Formazione

Volontari, il rischio della burocrazia. Parlano De Rita, Bellini, Don Nozza

Si chiude l'anno del volontariato che le Nazioni Unite hanno dedicato all’impegno solidale. La Fivol, vicina al varo della Carta dei valori, fa un bilancio.

di Giampaolo Cerri

Senza clamori, così come era cominciato, si chiude l?Anno internazionale che l?Onu ha voluto dedicare ai volontari di tutto il mondo. Significa che è stata un?occasione perduta? Davvero, di questa dedicazione, ricorderemo solo la campagna lanciata da Benetton con le ruvide foto di James Mollison? Alla Fivol, la Fondazione italiana per il volontariato, sono convinti del contrario. Il 2001, per loro, è stato l?anno di un lavoro importante che il 4 dicembre, con una giornata-evento, viene presentato ufficialmente a tutta la società civile e non solo: la Carta dei valori. Assieme al Gruppo Abele, la Fondazione ha cercato di raccogliere in questo documento i motivi che fondano ogni esperienza di volontariato, enucleando le ragioni generali di chi si muove verso gli altri senza un tornaconto. «Era importante fare il punto su cosa sia il volontariato», dice Renato Frisanco, direttore del centro studi della Fivol. «In questi anni abbiamo assistito a un cambiamento del concetto di gratuità in quanto esistono molte associazioni che riconoscono ai volontari dei rimborsi spese forfettari. È mutato il concetto di solidarietà, spesso confuso con quello di ?utilità sociale?. Si è contrapposto al volontariato l?associazionismo tout court». Frisanco cita anche il rapporto fra associazioni e istituzioni pubbliche. «C?è stata una corsa a iscriversi nei registri regionali e a svolgere servizi per il pubblico, trascurando le tradizionali funzionai di advocay, di tutela di diritti», osserva. Insomma un volontariato che tende un po? a istituzionalizzarsi, «a essere nel migliore dei casi un soggetto integrato nelle politiche pubbliche e non un soggetto di partecipazione, come invece sarebbe previsto anche da leggi come la 328/2000 sull?assistenza». Fivol e Gruppo Abele si sono chiesti chi sia il volontario, come possa operare per rimanere fedele al proprio mandato, ma anche «che cosa fondi un?organizzazione di volontariato, cosa la distingua dalle altre realtà di Terzo settore e a quali comportamenti si debba ispirare la realtà di volontariato rispetto al pubblico». La gratuità, dice poi la Carta, è la forma distintiva che rende il volontariato originale rispetto a tutte le altre componenti di impegno civile e di Terzo settore. «Altra parola chiave», spiega Frisanco, «è solidarietà di cui il volontariato è scuola ed esperienza». E poi sussidiarietà, «perché mette in moto tutte le forze di una comunità per superare tutti i problemi, a cominciare dalle cause che li determinano». Ma soprattutto, la Carta vuol ricordare che «volontariato è pratica di cittadinanza solidale», che la legge stessa gli attribuisce «un ruolo culturale e politico, legittimandolo a incidere sulla realtà». Naturalmente senza sostituirsi al pubblico che rimane, per Frisanco, «responsabile primo della risposta ai diritti delle persone». Il vero problema? Mancano i giovani – Parla De Rita Il sociologo e i volontari. Abbiamo chiesto al direttore del Censis Giuseppe De Rita, osservatore attento del mondo sociale italiano, come ha vissuto quest?anno internazionale. Vita:Professore, si chiude l?Anno dei volontari… Giuseppe De Rita: Come tutti gli anni internazionali, non mi sembra che quest?anno abbia avuto un grande effetto. È una liturgia un po? stanca: l?unico che riuscì bene fu quello sull?infanzia, ormai qualche anno fa. I problemi sono d?altra parte troppo diversi da Paese a Paese e non si riesce a cavarne fuori molto. Vita: Come vede il fenomeno in Italia De Rita: Sul piano generale mi sembra che in Italia il problema del volontariato si vada molto confondendo con il privato sociale, con l?intervento finanziariamente massiccio, con un legame con le commesse pubbliche. Una cosa da una parte giusta, perché significa consolidare un?esperienza e dare a chi fa volontariato una possibilità di incidere fortemente anche su alcuni servizi o sul modo stesso di farli, specialmente negli enti locali. Il rischio è che, così facendo, si vada verso una professionalizzazione e che diminuisce il valore originario del volontariato: la gratuità. Quando si formano grandi gruppi di imprese sociali è difficile trovarvi la dimensione volontaria: c?