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Volontariato/ Il mondo che non ti aspetti. La storia giusta del dottor Boma

Basta guardare Hilary Boma per accorgersi che il volontariato in Italia sta cambiando. 37anni, medico, sposato, due figli e il terzo in arrivo, africano, viene dal Sudan...

di Emanuela Citterio

Basta guardare Hilary Boma per accorgersi che il volontariato in Italia sta cambiando. 37anni, medico, sposato, due figli e il terzo in arrivo, africano, viene dal Sudan. È il direttore sanitario della sezione Avis di Sondrio. A questo impegno volontario dedica cinque ore, a volte sei, a volte sette alla settimana. Quelle che riesce a strappare al suo lavoro come medico di base. «Mi sono laureato in medicina proprio grazie a gruppi di volontariato che ho conosciuto quando sono arrivato in Italia» dice, e cita il commercio equo e solidale, la parrocchia, un gruppo di laici missionari. «Mi è sembrato naturale, realizzato il mio sogno, restituire con il volontariato il bene che ho ricevuto».

Il dottor Boma è il primo direttore sanitario di una sezione Avis in Italia. Da qualche tempo ce n?è un altro, senegalese, a Livorno. Problemi a farsi accettare? «Nessuno», dice. «Lavoravo già a Sondrio come medico di base, conoscevo l?ambiente e per gli altri non è stato un impatto del tutto nuovo. Durante la prima assemblea ho detto che uno dei miei impegni sarebbe stato avvicinare gli stranieri alla donazione del sangue».

Di recente il presidente di Avis, Andra Tieghi, ha fatto notare che il numero di immigrati donatori di sangue è un fenomeno in crescita in tutta Italia. «Per le persone immigrate di solito è molto difficile fare volontariato», spiega Boma. «Molti fanno un lavoro che riempie molte ore al giorno e hanno da risolvere i problemi più urgenti. Io sono privilegiato perché il mio lavoro mi lascia del tempo da gestire».

«Il fatto di provenire dalla cultura africana mi dà dei vantaggi come medico» dice. «La priorità in Africa è la relazione umana. Così, all?inizio di una visita, cerco innanzitutto di mettere a proprio agio il paziente. E questo, oltre ad essere molto apprezzato, risolve già il 50% dell?anamnesi: se il paziente si apre ed è disposto a parlare, è molto più semplice individuare il problema».

Ma Hilary Boma ha anche un altro sogno: aprire un ambulatorio a Lafon, il suo villaggio in Sud Sudan, in una zona rurale dove manca un ospedale e la gente è costretta ogni volta a fare molti chilometri per raggiungere la città. «Vorrei portare in Sudan quello che ho imparato in Italia. L?organizzazione, innanzitutto. In Africa il volontariato non esiste nel modo in cui è concepito in Italia. Tutti sono disposti a dare una mano, nel caso qualcuno chieda aiuto. C?è una grande generosità, ma non c?è un volontariato sistematico e organizzato. Invece a casa mia, per esempio, ci vorrebbe».

Insieme ad amici italiani, il dottor Boma ha creato una fondazione, ?Il villaggio chiama?. «Tutti in Africa tendono ad andare verso la città. Invece io credo che il villaggio sia il cuore pulsante della nostra organizzazione sociale. Ma per invertire la rotta bisogna investirci, creare delle infrastrutture. Io comincerò con il mio laboratorio, spero che altri mi seguiranno».


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