Famiglia

Volontari e reporter Raccolgono le storie del popolo di strada

Anziani, barboni, immigrati, testimoni scomodi del disagio: sono loro gli autori e i protagonisti dei racconti metropolitani.

di Cristina Giudici

Raccontare una storia che nessuno ha più voglia di ascoltare. Scavare nella memoria per non perdere il filo del proprio destino e fissare su carta le emozioni e i ricordi di persone ormai dimenticate da tutti. Succede sui banchi dell?Università Statale di Scienza della Formazione, attivata due anni fa nel polo Bicocca di Milano. Qui circa cinquanta studenti, aspiranti educatori, hanno costruito un ponte fra l?Università e la società, fra la scienza dell?educazione e l?emarginazione. La trovata di Demetrio La geniale trovata è del professore Duccio Demetrio, docente di educazione degli adulti, che l?anno scorso ha istituito il seminario-laboratorio ?Mnemon: esperienze di volontariato autobiografico e disagio sociale?; la seconda edizione è prevista a gennaio. Come funziona? Un gruppo di studenti, guidati da operatori sociali e volontari di associazioni incontrano anziani, senza tetto, malati, immigrati per ascoltare e poi (ri)scrivere a quattro mani la loro storia. «Serve agli studenti che devono imparare la pratica dell?ascolto con le persone in difficoltà, fondamentale per il loro futuro lavoro di educatori, e serve agli emarginati per recuperare la propria identità attraverso il racconto e il rapporto umano», dice il professor Demetrio. «E non importa se queste storie non sono scientifiche. Anche se sappiamo che quanto si scrive potrà non giungere a nessuno esso è utile a far sentire vivo il suo autore. Dall?altra parte chi scrive scopre la fascinazione lirica di ogni ricordare: c?è pietà per sé e per il male subito o inflitto, per il tempo scomparso e per i luoghi perduti. C?é rimembranza e nostalgia. C?è una riedizione della propria identità che rende meno tragica la solitudine». L?elemosina di Merkez Così Caterina Benelli, studentessa fiorentina ha raccontato la storia di Merkez, zingaro rom di 23 anni che è arrivato in Italia dalla ex Jugoslavia quando aveva solo cinque anni. «Mio padre non era contento di mandare i suoi figli a chiedere l?elemosina», ha raccontato Merkez a Caterina, «ma era meglio che andare a rubare. Mia madre non accettava che fossimo noi figli a chiedere l?elemosina perché temeva che ci rapissero, così sono andati loro, paese per paese a chiedere l?elemosina finché noi siamo cresciuti, abbiamo imparato la lingua ed è toccato a noi (…). Dopo Napoli siamo andati a Bari, Catania, Palermo. Eravamo costretti a girare perché ogni volta che ci fermavamo con la roulotte gli abitanti del quartiere chiamavano la polizia (…). Quando facevo la terza media dicevo alla mia professoressa che non i sentivo più rom, ma neanche italiano. Poi con mio padre che ha studiato il Corano per 24 anni, nel ?94, siamo tornati in Macedonia e lui ha fatto l?esame per diventare maestro. In Italia abbiamo costruito una moschea al campo nomadi di Firenze. Lui cercava di risolvere i problemi della nostra gente, mettere pace dove c?erano litigi e infine guariva i malati…». Oggi Merekez si è sposato, ha avuto un figlio ed è diventato mediatore culturale, per insegnare la tradizione e la lingua rom nelle scuole italiane. Dopo vari incontri con Caterina ha potuto ricordare la storia della sua vita, i viaggi fra la Macedonia e l?Italia, il freddo, la miseria, la lotta per diventare qualcuno, il rifiuto da parte degli italiani e alla fine ha concluso: «Vorrei che mio figlio facesse una vita diversa, vorrei che Rakman andasse a scuola, che studiasse e avesse un futuro, insomma studiare emagari divetare l?erede spirituale di mio padre. Magari mantenendo le nostre usanze e allo stesso tempo imparando le cose buone della vostra cultura. Oggi anch?io sono cambiato: non mangio più seduto per terra, ma intorno a un tavolo. Non giro più, ho un lavoro, tanti amici italiani e ogni volta che viaggio faccio i documenti. Insomma ho una doppia personalità: metà zingara e metà italiana». Dopo le prime lezioni del seminario tenute da Lucia Sersale, Stefania Freddo e Antonella Bolzoni che da studenti laureate sono passate a coordinare il gruppo di ricerca di metodologia autobiografica, la voce si è sparsa e sono arrivati anche studenti ?fuori corso?, insegnanti di italiano dei corsi del comune per stranieri, signore anziane ansiose di girare per la città a esercitare l?antico mestiere di raccoglitori di storie. Le storie di Gabriella e Laura Gabriella Nicotra ha scritto la vita di un?anziana signora dal titolo Io e Gina, una vita che insegna, dove ha riassunto la sua eperienza di ascolto e racconto in una frase di Gina: «Il mondo è comunque sempre una lotta fra il bene e il male. C?