Cultura

Volontari statali? No grazie

Mancano tre mesi al varo della riforma e già si gioca la partita più importante: la libertà del volontariato esterno al Dipartimento. Che rifiuta di diventare un apparato ministeriale.

di Gabriella Meroni

Tempi duri per la Protezione civile. Mentre l?indagine della Corte dei Conti va avanti («è un lavoro complesso e corposo» ci ha detto il pubblico ministero Angelo Canale) e gli indagati Simonelli & c. rimangono in carcere, anche il mondo del volontariato è in subbuglio. La preoccupazione principale: non cadere vittima della confusione generale. Sacrosanto. Perché sul volontariato di Protezione civile, su chi sono, come sono organizzate e soprattutto da chi dipendono le persone ?mobilitabili? in caso di emergenza regna la disinformazione. In effetti, nel calderone dei ?volontari? ci finiscono sempre in tanti. Indistintamente. E in futuro le cose rischiano di complicarsi ancora di più, con il varo entro maggio dell?Agenzia di Protezione civile che sarà guidata da Franco Barberi e dipenderà dal ministero dell?Interno (oggi invece dalla Presidenza del Consiglio).
Nel volontariato i giochi sono già aperti. E la partita è chiara: si tratta di stabilire se in futuro avranno più peso, influenza e possibilità di agire i volontari interni all?Agenzia, i ?volontari di Stato? organizzati localmente in gruppi comunali e poi in colonne regionali, oppure quelli che appartengono alle grandi organizzazioni nazionali – tra cui Anpas, Misericordie, Associazione Alpini e Scout – che, di fatto, nelle emergenze forniscono l?88% degli uomini e dei mezzi. La scelta è cruciale. In ballo ci sono non solo il futuro di tutta la Protezione civile italiana, ma anche una concezione di volontariato che preoccupa le associazioni: non più un volontariato libero e indipendente ma un volontariato di Stato, sottoposto al controllo e alle direttive politiche del ministero degli Interni. «Il problema è semplice: si deve scegliere tra la libertà e i soldi» sintetizza Enrico Luchi delle Misericordie, responsabile di 150 mila volontari di Protezione civile. «Noi vogliamo lavorare insieme all?ente pubblico, ma non dipendere dal pubblico. Certo ci si rimette un bel po? di quattrini. Ma noi teniamo soprattutto alla nostra indipendenza».

Un Comune, una squadra
La Protezione civile in Italia può contare su un vero esercito di un milione e 300 mila volontari. Di questi, oltre 150 mila sono alle dirette dipendenze del Dipartimento e organizzati su base comunale, e possono appartenere a due tipi di organizzazioni: le prime sono piccole associazioni private, iscritte al registro regionale di Protezione civile e in un apposito elenco presso il Dipartimento, che di norma intrattengono un rapporto di convenzione con i Comuni da cui ricevono gratuitamente la sede, i mezzi di soccorso e i rimborsi spese. I secondi sono i cosiddetti ?gruppi comunali?, di diritto pubblico, il cui responsabile e presidente è il sindaco che detiene anche la proprietà di tutti i beni del gruppo. A un gruppo del primo tipo appartenevano i due volontari sardi dell?associazione Ma.si.se. cacciati per le loro denunce sul campo di Valona (Ma.Si.Se. è la sigla dei comuni Maracalagonis, Sinnai e Sestu, in provincia di Cagliari).
Ed è proprio su questo settore del volontariato che si sta appuntando l?attenzione del Dipartimento, come ci conferma Franco Pasargiklian, direttore del mensile ?La Protezione civile italiana?: «I gruppi comunali aumenteranno sempre di più» dice. «Queste sono le linee guida del Dipartimento. Ci sono già Regioni che stanno incentivando la formazione di nuovi gruppi e d?altra parte il decreto legislativo del luglio 1999 che ha istituito l?Agenzia obbliga tutti i sindaci italiani a dotarsi di una squadra di Protezione civile. Il reclutamento di questi volontari spetta ai Comuni; la loro formazione è invece spesso a cura delle Regioni, che organizzano appositi corsi su base provinciale. Tutti insieme andranno poi a costituire la colonna regionale di Protezione civile».

Anpas e Misericordie dicono no
Addio dunque ai volontari ?puri?? Obbligo di ?regionalizzazione? per tutti? Inquadramento statale coatto? «Voglio sperare di no» ribatte Enrico Luchi. «Lo statuto dell?Agenzia è ancora in fase di elaborazione, quindi è prematuro sbilanciarsi. Ma se la tendenza fosse quella di privilegiare la componente pubblica noi non saremmo d?accordo. I tempi dello Stato sono inconciliabili con l?emergenza, e poi si dovrebbe sempre sottostare a decisioni politiche che limiterebbero la nostra libertà. No, non saremo mai dei volontari di Stato». «Non accetteremo che le nostre competenze a livello nazionale siano svuotate» gli fa eco Andrea Borio, vicepresidente dell?Anpas (300 mila volontari impegnati nella Protezione civile). «Non abbiamo alcuna intenzione di confluire nei gruppi comunali: sarebbe un?inutile frammentazione, e poi rischieremmo di venire identificati con la struttura pubblica, quasi fossimo dei dipendenti statali, un po? come sta succedendo con le nostre ambulanze che prestano servizio nel 118. Un problema molto sentito dai nostri volontari, e che vorremmo evitare».
A ben guardare, i timori di Anpas e Misericordie sembrano essere confermati dai fatti. La Lombardia, ad esempio, conta già 130 gruppi comunali contro 100 associazioni private. E la tendenza è in crescita a favore dei gruppi a statuto pubblico. «I gruppi comunali sono nati da poco ma stanno numericamente soppiantando gli altri» conferma il professor Marco Lombardi, docente di sociologia all?università Cattolica di Milano e autore di uno studio sul volontariato di Protezione civile (in uscita a giorni) realizzato per conto della Regione. «Personalmente non credo che le associazioni private siano sostituibili da quelle comunali. Ma la realtà è che nel settore della Protezione civile regna una gran confusione. Ci sono troppi soggetti in campo, troppe autorità che si calpestano, una gerarchia approssimativa. Questo fa male alla Protezione civile, alle popolazioni colpite da calamità e in definitiva a tutti noi, perché quando le cose vanno bene i meriti sono di tutti, quando vanno male la colpa non si capisce di chi sia». E chi fa chiarezza a volte dà fastidio.

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