Frontiere sociali

Volontariato d’impresa solo per cinque aziende su 100

Quelle che lo propongono ai dipendenti sono poche, i benefici tanti. Spesso i direttori del personale, figure chiave per questa attività, non ne conoscono i vantaggi. Un volume della fondazione Terzjus mette in fila i pro e i quasi inesistenti contro di questa pratica emergente

di Nicola Varcasia

Volontariato d’impresa, questo (s)conosciuto. La prima lettera è messa tra parentesi perché, a fronte di numerose esperienze in merito, si tratta di una pratica non ancora diffusissima nel nostro Paese. Come VITA ha evidenziato nel numero dedicato al tema del volontariato, è in atto un processo di “contaminazione” tra buone pratiche di aziende, imprese e realtà sociali e comunità ma che manca ancora di sistematicità.

Competenze condivise

Un contributo molto interessante al tema lo ha dato la fondazione Terzjus che, da due anni a questa parte, ha dato vita ad un programma di ricerca per capire le implicazioni economiche, sociali e culturali di questa forma di impegno sociale, noto anche con il nome di volontariato di competenza, nella quale i dipendenti delle aziende mettono le proprie capacità professionali al servizio della comunità, principalmente durante l’orario di lavoro, perciò con l’autorizzazione dei propri capi.

Il libro

I risultati di questa indagine sono contenuti nel volume Riconoscere il volontariato di competenza. Analisi e strategie per valorizzare una pratica emergente”, a cura del ricercatore sociale Cristiano Caltabiano (Editoriale scientifica, Napoli, 2023) che ha esplorato quella che viene definita come la circolarità delle competenze aziendali a favore degli enti del Terzo settore, affiancandosi e, in qualche caso, facendo passare in secondo piano, attività consolidate come forme di mecenatismo o donazioni.

Se il volontariato si basa «sulla consapevolezza di un destino comune a tutta l’umanità», come dichiarò il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il volontariato di competenza aggiunge la dimensione organizzativa e condivisa all’interno del tessuto sociale di impresa, realizzando forme inedite di economia sociale.

Poche e buone


I dati di Unioncamere, che ha sostenuto il progetto, aiutano a fotografare le dimensioni del fenomeno: l’impatto del volontariato aziendale appare ancora abbastanza limitato riguardando il 5% delle aziende che impiegano almeno 50 dipendenti. Tuttavia il volontariato d’impresa non sembra essere residuale nel tessuto economico del nostro Paese dal momento che coinvolge direttamente o desta l’attenzione di poco meno un terzo delle imprese medio-grandi (31%), le quali già danno la facoltà (o pensano di farlo a breve) ai lavoratori e ai manager di impegnarsi nel sociale.

Norme favorevoli

Il volume si sofferma anche sul potenziale di crescita del volontariato di competenze, che sarebbe probabilmente ancora maggiore se gli amministratori delegati e i responsabili delle risorse umane fossero informati degli incentivi fiscali di cui potrebbero godere nel caso in cui autorizzassero i propri dipendenti a svolgere qualche azione meritoria durante l’orario di lavoro (deduzione del 5 per mille del costo, ai sensi dell’articolo 100, comma 2, lett. i del Testo unico delle imposte sui redditi).

La foto di copertina del libro della fondazione Terzjus

Più di 6 imprese su dieci hanno difatti affermato di non sapere dell’esistenza di tale norma (61%), nonostante l’indagine abbia raggiunto realtà produttive di una certa consistenza. Il che la dice lunga – provoca la ricerca – sulla necessità di spiegare meglio ai direttori del personale che potrebbe essere vantaggioso avvalersi di tale strumento in quanto, a certe condizioni, può migliorare l’immagine dell’azienda e il clima sul luogo di lavoro, cementando il senso di appartenenza dei lavoratori, a prescindere dalla posizione che questi occupano negli organigrammi, come mostrano diversi studi comparativi su scala internazionale.

Un ponte con il Terzo settore

«Ci sono spazi ancora maggiori per incoraggiare questo tipo di volontariato, che vanno ricercati nel carattere sempre più vincolante delle linee guida e dei regolamenti varati dalla Ue sui bilanci di sostenibilità, che impongono alle imprese di introdurre alcuni indicatori chiave di prestazione per dimostrare di aver realmente privilegiato i lavoratori, la comunità e l’ambiente, in un’ottica di contribuzione delle aziende alla sostenibilità, anche sociale. I tempi sono maturi per una congiunzione virtuosa tra istituzioni, imprese ed enti del Terzo settore – Ets, capace di dare un contributo fondamentale alle sfide che in primis il nostro Paese deve affrontare, dove il volontariato di competenza rappresenta il patto di partenariato sociale per eccellenza», ha dichiarato Luigi Bobba,presidente di Terzjus.

La foto in apertura da Unspalsh

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