Formazione
Volontariato per chi è sospeso? Valditara sbaglia a farne una questione individuale
Il ministro Giuseppe Valditara ha annunciato una riforma del voto in condotta e della sospensione. Tra le novità, ci sarà anche il coinvolgimento degli alunni sospesi in esperienze di cittadinanza solidale. Secondo il pedagogista Ivo Lizzola, però, questo impegno dovrebbe essere proposto a tutti gli studenti, in una scuola che diventa una comunità aperta al territorio. E anche i provvedimenti disciplinari se riguardano solo il singolo servono a poco: bisogna affrontare i nodi con tutta la classe
È in arrivo una revisione della valutazione degli apprendimenti e del comportamento. Alias del voto in condotta. A dichiararlo è Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito. Cambiamenti che, secondo lo stesso ministro, saranno introdotti «al fine di ripristinare la cultura del rispetto, di contribuire ad affermare l’autorevolezza dei docenti, e di riportare la serenità nelle scuole». Verrà ripristinato il valore del voto in condotta, che farà media a partire dalla scuola secondaria di I grado (era stato tolto nel 2017) e che inciderà sui crediti per l’esame di maturità e, soprattutto, sarà riformato il meccanismo della sospensione: lo studente invece di starsene a casa, allontanato dalla scuola, sarà coinvolto in attività scolastiche e nel caso in cui la sanzione duri più di due giorni dovrà svolgere attività di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate.
Voto in condotta e sospensione, le novità dal Ministero
Cosa cambia? Sul voto in condotta, la normativa attuale – che presenta varie criticità e ambiguità, dice il Ministero – prevede che con i 5 in condotta ci sia la bocciatura solo in presenza di gravi atti di violenza o di commissione di reati. Ora si stabilisce invece che l’assegnazione del 5, e la conseguente bocciatura, potrà avvenire anche a fronte di comportamenti che costituiscano gravi e reiterate violazioni del Regolamento di Istituto. Il 6 in condotta invece genererà un debito scolastico (nella secondaria di secondo grado) in Educazione civica, che dovrà essere recuperato a settembre. Quanto alla misura della sospensione, scrive sempre il Ministero, «si ritiene che intesa come semplice allontanamento dalla scuola, sia del tutto inefficace e, anzi, possa generare conseguenze negative sullo studente. Si prevede pertanto che la sospensione fino a 2 giorni dalle lezioni in classe comporti più scuola, più impegno e più studio. Lo studente sospeso sarà coinvolto in attività scolastiche – assegnate dal consiglio di classe – di riflessione e di approfondimento sui temi legati ai comportamenti che hanno causato il provvedimento. Il percorso si concluderà con la produzione di un elaborato critico su quanto è stato appreso, che sarà oggetto di opportuna valutazione». Se la sospensione supera i 2 giorni, invece, lo studente dovrà svolgere attività di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate. La convenzione conterrà le opportune coperture assicurative. Se verrà ritenuto opportuno dal consiglio di classe, l’attività di cittadinanza solidale potrà proseguire oltre la durata della sospensione, e dunque anche dopo il rientro in classe dello studente, secondo principi di temporaneità, gradualità e proporzionalità. Ciò al fine di stimolare ulteriormente e verificare l’effettiva maturazione e responsabilizzazione del giovane rispetto all’accaduto.
Nell'anno scolastico che si è appena chiuso, d'altronde, le scuole hanno messo a fuoco come difficoltà quella di trovare strumenti alternativi alla sospensione, da mettere in campo dinanzi ai comportamenti scorretti dei ragazzi. A Pavia per esempio è nata una rete di scuole che propone ai ragazzi sospesi un percorso con Simone Feder e la Casa del Giovane (qui la testimonianza di un ragazzo che ha partecipato a questo percorso). Mentre Francesco Rovida, dirigente scolastico e psicologo, formatore per EIP Italia-Scuola strumento di pace, sul numero di VITA di maggio raccontava che a preoccupare gli insegnanti sono proprio «da un lato il senso di insicurezza nascosto dietro gli atteggiamenti aggressivi e all’abbandono scolastico e dall’altro le esplosioni comportamentali dinanzi a cui gli strumenti con cui siamo abituati – la punizione, la sospensione, il provvedimento disciplinare – sono inadeguati. Serve qualcosa che vada oltre». Ma ha senso, come fa il ministro, presentare in questo modo l’attività di cittadinanza solidale? Come se fosse l'espiazione di una colpa?
