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Volontari in fucina

Si chiamano Centri di servizio per il volontariato. Sono nati nel 1997, frutto della legge 266.

di Benedetta Verrini

Oltre 80mila prestazioni in un anno, al servizio di 34mila utenti. Un radicamento sul territorio che ormai copre l?84% delle province italiane. Oltre 62 milioni di euro (il 74% delle risorse finora percepite dalle fondazioni) interamente erogati in servizi al mondo del volontariato. L?identikit 2002 dei Centri di servizio per il volontariato testimonia che sì, la fase pionieristica è conclusa. Dopo un cammino lento e travagliato, che dalla ?genesi? nella legge 266/1991 li ha portati a vedere la luce solo nel 1997, i Centri di servizio fanno il punto sul ruolo di sostegno del settore, analizzando i dati del Terzo rapporto sui Csv in Italia, curato dal Coordinamento nazionale e dal Cesiav, e presentato ufficialmente a Roma a Palazzo Valentini il 30 gennaio, nell?ambito di una tavola rotonda con i rappresentanti del volontariato e i principali interlocutori istituzionali. Un appuntamento che giunge nel pieno del dibattito sulla riforma della 266, la legge quadro sul volontariato, e che coinvolge e interroga un mondo “da sempre refrattario a troppe normative”, commenta Marco Granelli, presidente del coordinamento Csv.net, “e fiero della propria specificità nel non profit, del proprio ruolo di condivisione, di advocacy, di spontaneità”. Lo sviluppo dei Centri di servizio testimonia questo dna: in ogni parte d?Italia ha preso la sua forma organizzativa ideale. In alcune regioni i Csv sono a dimensione regionale o interprovinciale, in altre a dimensione provinciale o circondariale. E mentre oggi mancano all?appello solo i Centri di servizio della Campania e di Bolzano, la stessa rete nazionale nel 2002 si è evoluta in un soggetto nuovo: “Da collegamento dei Csv a Coordinamento nazionale”, dice Granelli. “Un vero e proprio ente di tipo associativo, che vuole rappresentare un polo di collegamento per lo scambio di esperienze tra tutti i Csv, per meglio realizzare le finalità istituzionali e interloquire in modo efficace con enti e istituzioni”. I Csv sono diventati strutture di supporto a 360 gradi, a disposizione di tutte le associazioni del territorio, senza distinzioni: da quelle socie alle non socie, grandi e piccole, iscritte e non iscritte ai registri del volontariato. I grandi numeri di utenza e prestazioni oggi li interrogano a una riflessione sempre maggiore sulla quality satisfaction, sull?efficacia e l?efficienza dell?azione per il volontariato. Un impegno che ha condotto alcuni Csv alla redazione del bilancio sociale: “Lo abbiamo pubblicato già l?anno scorso”, spiega Franco Pizzarotti, presidente del Csv Parma. “E ci ha permesso di farci conoscere ma anche di conoscerci meglio”. I servizi sono davvero di tutti i tipi: da quelli puramente logistici, che assorbono il 35% delle prestazioni e riguardano la ?vita vera? delle associazioni (dalla conservazione della posta alla fotocopiatura, dal prestito dei computer all?ospitalità nella sede per le riunioni?), fino a servizi ?alti? e complessi, come il supporto nella stesura dei progetti e nel monitoraggio ai bisogni del territorio, la formazione e la promozione delle attività, la consulenza per assolvere agli obblighi burocratici. Questo settore, in particolare, assorbe ancora il 47% del totale dei servizi erogati dai Csv, con oltre 39mila prestazioni. “è più che naturale”, commenta Maurizio Ampollini, direttore del Csv di Varese. “La legislazione ha, da un lato, valorizzato il volontariato e riconosciuto agevolazioni fiscali, ma ha anche chiesto alle organizzazioni di fare un salto di qualità nelle capacità gestionali e amministrative. Così le associazioni sono ricorse ai Csv per orientarsi tra le tante e frammentate norme di settore, per fare il bilancio, per accedere alle agevolazioni senza errori. Per venire incontro a queste esigenze, a Varese abbiamo fatto una convenzione con l?Agenzia delle Entrate in modo da offrire alle associazioni interpretazioni univoche sulle leggi e sul fisco”. Gli altri grandi assi di lavoro dei Csv riguardano poi la progettazione e la formazione: “Solo a Milano in tre anni abbiamo realizzato 394 corsi con oltre 8mila iscrizioni”, spiega Giorgio Sordelli, responsabile formazione del Ciessevi Milano. “Abbiamo coperto il bisogno formativo dei dirigenti delle associazioni negli ambiti organizzativi, gestionali e fiscali. Oltre a questo, realizziamo corsi tematici, in cui il tema di lavoro viene proposto e sviluppato in partnership con le associazioni stesse”. Tra l?altro, i Csv hanno realizzato il 47% della formazione e il 35% della promozione del volontariato attraverso la collaborazione e l?affidamento alle organizzazioni di volontariato, concretizzando un atteggiamento di sussidiarietà. Secondo l?Istat, presente alla tavola rotonda di Roma con un?elaborazione dei propri dati 2001 sui volontari, gli ambiti sanitario e dell?assistenza sociale continuano a concentrare il maggior numero di associazioni di volontariato. “E mantengono un grande appeal anche nel mondo giovanile, insieme a quello culturale-ambientale”, spiega Alessandro Fedeli, direttore del Csv Marche, impegnato nella promozione del volontariato tra i ragazzi. “è un po? il nostro fiore all?occhiello”, prosegue. “L?anno scorso ha coinvolto attivamente 193 associazioni in 99 scuole tra elementari, medie e superiori. Circa il 5% dei ragazzi avvicinati sono entrati in un percorso stabile di volontariato”. Un segno positivo, per un volontariato che si affaccia verso un futuro di cambiamenti. A partire proprio dalla riforma della 266, che dovrà decidere sulla partita dei rapporti tra i Comitati di gestione e i Centri di servizio per il volontariato. I primi, che amministrano con parsimonia (in alcuni casi eccessiva) le risorse accantonate dalle fondazioni: si tratta di oltre 420 milioni di euro, di cui finora ne sono stati distribuiti solo 116. I secondi, che difendono il proprio ruolo di strumento del volontariato e guardano con proccupazione alla proposta del governo “in cui si propone di lasciare il 40% dei fondi alla gestione diretta dei Comitati”, spiega Marco Granelli. “Un?ipotesi che, invece di valorizzare e applicare il principio di sussidiarietà insito nella 266, tende a trasformare i Comitati di gestione da enti di controllo e regolamentazione del sistema a soggetti di indirizzo e di azione diretta, senza nessun controllo. Noi crediamo nella collaborazione dei diversi soggetti, volontariato, istituzioni, Csv, Comitati di gestione, fondazioni di origine bancaria, ma ognuno con il proprio ruolo”.

Info: Ci-esse-vi, ecco chi sono

Sono strutture, così come le ha descritte la legge 266, “al servizio delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestite, con la funzione di sostenerne e qualificarne l?attività”. Esse operano erogando “le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato iscritte e non iscritte nei registri regionali”. I Csv, presenti in quasi tutte le province italiane, sono finanziati dalle Fondazioni d?origine bancaria, che destinano loro 1/15 della differenza tra proventi e spese. I fondi sono assegnati e controllati a livello regionale dai Comitati di gestione, composti da rappresentanti delle fondazioni, delle organizzazioni di volontariato e delle istituzioni (ministero Welfare, Regioni, enti locali). Coordinamento dei Centri di Servizio per il Volontariato

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