da parte di chi si ritiene superiore.
Vita: Cosa mi dice invece del dono come reciprocità, tra pari?
Bettoni: Dico che è splendida, e in questo Zamagni ha ragione. Dovrebbe essere questa, secondo me, l?anima non solo del volontario ma anche del cittadino solidale come lo intendo io. Peccato che sia proprio la reciprocità, la capacità di entrare in relazione con l?altro e la simmetria con il bisogno, a essere in assoluto più in crisi, di questi tempi. Il volontario medio non è capace di questo tipo di relazione, perché è di pochi. Vuole la prova?
Vita: Certo.
Bettoni: Quando Arché assisteva solo bambini sieropositivi e malati di Aids non aveva problemi a trovare volontari. E il perché è presto detto: era emotivamente più coinvolgente, più gratificante quasi, avere a che fare con creature così indifese. Faceva sentire superiori, sani, ?salvatori?. Oggi che ci occupiamo anche di minori con problemi psichici non si fa avanti più nessuno, perché manca il coinvolgimento emotivo, il richiamo a quella sfera primordiale del nostro cervello in cui abitano il sangue, il sesso e la morte. Senza coinvolgimento emotivo, dovrebbe prevalere quel senso di responsabilità e solidarietà di cui parlavo prima. E invece, niente.
Vita: La conclusione?
Bettoni: È presto detto: il munus attira di più del dono puro, della relazione. Questa, tranne rari casi, da sola è debole, non regge. Quindi occorre educare alla cittadinanza solidale perché il dono di sé e del proprio tempo possa contagiare tutta la vita e diventare un carattere stabile della persona, in qualunque circostanza. Solo così si realizzerà, a mio parere, la costruzione di quella società migliore e più umana in cui tutti vorremmo già vivere.
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