Volontariato come pena alternativa. un centro servizi apre le porte

La data è, a suo modo, storica. Il 16 febbraio 2006 per la prima volta in Italia un Uepe – Ufficio di esecuzione penale esterna dell?amministrazione penitenziaria e un Csv – Centro servizi per il volontariato hanno firmato un protocollo d?intesa. Scopo: aprire le porte del volontariato ai detenuti che stanno scontando la pena in misura alternativa. «Una proposta tangibile per dare concretezza a uno dei principi cardine della legge Gozzini: la giustizia riparativa. In modo che i detenuti invece di marcire in galera si rendano davvero utili alla comunità», spiega Mario Nasone, deus ex machina del progetto e capo dell?Uepe di Reggio Calabria. E proprio il contesto territoriale dà peso ancor più rilevante all?iniziativa. «Siamo stati animanti da un duplice spirito», interviene Luciano Squillaci, presidente del Csv provinciale, riferimento per oltre 300 associazioni (i soci diretti invece sono 104),«sensibilizzare le nostre realtà sul tema della giustizia riparativa, ma anche sviluppare una mentalità diversa nei detenuti». Sullo sfondo un?idea fissa: educare alla legalità un territorio a forte impatto criminale. «Su questi temi», rileva infatti Squillaci, «incontriamo forti resistenze anche da parte del volontariato». Il protocollo di Reggio Calabria, siglato dopo una sperimentazione che in tre anni ha avviato al volontariato 120 persone, a pieno regime punta a coinvolgere tutti i 700 soggetti in esecuzione penale esterna dei tre istituti reggini funzionanti (Reggio Calabria, Locri e Laurena di Borrello). «A chi per motivi di età o di salute non sarà in grado di partecipare attivamente al programma, offriremo comunque la strada del sostegno a distanza», conclude Nasone.