è l?impegno civile e sociale, ma diventa tutto più aziendalizzato. Il problema mi pare più un altro… Vita: E quale sarebbe? De Rita: Che il flusso dei giovani verso il volontariato diminuisca. I volontari sono ultraquarantenni, pensionati, insegnanti, impiegati pubblici. I giovani sono così stressati a lavorare 12 ore il giorno a partita Iva o da interinali che non hanno più tempo per pensare al volontariato. Abbiamo imparato a essere più cittadini- Parla Grazia Bellini di Agesci Un anno vissuto entusiasticamente. Grazia Bellini, a capo degli scout Agesci con Edoardo Patriarca, fa parte di coloro che sono soddisfatti del fatto che il 2001 sia stato dedicato ai volontari. «Questa realtà è ancora troppo poco raccontata», spiega, «anche senza troppi battage, mi è sembrato un fatto importante». Fra gli scout e le guide dell?associazione si è riflettuto sul ruolo e sul significato dell?essere volontari. «Abbiamo messo a fuoco un interesse costitutivo», racconta la Bellini, «sia come guide, perché siamo tutti volontari, sia per l?educazione al volontariato, che rappresenta il nostro specifico. Piuttosto, la cosa importante è stato capire che non si tratta di un?espressione individuale o collettiva, ma di un servizio di cittadinanza, uno dei modi di esercitarla. Una forma in cui la società civile può esprimersi e fornire indicazioni». Elemento quest?ultimo, fondamentale per chi vive un?esperienza educativa: «È importantissimo far sentire i ragazzi partecipi di un contesto sociale e politico che sembra invece spesso determinato da altro». Cambiano i volontari e cambia la percezione che la società ha di loro. «Mi sembra che ci sia una riscoperta di attenzione», conferma la capo scout, «si comincia a guardare ai volontari come interlocutori: il volontariato diventa importante non perché gli si attribuisce un valore economico, ma perché è ascoltato». Restano da definire «i rapporti con il mondo delle istituzioni e della politica», osserva la Bellini. L?Agesci lo ha fatto «cominciando a mettere a disposizione la propria esperienza nei tavoli in cui si ragionava di educazione», come è accaduto con l?Istruzione e l?Ambiente. Gli scout cioè non si sono limitati a educare i ragazzi, ma hanno cominciato «anche a dire qualcosa sui ragazzi». Don Nozza: Così siamo usciti dalle sagrestie- Parla il Presidente Ha volato alto il Papa parlando, domenica scorsa, alla Caritas italiana in occasione del trentennale della sua fondazione. Come sempre. «Occorre dar corpo a una azione caritativa globalizzata», ha detto, «che sostenga lo sviluppo dei ?piccoli? della terra». Un riferimento che ha colpito il direttore don Vittorio Nozza. «Ha parlato della globalizzazione sia in termini negativi che positivi», dice, «ha ricordato come abbia determinato un ampio cerchio di ingiustizia ma, dall?altra parte, indica lo strumento con cui vincere queste insicurezze ampie e globali, facendo assumere a questo processo un vestito di forte solidarietà». Si tratta di «andare a vincere queste paure, tinteggiando la vita dei singoli e dei popoli all?insegna della solidarietà e incidendo le cause che generano le povertà locali e internazionali». Per don Nozza, trent?anni di carità mandano un messaggio all?Italia: «Quello di una presenza animativa del territorio», dice, «che va al di là della sagrestia o più in generale dei luoghi normali del vivere la Chiesa, ma che si intrufola dentro ogni rigagnolo della storia e del territorio. La capacità di stare dentro ogni piccola grande storia di vita delle persone, cercando di esprimere anche input di stimolo, di valutazione critica, di condivisione, di prossimità. Un tentativo costante di costruire relazioni». La Caritas non è un?associazione di volontariato, anche se vuol essere promotrice di esperienze volontarie. «È un nostro dovere statutario», conferma il direttore, «promuovere, moltiplicare le forme più diverse di associarsi e cooperare. In trent?anni ci siamo riusciti. Oggi la preoccupazione è mantenere alta la dimensione della gratuità, che può generare a sua volta altre forme che vanno nella direzione della impresa sociale e che, comunque, meritano tutto il nostro rispetto».


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