Volontariato

Volontariato in stazione, dopo un anno il treno non è partito

L'innovativo progetto che prevede di concedere alle associazioni spazi all'interno delle stazioni non più presidiate stenta a decollare: solo quattro locali occupati, pochi i progetti, complicate le procedure. Ecco che cosa (finora) non ha funzionato

di Gabriella Meroni

Far rivivere parte delle 1700 stazioni ferroviarie senza più personale a presidiarle, destinandole a scopi sociali. E’ questo l’obiettivo di un interessante progetto, “Volontariato in stazione”, presentato esattamente un anno fa (il 14 marzo 2013) da Ferrovie con i Centri di servizio al volontariato, oltre che con altri soggetti come l’Associazione italiana turismo responsabile e Legambiente. L’idea è semplice e decisamente win-win: a fronte di un progetto di riutilizzo sociale, i locali di queste stazioni “abbandonate” (ma perfettamente funzionanti grazie all’automazione, e volte frequentatissime da viaggiatori e pendolari) sono concessi in comodato d’uso gratuito alle associazioni del territorio che possono installarvi la loro sede e/o dar vita ad attività sociali utili a tutti.
Un’idea davvero innovativa, che però dodici mesi dopo stenta a decollare. Vita è andata infatti a vedere i risultati concreti del protocollo, scoprendo che di fatto le stazioni in cui le associazioni hanno preso possesso di locali prima ad uso esclusivo delle ferrovie sono solo quattro, una a Napoli (alla stazione Gianturco, dove il Csv partenopeo ha aperto una sede), una ad Anguillara Sabazia (dove l’associazione Terra Tua sviluppa diverse iniziative di turismo responsabile) e due, a cura di Legambiente, a Potenza Superiore e Pescara, trasformate da Legambiente nelle prime Green Station d’Italia.
I motivi? Parte sono dovuti al classico effetto annuncio all’italiana, che prevede che la notizia della partenza di un’iniziativa sia data ben prima che questa abbia le gambe per partire effettivamente. E parte anche a causa delle richieste (“giuste”, sottolineano da più parti) di Rete Ferrovie Italiane alle associazioni interessate a entrare nelle stazioni impresenziate. Per poter essere ammesse all’istruttoria, infatti, occorre presentare un progetto dettagliato che comprende tra l’altro una “breve analisi preliminare del territorio in cui si trova la stazione impresenziata oggetto di richiesta, sotto il profilo scoio-demografico, geografico e storico”, le “ricadute sul territorio in termini ambientali, sociali, occupazionali, altro” del progetto che si intende avviare, la “descrizione dei locali richiesti e del loro stato di manutenzione” (ma non sarebbe più logico che la facessero quelli di Rfi?), una valutazione degli interventi necessari per rendere i locali della stazione impresenziata idonea all’attività individuata, l’analisi e budget dei costi complessivi del progetto e – ovviamente – le risorse finanziarie previste e dedicate per sostenere i costi del progetto.
Un vero business plan, dunque, che le associazioni più piccole o meno organizzate non riescono a stilare, pur supportate dalla consulenza del Csv. A livello nazionale, infatti, alla sede di CsvNet risultano pervenuti e “valutabili” appena due progetti, nonostante “l’estremo interesse manifestato da tutti i centri di servizio d’Italia”, come ci confermano dall’ufficio che si occupa dell’iniziativa. In Toscana, la regione più virtuosa e attiva finora, sono stati inviati alla sede di Rfi regionale 15 progetti ritenuti meritevoli di attenzione dal Cesvot, ma 6 sono stati subito respinti; per gli altri 9 si apre ora la strada verso Roma, in attesa di una conferma da parte del Comitato di valutazione misto CsvNet-Ferrovie, che però a oggi non risulta ancora costituito.
Lungaggini e ritardi, confidano alcuni consulenti contattati dalle associazioni a livello locale, sono dovuti anche al fatto che non tutte le stazioni impresenziate, censite quasi quindici anni fa, risultano oggi tali, o comunque disponibili; altri problemi sorgono a causa delle caratteristiche tipiche di una stazione ferroviaria, che mal di presta – per esempio – a diventare sede di un asilo nido o di attività che comportano la presenza di persone fragili.
Insomma, nonostante l’ottima idea e le ancor migliori intenzioni, a un anno dalla firma del protocollo il “Volontariato in stazione” – potenziale fiore all’occhiello di un’attività sociale che Fs porta avanti comunque con successo e in diversi ambiti  – di fatto non è ancora partito. Non meriterebbe un'accelerata?
 

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