«La questione della non sospensione e dell’ingaggio in attività socialmente utili non è stata inventata ora», afferma Ivo Lizzola, professore di pedagogia sociale e di pedagogia della marginalità, del conflitto e della mediazione all’Università di Bergamo. «Conosco almeno 50 o 60 scuole che l’hanno fatto negli ultimi dieci anni; queste esperienze mostrano dei valori e dei limiti». L’elemento positivo – secondo l’esperto – consiste nello sperimentare contesti concreti di vita, in cui si fa un’esperienza "altra" di rapporto con gli altri e con le cose, che si connota come relazione responsabile. Questa possibilità, tuttavia, dovrebbe essere offerta a tutti: una scelta didattico-pedagogica di comunità, per dar senso allo studio e motivarlo, facendone scoprire il valore all’interno di un ambiente di vita reale, dove mettere in gioco le competenze che si stanno acquisendo. «Potremmo pensare queste attività come qualcosa che svolge l’intera classe», continua il pedagogista, «dando particolare responsabilità a chi ha dimostrato di averne meno».
L'importanza della rielaborazione da parte di tutta la classe
Un elemento critico delle esperienze già avviate infatti è che non sono sostitutive della necessità di rielaborazione di quanto è successo; dovrebbe esserci la possibilità di avere, a scuola, un cerchio riparativo che permetta di esprimere delle narrazioni e una presa di consapevolezza della propria posizione in ciò che è accaduto: non basta lavorarci fuori, in due o tre giorni di impegno sociale, bisogna portare i ragionamenti in classe. «In una scuola media, per esempio, un alunno aveva lanciato un peso contro una compagna di classe, fortunatamente mancandola, e rompendo uno specchio», racconta Lizzola. «L’insegnante non ha subito mandato lo studente dal dirigente, ha fatto sedere la classe in cerchio e ha chiesto a tutti di dire cosa fosse successo». Gli alunni hanno iniziato a parlare; l’alunno che aveva lanciato il peso ha detto di avere una situazione difficile, che era stufo di essere deriso. Si è preso la responsabilità del gesto, ma i compagni, a loro volta, hanno riconosciuto la loro parte di colpa, sia chi prendeva in giro sia chi si era accorto di quello che stava succedendo ma non aveva detto niente. I genitori hanno poi deciso come ripartirsi le spese per il danno – 200 euro la famiglia del ragazzino che l’aveva provocato e 180 le altre – e il consiglio di disciplina ha stabilito che tutta la classe, come punizione, avrebbe organizzato la corsa campestre. I docenti, poi, hanno ripreso la questione della responsabilità, ne hanno fatto un elemento di didattica.
«La scuola deve essere molto ricca ed esigente», dice il pedagogista, «chiara negli obiettivi. Deve far studiare e rendere chiaro perché è importante farlo, deve essere esigente come esperienza di relazionale, cognitiva e di ricerca, ma anche di responsabilità e di cura». Non si dovrebbe rinunciare alla punizione, a patto che abbia tre caratteristiche: i provvedimenti devono ristabilire la dignità e non toglierla a nessuno, nemmeno a chi ha commesso il fatto, ascoltare la sofferenza e rappresentare un impegno per ricostruire un legame rotto. Il nodo centrale è il modo in cui si costituisce la scuola: dovrebbe essere una comunità di ricerca, che preveda diversi setting di relazione e che sia aperta verso l’esterno, verso contesti reali di vita dove mettere a frutto le competenze acquisite e dove costruire relazioni ed educare alle emozioni, rompendo uno schema di esclusione dove alligna il rischio del bullismo. Quest’ultimo, lungi da essere, come a volte viene descritto, una patologia individuale, è invece un riflesso di un clima culturale e di relazione, un problema di costruzione dell’identità. E, sul rapporto con gli altri e la costruzione della comunità si dovrebbe basare anche il voto in condotta, che dovrebbe essere commisurato alla capacità di offrire un contributo alla vita comune, di creare connessioni e un buon coordinamento, a partire dalle proprie competenze e dai propri strumenti.
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