Cultura

Volontariato/ Facciamo la conta

Che cosa dicono i numeri sullo stato di salute delle associazioni? Che l’incremento c’è, sia a livello di organizzazioni che di persone...

di Riccardo Bonacina

«Se il volontariato organizzato fosse un?azienda si potrebbe dire che gode di ottima salute in base ai dati di input (fattore umano complessivamente presente, risorse economiche mobilitate) e di output (prodotto in termini di servizi, di utenti in carico) e di outcome (gli esiti). Il volontariato è oggi una componente strutturale del panorama sociale del Paese, sia in riferimento alle persone che operano con gratuità e solidarietà (i due requisiti tipici e distintivi del volontariato) che per numero di organizzazioni attive». Concludeva così la sua rilevazione l?Istat nel 2003. Ma, appunto, il volontariato un?azienda non è. Perciò ci si interroga sulla tenuta e sul futuro di quello che è giusto definire come vero e proprio giacimento di valore sociale per tutto il Paese. Un giacimento, che non è sempre uguale a se stesso ma cambia. Cambia la composizione sociale, cambiano le dimensioni delle organizzazioni, cambiano le motivazioni e le modalità dell?impegno.

Quanti sono
I volontari, che operano individualmente o in qualsiasi tipo di organizzazione e istituzione, con diversa frequenza, sono stimati in Italia in oltre 4 milioni (Istat Multiscopo 2001) e rappresentano l?8% della popolazione sopra i 14 anni. Molti di meno, per esempio, i volontari attivi nelle organizzazioni, sono circa 1 milione, e la maggioranza di essi – il 58% – vi opera fornendo il proprio apporto con continuità.

Il fenomeno del volontariato rivela un incremento anche in termini di organizzazioni. Nell?ultima rilevazione Fivol 2001, l?universo nazionale verificato ammontava a 26.374 entità. Più recentemente la rilevazione Istat 2003 segnalava 21.021 organizzazioni iscritte ai registri regionali o provinciali del volontariato (+14,9% rispetto al 2001). Se ad esse si aggiunge circa il 30% stimato di unità solidaristiche organizzate ma non iscritte ai pubblici registri, il totale stimato unità che si ispirano alla legge 266 sarà di circa 30mila.

Nel complesso aumentano anche le entrate economiche delle organizzazioni e il riscontro è ancora più evidente tra le stesse unità che hanno partecipato alle due rilevazioni: se nel 1997 il 45,5% di esse disponeva di un budget superiore agli attuali 5mila euro, tale soglia di entrata è stata oltrepassata dal 56,8% nel 2000. Secondo i dati Istat il totale delle entrate delle organizzazioni di volontariato registrate passa dai 675 milioni di euro del 1997 ai 1.630 milioni di euro del 2003 (+141,5%).

L?offerta dei servizi
Aumenta anche l?offerta dei servizi alla persona e quindi il numero delle organizzazioni che se ne fanno carico direttamente (74,5% nel 2003) nonché, e in misura ancor più pronunciata, il numero degli utenti. L?Istat rivela una crescita dai 2,5 milioni di beneficiari diretti del 1997 ai 6,8 milioni del 2003.

Il settore di attività prevalente nel quale opera il numero maggiore di organizzazioni è quello della sanità, ma il suo peso relativo, rispetto al 1995, cala vistosamente. Cala anche la presenza relativa di organizzazioni nel settore dell?assistenza sociale, ma in misura molto contenuta, mentre cresce il numero di organizzazioni attive in altri settori (ricreazione e cultura, protezione civile, istruzione).

Cambiano i volontari
Il profilo tipico del volontario è: uomo, di età compresa tra i 30 e i 54 anni, diplomato e occupato.

