Non profit
Volontariato, attenzione a liquidare le rappresentanze
L'intervento della responsabile "Terzo settore ed economia sociale" di Arci: «La retorica della disintermediazione ha scavato trincee profonde tra i bisogni delle persone e le loro aspirazioni al cambiamento. I danni si riflettono tanto nella crisi della partecipazione politica quanto in quella sociale. La soluzione di affidarsi ad una qualche tecnologia o task force di professionisti è però illusoria»
L’esplosione d’acqua che ha travolto la Romagna ha accelerato il dibattito(vedi nelle correlate, ndr.) sulla diminuzione dei volontari all’indomani della pubblicazione dei primi risultati del censimento Istat delle istituzioni non profit. Quasi che ci fosse da meravigliarsi che così tanti ragazzi si siano alzati da quei divani in cui, sprofondati, passerebbero chattando tutto il giorno. Una narrazione conformista che dispiace veder cadere solo davanti ad una tragedia di tale portata. Ma qual è l’interrogativo a cui rispondere? Se gli italiani hanno perso senso civico e spinta altruistica? Oppure se sono i “corpi intermedi” ad essere socialmente obsoleti? Oltre al calo del numero dei volontari registriamo altri trend negativi: per la prima volta non è stato raggiunto il tetto del 5 per mille (a testimonianza di un minor numero di scelte contributive a favore del Terzo settore) e assistiamo ad una flessione delle domande di servizio civile. La retorica della disintermediazione ha scavato trincee profonde tra i bisogni delle persone e le loro aspirazioni al cambiamento. I danni si riflettono tanto nella crisi della partecipazione politica quanto in quella sociale. La soluzione di affidarsi ad una qualche tecnologia o task force di professionisti è però illusoria.
Senza pretendere di dare risposte, qualche riflessione è d’obbligo.
1) L’osmosi tra movimenti e associazioni segue dinamiche consolidate. I primi irrompono sulla scena sociale, seguono percorsi carsici a secondo delle urgenze e delle fasi storiche. Le seconde assicurano continuità, supporto ai movimenti stessi, preparano e raccolgono il cambiamento. La frammentazione, una dimensione troppo ristretta all’interno delle comunità non facilitano sempre la maturazione di idee e pratiche autenticamente cooperative. In un mondo globale c’è bisogno di sguardi più alti, capaci di mettere in rete le esperienze locali con i grandi fenomeni che ci attraversano. Come possiamo pensare che il volontariato possa crescere senza un orizzonte di idee, proposte e cultura? Quelle associazioni che accolgono le istanze pacifiste, in un momento in cui la parola è riconosciuta solo alle ragioni delle armi, stanno costruendo esperienze stabili di attivismo e solidarietà. Quei giovani accusati di poltrire sul divano sabato prossimo saranno a Roma a manifestare per un reddito di base contro la povertà, ma li potete trovare la sera negli empori solidali o a distribuire pasti ai senza fissa dimora. Altri, prima di sbracciarsi a spalare fango, da quattro anni inscenano sit-in ogni venerdì per la giustizia climatica, e oggi danno vita a circoli Arci. Nelle regioni più disagiate del Paese, al Sud, il volontariato aumenta. In generale, il volontariato cresce se c’è un progetto di miglioramento sociale. E questo è possibile solo se si va oltre la frammentazione e si mettono idee e proposte in rete. Per questo il volontariato ha le sue rappresentanze. Poi, c’è bisogno di sostegno. Di garantire e rendere effettivo il diritto al volontariato. Di aprire spazi veri ed entusiasmanti di coprogettazione e coprogrammazione.
2) Proviamo a metterci nei panni del presidente di un circolo o di una associazione alle prese con domande sui volontari in organico. Il primo errore in cui può incorrere è non includere nel numero sé stesso, nonostante l’impegno gratuito, perché il senso comune considera volontari solo gli “operai” della solidarietà, quelli impiegati sui servizi. Ma progettare, promuovere, accollarsi la fatica della democrazia, dell’animazione e dell’organizzazione associativa, non è roba da opinionisti. È lavoro volontario. Gli attivisti dell’interesse generale rientrano a pieno titolo nell’idea di un volontariato che esercita diritti di cittadinanza.
3) Come la mettiamo con i vincoli del Codice del Terzo Settore? Chi iscriviamo in registro? Continuativi, occasionali: la scelta rischia di essere subordinata a ragioni economiche. I costi delle assicurazioni dei volontari hanno raggiunto cifre molto rilevanti. Più alte di quelle delle quote sociali di tante associazioni popolari. Allora, se il volontariato è parte del welfare di questo Paese, cosa aspettiamo ad alleggerirne i costi?
4) La questione del rapporto tra volontariato e lavoro è spesso liquidata troppo velocemente. Va superato il tabù della “coabitazione” tra lavoratori e volontari. Esistono da tempo molte esperienze che incrociano le due dimensioni, dimostrando che si tratta di relazioni possibili. Che anzi vanno incoraggiate. Perché nel rapporto tra volontariato e lavoro, l’uno aumenta al crescere dell’altro. Una recente ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà “Sussidiarietà e sviluppo sociale” in collaborazione con Istat, evidenzia il nesso di proporzionalità diretta tra tasso di occupazione e numerosità delle organizzazioni non profit, partecipazione culturale e partecipazione sociale. Sempre a proposito del Codice del terzo settore, allora, bisogna mettere mano alla parte promozionale della riforma, superando prima possibile questa fase di impaludamento burocratico. “Noi +”, l’iniziativa di Forum del Terzo Settore e Caritas Italiana insieme a l’Università Roma Tre per la rilevazione delle competenze dei volontari può contribuire a realizzare un obiettivo importante in questa direzione. Gli strumenti di valorizzazione del volontariato, il riconoscimento delle competenze acquisite in ambito lavorativo e nei percorsi formativi possono infatti aiutare la costruzione delle progettualità di futuro di vita e benessere delle persone. Che è quello per cui vale la pena di impegnarsi, sempre e comunque.
*responsabile Terzo Settore ed Economia Sociale Arci Nazionale
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