è ignoranza, ma tutte le mie rinunce sono state per me valide. L?importante è godere delle cose che la vita ci fornisce giorno per giorno perché un domani, quando non ci saranno più, potrò dire di averle assaporate davvero e di non averle lasciate passare così senza farci neanche caso». Invece Laura ha trascritto la storia di un?altra anziana che le ha raccontato, giorno dopo giorno, tutta la sua esistenza in dialetto milanese. Il frutto del loro incontro terapeutico si intitola Anima Vagula e Blandula. «Non ho voluto cambiare le parole di un racconto che si snoda sul filo della memoria», ha scritto Laura, «quanto ho fatto è solo il tentativo di parlare di una profondità che incanta e rischia di annullarti». Rosalba Monti, insegnante di italiano per stranieri ha intervistato il suo studente, cinese, che le ha detto: «Ho una storia un po? diversa da quella dei cinesi che normalmente vengono in Italia: mio padre è medico, mia mamma insegna e in Cina stanno bene, io sono venuto in Italia perché l?ho deciso io…» e ancora un altro ?eroe? uscito dal silenzio grazie al progetto Mnemon ha ricordato: «tu mi sei testimone perché nella mia mente non tutto scorre liscio, mi affido alla memoria così com?é, ricca di luci e ombre e perché no anche di sofferte sovrapposizioni. Talvolta il ricordare è il tentativo di trasformare le molte amarezze della nostra esistenza e il nostro migliore percorso esistenziale». Una tecnica diffusa all?estero Insomma ogni racconto autobiografico, oltre a restituire dignità umana e identità a persone che si sono smarrite sul sentiero dell?esistenza, svolge una funzione pedagogica da adottare nelle scuole, nei servizi sociali, nelle carceri, negli ospedali e in strada. Una tecnica nuova che però all?estero è già diffusa fra gli educatori e i pedagogisti di strada (in Francia e anche Brasile), fra persone per professione o solo per scelta personale si immergeranno nel buio della disperazione per trasformare in parole il silenzio degli emarginati e poi perché no, magari imparare qualcosa. «Quest?anno c?è stato il boom degli aspiranti educatori sociali: 1300», aggiunge il professor Demetrio che sul tema dell?importanza della narrazione e dell?autobiografia del disagio ha scritto vari testi, l?ultimo si intitola L?educatore Auto(bio)grafo, il metodo delle storie di vita nelle relazioni d?aiuto (ed. Unicopli). «Ma non vogliamo creare dei sociologi che perseguono l?obbiettività, quanto costruire una classe di educatori che sappiano valorizzare la soggettività delle persone in difficoltà che però serva al cambiamento di tutti i protagonisti. Alla fine del corso è successo che chi ha raccontato la storia ha ritrovato il senso alla propria vita perso con il tempo, le difficoltà, la solitudine e chi ha riscritto la storia ha imparato molto anche su stesso, la società e il mondo presente». Ecco gli scrittori sociali Quest?anno gli studenti e gli insegnanti del corso si avvarranno della consulenza degli operatori sociali della Casa di riposo di Garbagnate, le associazioni Cena dell?amicizia e Arcobaleno, la Caritas. Nel mese di dicembre ci sarà un ciclo di lezioni teoriche e di preparazione alla raccolta delle storie durante le quali studenti e persone interessate potranno scegliere i propri narratori con interventi di operatori che lavorano con i senza dimora, immigrati, anziani e prostitute (per informazioni 02/64486803-13) ma per tutti valga ciò ha scritto una studentessa alla fine del corso: «Ci sono cose che non si possono scrivere, ma si possono raccontare con lo sguardo i gesti, la tonalità della voce, i silenzi o una fotografia. Cose che si possono ascoltare e custodire, che rendono più ricca la vita di chi ascolta e soprattutto quella di chi raccontandola le rivive». Nel borgo mediovale la scuola dell?autobiografia Per imparare la tecnica della memoria e del ricordo, c?è una scuola, nell?antico borgo medioevale di Anghiari, nell?Alta Valle del Tevere: La Libera Università dell?Autobiografia (http://utenti.tripod.it/unianghi/index.htlm), fondata dal giornalista Saverio Tutino. Si tratta di un?associazione culturale che offre corsi di formazione per aspiranti (auto)biografi. Un centro di formazione professionale che vuole diventare un centro di raccolta, studio e conservazione di storie individuali. Nel comitato scientifico ci sono nomi prestigiosi, come la sociologa Laura Balbo, ministra per le Pari Opportunità, Silvia Vegetti Finzi e Aldo Carotenuti, entrambi psicoanalisti. A Libera si possono iscrivere tutti: giovani e anziani, italiani e stranieri. Indipendentemente dall?età e dai titoli di studio. L?unico obbligo è desiderare di conservare la memoria di una società e di un?epoca attraverso le storie delle persone. Insomma, come diceva Francesco De Gregori nella sua famosissima canzone: la storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Per promuovere l?autobiografia con finalità sociali, educative, culturali e terapeutiche Libera promuove corso, incontri, convegni e seminari. Ecco le scadenze più interessanti: Dal 14 al 16 gennaio del 2000: Io, io, io e qualche volta gli altri. Studio di etti autobiografici degli attori. tecniche di realizzazione di storie autentiche, a cura di Emilio Pozzi. Dal 10 al 12 marzo del 2000: Ogni vita è un romanzo. Come raccontare la propria storia di vita, a cura di Lavinia Oddi Baglioni. Dal 12 al 14 maggio del 2000: la narrazione autobiografica nel corso della vita quotidiana. Cosa significa narrarre il metodo degli story-budget, a cura di Paolo Jedlowski. 12-13 maggio, convegno nazionale: Memoria e oblio nell?incontro fra culture, con Saverio Tutino e Demetrio Duccio. Le iscrizioni chiudono 15 giorni prima di ogni seminario. Costo: 300mila lire. Per informazioni: Renato Livigni tel/.fax 0575. 788847.


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