Welfare

Vivere con uno sconosciuto? Nessun problema: è come gestire un Airbnb

Quella dell'insegnante di matematica milanese Annalisa Verna e di Mamadou è una delle esperienze di accoglienza in famiglia che verranno presentate il primo dicembre al Mudec all’evento “Io apro la mia porta. Fra noi in famiglia: storie di integrazione” promosso da Consorzio Farsi Prossimo e VITA

di Sara De Carli

Annalisa non aveva detto niente a suo figlio Tullio, di 18 anni, né lui aveva avvisato lei. Si sono ritrovati uno accanto all’altro alla Marcia degli Scalzi, una delle prime occasioni in cui a Milano risuonò lo slogan “Welcome Refugees”. Era il settembre 2015. «Mentre rimettevamo le scarpe, Tullio mi disse: “E adesso?”. Avvertivamo l’esigenza di concretezza. Dopo poche settimane, il Comune di Milano fece la proposta di accoglienza in famiglia, abbiamo aderito ed è arrivato Mamadou». Annalisa Verna insegna matematica in una scuola superiore di Milano, uno dei suoi due figli all’epoca aveva appena iniziato l’università in un’altra città e in casa c’era una stanza libera.

Mamadou è rimasto con loro da aprile a ottobre 2016: aveva 19 anni ed era arrivato in Italia su un barcone, solo e minorenne. Orfano di madre fin da piccolo, alla morte del padre aveva lasciato il Senegal con un progetto migratorio molto chiaro. «Una delle prime sere gli chiesi com’era arrivato. Si è aperto un dolore enorme, che io non ero in grado di accogliere. Da quel momento la Libia è comparsa solo sporadicamente, dinanzi alle difficoltà, un po’ come battuta: “Ah ma io ho fatto la Libia…”».

Con Mamadou, racconta Annalisa, non c’è stato «alcun problema, mai». Aveva una borsa lavoro come magazziniere e si alzava ogni mattina alle 5: gli hanno dato una chance e lui ha dimostrato di meritarsela, tanto che oggi lavora ancora nello stesso posto ma con un contratto a tempo indeterminato. «In tanti mi chiedevano se non avevo paura. Che domanda è? Migliaia di famiglie a Milano affittano una stanza su Airbnb e non considerano pericoloso lo sconosciuto che gli entra in casa, a loro nessun giornalista chiede, come è successo a me, se la prima notte sono riuscita a dormire. Mamadou era l’ospite più referenziato del mondo, io mi sentivo in una botte di ferro», racconta la professoressa. Il suo timore piuttosto era quello di ritrovarsi «alle prese con un ragazzino da accudire, sommersa da richieste di affetto».

Invece Mamadou «aveva un bagaglio di esperienze che lo rendevano più adulto di me, tant’è che lui e mio figlio, pur volendosi molto bene, raramente sono usciti insieme. Lui voleva solo essere aiutato a costruirsi la sua vita». Oggi Mamadou vive in un piccolissimo appartamento, insieme a un amico: «C’è voluto più di un anno, chiamavo io e la casa era disponibile, quando lui si presentava la casa non c’era più», ricorda Annalisa. La domenica pranzano sempre insieme: «Sono il suo punto di riferimento e lo considero il mio figlio africano: ma il legame affettivo non è né dovuto né deve essere atteso». Annalisa presto riaprirà la porta di casa a un altro rifugiato: «Sento di doverlo fare per il momento storico in cui viviamo». Accogliere Mamadou — ammette — «mi ha cambiata, la sua presenza dentro casa mi ha costretta a fare i conti con la mia reale capacità di accogliere una persona diversa da me. Per mio figlio invece è stato un bagno di umiltà, perché Mamadou nonostante quel che ha passato è riconoscente alla vita. Tullio ha iniziato a lavare i piatti, perché Mamadou lo faceva», sorride.

Durante l’accoglienza, a fine luglio, Annalisa incontra sull’autobus una conoscente in partenza per un mese di vacanza: «Sono un po’ preoccupata per la casa, sai, con tutti questi extracomunitari in giro…». «Io ho risolto, lascio casa a Mamadou», risponde Annalisa e le racconta dell’accoglienza. Alla fine l’altra le chiede: «Lui potrebbe dare un’occhiata anche a casa mia?». Annalisa ride: «Siamo salite sull’autobus che l'extracomunitario era il problema e dopo cinque fermate era diventato la soluzione».

Nella foto di copertina Mamadou e due suoi amici nella cucina di Annalisa


Io apro la mia porta. Fra noi in famiglia: storie di integrazione”. È l'evento che Consorzio Farsi Prossimo e VITA organizzano il prossimo 1 dicembre al MUDEC di Milano, in collaborazione con Fondazione AVSI, Caritas Ambrosiana, Comune di Milano, Famiglie per l'Accoglienza, Mondo di Comunità e Famiglia, SPRAR e con il sostegno di Intesa Sanpaolo. L'evento si inquadra nel progetto FAMI "Fra Noi. Rete nazionale di accoglienza diffusa per un'autonomia possibile" co-finanziato dall'Unione Europea e dal Ministero dell'Interno.

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