Non profit

Volontariato/ Il volontariato s’è fatto impresa. ma è sempre lui

C’è un dissidio aperto nel terzo settore. Da una parte chi dice che volontariato e attività economica sono ambiti inconciliabili...

di Giuseppe Frangi

Nulla spiega meglio le ragioni di Carlo Borzaga che la sua storia. Trento, 1979: l?allora giovane docente lavorava come volontario al centro di accoglienza dei Gesuiti in città. È un?opera che con il tempo stava crescendo di dimensioni e di impegno, anche finanziario. Ad un certo punto s?impone una scelta: per continuare bisognava essere ?più impresa?. Così, forte della sua competenza in economia del lavoro, Borzaga azzarda a convertire l?associazione in cooperativa. «Stranamente venne omologata, anche se eravamo una cooperativa di volontari e strictu sensu non rispettavamo il principio di mutualità», ricorda Borzaga. Era la prima cooperativa sociale italiana.

Da quel giorno Carlo Borzaga ha lavorato quasi a tempo pieno per dare prima legittimità e poi sempre più valore ?economico? a quel soggetto nato quasi per caso. O per necessità. Per questo, alla vigilia della Conferenza di Napoli, il nodo tra volontariato e impresa sociale gli sta particolarmente a cuore.

Vita: Si nota sempre diffidenza verso il volontariato che si fa impresa. Per dissipare i dubbi, spieghi lei cosa c?entra il volontariato con le forme di impresa sociale?
Carlo Borzaga: C?entra perché nasce tutto dal volontariato. L?idea di un impegno imprenditoriale imperniato su una finalità sociale nasce da lì. Mica nasce dall?idea di un dittatore illuminato! è il volontariato che ha fatto emergere i bisogni e poi si è inventato le risposte. E poi ha imposto alla pubblica amministrazione di farsene carico, conferendo a queste risposte il carattere di universalità. Il volontariato è come uno Stato nascente. Storicamente rappresenta la presa d?atto, da parte della società civile, che esistevano una serie di bisogni e di problemi a cui nessuno dava risposte. Sulla base di una fortissima carica ideale se ne fece carico, in forma del tutto volontaria, anche perché non c?erano altre forme possibili. Ma così facendo ha messo in moto un processo, che è quello a cui abbiamo assistito sino ad oggi e che ha portato al riconoscimento del valore costituzionale del principio di sussidiarietà.

Vita: Il discorso è chiaro. Ma resta aperta la questione della gratuità. Prima c?era un impegno assolutamente disinteressato dal punto di vista economico, oggi ci sono lavori retribuiti?
Borzaga: Alla faccia di chi dice che il volontariato è in crisi, io dico che invece è vero il contrario. è più diffuso in forma più atomizzata e non ha leader in grado di dare una visione unitaria. Prenda il caso delle persone che lavorano nella cooperazione sociale. Per la gran parte si tratta di gente che arriva a lavorare anche 14-15 ore al giorno,che potrebbe aspirare a stipendi e visibilità ben diverse. Eppure ha scelto questa forma di impegno nel sociale. Ci dovremmo chiedere perché lo fanno. Da quale cultura vengono. Io ho un?idea chiara: sono l?evoluzione storicamente matura dell?esperienza del volontariato di cui parlava De Rita su Vita. Ma forse per sciogliere l?equivoco bisognerebbe ribaltare i parametri.

Vita: In che senso?
Borzaga: Bisogna giudicare queste esperienze sulla base della bontà delle risposte date ai bisogni delle persone. Non alzare barricate per difendere un principio come quello della non remunerazione dell?impegno. Chiediamo che le cose siano chiare e alla luce del sole. Ma non separiamo mondi che, pur nelle diversità, hanno una radice comune. è il volontariato che ha portato allo scoperto tanti bisogni delle comunità. Poi, per dare risposte adeguate a quegli stessi bisogni, ha dovuto via via strutturarsi. Oggi ci sono i numeri a testimoniare l?entità del cammino fatto, Sono 6,8 milioni di italiani che usufruiscono ogni anno dei servizi delle associazioni e 2,5 di quelli delle cooperative sociali. Numeri che documentano come il terzo settore abbia avuto un ruolo decisivo nella trasformazione del welfare. Il passaggio da un modello prettamente erogativo a un welfare anche di servizi è dovuto a questa spinta impressa dalla società civile. Una spinta di libertà.

Vita: Si spieghi…
Borzaga: Il welfare tradizionale era profondamente illiberale. Basti pensare a come abbia penalizzato le donne nelle loro scelte di vita: è un modello che stava in piedi sinché le donne garantivano una presenza in casa e che quindi le limitava entro certe categorie di attività. Era un welfare basato sull?assunto che l?unico modo di essere socialemente impegnato fosse quello di pagare le tasse e di aspettare che lo Stato sociale rispondesse ai tuoi bisogni. Oggi le cose sono radicalmente cambiate.

Vita: Eppure i preconcetti non sono caduti. Si dice che si sono aperte le porte al privato, che non c?è più garanzia su un?equanimità dei servizi…
Borzaga: Sono idee vecchie. Quale equanimità se certi servizi lo Stato non li forniva neppure perché non intercettava i bisogni? Ma il volontariato deve sempre lottare contro i luoghi comuni. Come quello secondo il quale sottrarrebbe posti di lavoro. Invece qualsiasi economista sa che semmai è vero il contrario. Universalizzando nuovi servizi si sono creati nuovi posti di lavoro. Purtroppo questa logica sospettosa è ancora dominante nella sinistra italiana. Blair, invece, ha agito in direzione esattamente opposta. Ha investito sull?impresa sociale, e in questo ha fatto una scelta pienamente di sinistra.

Vita: Ha privatizzato ed è di sinistra?
Borzaga: Sì, perché ha creato un?alternativa alla cultura dominante, contrassegnata dall?autointeresse e dalla mercantilizzazione di ogni relazione.

Vita: Che cosa metterebbe nell?agenda di Napoli?
Borzaga: Va agevolato il volontariato individuale che dalla legge del 1991 venne emarginato per sostenere le forme di associazionismo organizzato. Ieri quella scelta aveva un senso, oggi invece andrebbe ripensata: il volontario è importante perché porta professionalità, soprattutto porta dentro strutture quali le cooperative sociali, gli interessi della comunità o degli utenti.


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