Da segnalare l?età dei legali rappresentanti delle organizzazioni di volontariato. I dati presentati dall?Istat sono inequivocabili: il 61,5% dei presidenti ha 50 anni o più e la maggior parte di questi (33,7%) ha oltre 60 anni. Situazione simile anche nelle leadership delle cooperative sociali: il 48,1% ha oltre 60 anni, il 70,3 più di 50 anni, solo il 6,7 ha meno di 39 anni.

Anche i volontari tendono nel complesso ad addensarsi nelle classi con le età più elevate. La frequenza percentuale più elevata si concentra nella classe tra i 30 e i 54 anni di età (41,1%) e nelle classi superiori la frequenza dei volontari è ben superiore a quella registrata nella inferiore (rispettivamente 36,9% da 55 anni in su, a fronte del 22,1 nella classe fino a 29 anni). Tale dato, seppure meno accentuato di quello rilevato nel caso dei leader, caratterizza anche i volontari nel complesso, cioè comprendendo anche quelli che operano al di fuori di organizzazioni istituzionalizzate. In questo caso, peraltro, i volontari sono, anche in misura relativa, più spesso presenti nella classe di età più alta (21,8%), quella in cui si addensano i volontari più anziani.

Una conclusione che se ne può trarre è che non solo nelle organizzazioni si assiste, in generale, a un ricambio generazionale piuttosto vischioso, ma che anche l?alimentazione del sistema, probabilmente, risente del fatto che la platea dei volontari non cresce nella misura richiesta dal fiorire di organizzazioni nuove, soprattutto tra i più giovani.

Una scelta ?militante?
Da segnalare, infine, come il volontariato non sia un percorso di cittadinanza per la popolazione immigrata, neppure per le seconde generazioni. La presenza di immigrati nelle organizzazioni di volontariato è statisticamente irrilevante, gli immigrati per il volontariato italiano restano nella platea di beneficiari.

Cambiano anche le motivazioni di chi fa volontariato oggi: tra le definizioni scelte dai volontari per definire il loro impegno, il valore della ?utilità sociale? sbanca nettamente quello della ?gratuità? (la prima definizione è scelta dal 66,9% di un campione di 500 volontari, la seconda solo dal 29,7). Così come scende la motivazione ?altruistica? (dal 55,2 al 53,2% in tre anni) e guadagna terreno quella ?autorealizzativa? (dal 49,5 al 50,3%). Il volontariato è per il 44,2% la conseguenza di una scelta valoriale (+7,4%), ma questo implica una sorta di ideologizzazione: il volontario diventa ?militante del volontariato?. Come ha notato De Rita su Communitas (n. 8/06) «I valori oggi non fanno identità; al massimo fanno falsa identità».

Lo ?sfruttamento? del giacimento
Il volontariato oggi vive anche una crisi di ambiguità che è frutto anche del suo successo. Il successo ne ha caratterizzato in modo molto forte il modo di essere, di essere percepito e di percepirsi: come un protagonista indispensabile del nuovo welfare. Un?assunzione di responsabilità che rischia di renderlo ostaggio delle istituzioni, ostaggio della politica, ostaggio degli attori economici e dell?Organizzazione con la ?o? maiuscola.

Non solo il volontariato è oggetto di grandi attenzioni, ma, in certa misura, diventa dipendente, perché la sua vita, i contratti, appalti, deleghe, ruolo, dipenderà sempre più dal soggetto politico prevalente. Tra le organizzazioni di volontariato, nel complesso, si osserva che delle oltre 21mila unità attive, 4.204 dichiarano di aver sottoscritto uno più accordi di collaborazione con qualcuno degli 8.102 Comuni presenti in Italia; 3.212 unità con Aziende sanitarie locali; 1.141 accordi con amministrazioni comunali; 1.215 con una Regione. Il finanziamento dell?amministrazione pubblica costituisce l?entrata prevalente per una quota di organizzazioni di volontariato che nel tempo risulta sempre più elevata: nel 1996 ne era dipendente il 25%, nel 2000 il 42; oggi tale quota ha superato il 50%.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA