Vivere alla grande. Un film contro l’azzardo legale
L’Italia è sotto attacco. L’invasore è il gioco d’azzardo legalizzato, una macchina perfetta che lavora a più livelli. Su questi livelli lavora - ma per decostruirli - il ventisettenne regista Fabio Leli che ha iniziato un film documentario, "Vivere alla grande", lanciando una raccolta fondi dal basso. Un modo per dire di no, con intelligenza, senza compromessi
C'è chi ha preso a chiamarlo "mercato legale dell'alea", perché evidentemente "gioco lecito" non regge più la parte. C'è chi divide legale e illegale al solo scopo di orientare l'attenzione verso l'illegalità, nascondendo sotto il tappeto tutto il resto, come se la legalità – nel caso dell'azzardo legale, legalmente autorizzato e dato in concessione a privati dallo Stato – non fosse già in sé un problema. È quanto successe negli Stati Uniti quando, col proliferare dell'azzardo tramite macchinette, le lobbies scelsero di adottare una precisa strategia linguistica: il termine gambling (azzardo) fu allora usato solo per definire attività illegali di gioco d'azzardo o complementari al gioco d'azzardo. Per tutto il resto, si promosse l'uso della parola gaming, più neutra e pulita.
A riflettere sulla questione dell'azzardo legale e sulle sue mille sfumature – anche linguistiche – tutte tendenti al nero, arriva un film documentario.
O meglio, un progetto "in corso d'opera", che punta a trovare i finanziamenti per arrivare alla meta grazie a una raccolta fondi. Servono 7.000 euro per la produzione che coprirà le spese materiali del progetto. Per ora ne sono stati raccolti 4000, ma siamo allo sprint finale, ovvero agli ultimi diciotto giorni di crowdfunding. Da qui (►https://www.produzionidalbasso.com/pdb_3927.html) potete leggere il progetto o dare il vostro contributo.
«L'Italia è sotto attacco», afferma il giovane regista, Fabio Leli, che con abbiamo incontrato. Ventisette anni, con Luca Desiderato (direttore della fotografia) e Carmen Cafarella (che si occupa dei contatti stampa) ha messo in piedi un piccolo cantiere di studio e lavoro per raccontare l'illusione che sta attaccando il tessuto vivo della società italiana. Quell'illusione che qualcuno si vergogna persino di chiamare per nome: azzardo. Un azzardo totale, invasivo, pervasivo. Morboso persino. Ma Leli ha le idee chiare in proposito.
Che cosa ti ha mosso in questo lavoro? Non credo sia stato semplice realizzarla o anche solo iniziare…
Personalmente mi ha mosso una certa sensibilità sociale che sento mia ormai da tanti anni. Cercare di osservare la realtà, interpretarla e poi raccontarla dal proprio punto di vista, per comunicare uno spunto di riflessione nel pubblico, credo sia l'arma migliore che possiede l'arte in senso lato. E' stato molto difficile, e lo è ancora, realizzare questo progetto. E' servito tanto lavoro e tanto spirito di sacrificio per realizzare quello che io e la mia squadra abbiamo realizzato e stiamo cercando di concludere in un oceano di difficoltà sia gestionali, ma soprattutto economiche. Dato che un vero e proprio budget non c'è mai stato, ci stiamo affidando al crowdfunding (una raccolta fondi sul web) e alla sensibilità della comunità, per reperire le risorse finanziare necessarie a terminare il film.
Tre anni di ricerche: un tempo molto lungo, oggi tutti vogliono fare "presto" e "bene". ma le due cose non vanno di pari passo… Ci racconti come hai lavorato in questi tre anni?
Personalmente credo sia raro e difficile far bene e farlo presto. Ma questo è purtroppo il diktat dei prodotti mediatici di massa contemporanei (perché chiamarli artistici sarebbe un offesa). Nei primi 3 anni c'è stato esclusivamente un mio lavoro di ricerca personale. Possediamo un archivio vastissimo di materiale audio/video e una raccolta di articoli, libri e trattati sul tema del gioco d'azzardo legalizzato. Ho partecipato a incontri, convegni e conferenze ma soprattutto ho osservato con attenzione la gente "della strada" e quanto stesse modificando i propri comportamenti in funzione dell'azzardo. Un osservazione per me irrinunciabile che poi è stata la vera spinta per realizzare ciò che adesso è Vivere alla Grande – Il Film.
Come vi siete mossi per finanziamenti e promozione, ci spieghi meglio?
I finanziamenti non ci sono mai stati. Il film, in attesa di una speranzosa lieta fine della raccolta fondi sul web, è completamente autoprodotto. Sia il sottoscritto che il resto della squadra non hanno percepito nulla per il proprio lavoro, neanche un rimborso spesa. Abbiamo partecipato ad alcuni finanziamenti pubblici, ma probabilmente quando attacchi i poteri forti, il finanziamento pubblico diventa un miraggio irraggiungibile. Al momento confidiamo nel raggiungimento della quota che cerchiamo con la campagna di crowdfunding su Produzioni Dal Basso, o su qualche investimento di privati.
Fabio Fazio quando pubblicizzava il lotto
Lavorando sulle immagini ti sarai certamente accorto che l'azzardo è diventato un mezzo che, attraverso i suoi segni, pervade anche un campo che con l'azzardo nulla ha a che vedere, almeno direttamente. Penso alle banche che, per pubblicizzare mutui, usano immagini di slot machines o si servono di verbi come "vincere", "scommettere", etc.
Credo sia difficile ormai fermare questo andazzo. Ma credo che possiamo stimolare consapevolezza nella comunità. Aspettarsi un freno all’azzardo da parte delle istituzioni, credo sia come aspettare Godot. Possiamo invece entrare nella testa della gente, e farla ragionare, farla svegliare da un torpore socio-culturale che ormai dura da un ventennio. Siamo fermi, immobili. L’Italia è un paese in letargo che ha bisogno di una scossa. E’ stato fatto un lavoro certosino sulla massa, indirizzandola a non pensare più per conto proprio, ma affidandosi sempre a qualcun altro. E in mancanza di lavoro e con una crisi che attanaglia tutti, affidarsi alla speranza di risolvere la propria vita con una facile grattata di biglietto, è un business che sta facendo arricchire i più ricchi e impoverire i più poveri. Serve una sveglia socio-culturale, credo sia questa l’unica soluzione.
Oggi, la sensibilizzazione rispetto al gioco d'azzardo di massa sembra necessiti – questa la mia opinione – di un salto di livello, culturale e non compromissorio. Eppure, non può che muovere da un sentimento intimo, un'empatia rispetto al problema. Un problema che è umano, sociale, ben prima che tecnico o clinico. Tu che cosa ne pensi?
Mi ricollego alla risposta che ho dato prima. Il problema è sicuramente prima umano, che tecnico o clinico. Una psicologa del Sert, in un intervista per il documentario, mi disse che i suoi pazienti malati di gioco d’azzardo patologico erano “pieni di mancanze”. Credo che questa frase spieghi molto.
"Parlare di gioco d'azzardo nel 2014 potrebbe sembrare di moda…" Così si legge sul sito di Vivere alla grande. Mi permetto di aggiungere: potrebbe essere un bell'alibi per cercare soldi. E questo è stato fatto – parer mio – soprattutto da associazioni e campagne che in assoluta malafede si sono fatte schermo del "giocatore" come alibi non per affrontare un problema, per sensibilizzare, per lavorare nel concreto, ma per mercanteggiare soldi da Stato o privati. Questo è l'aspetto – ammettiamolo, ora – più umiliante, in questo 2014. Mia opinione è che il problema non sia un astratto giocatore, ma l'uomo, in quanto tale, la sua crisi di legame, la sua crisi in un mondo di mezzi senza fini di cui l'azzardo anche per i "Buoni" diventa un acceleratore per raggiungere quel denaro che, come dice Papa Francesco, "insterilisce il cuore"… Tu che ne pensi? Il vostro, per questo te lo chiedo, non mi pare affatto un progetto "alla moda". Tutt'altro. Oggi, insistere, quando tanti gettano la spugna o più semplicemente gettano la maschera è un gesto in sé lodevole… Tu come la vedi?
Sicuramente oggi, rispetto a quando ho iniziato ad affrontare questo tema quattro anni fa, sono stati scritti molti più libri sull’argomento, che leggi per fermare il dilagare di questa piaga sociale. Il concetto di solidarietà credo stia morendo, soprattutto nelle sfere decisionali della società. La solidarietà ormai esiste solo se c’è un ricambio di favori. E’ raro che le persone si aiutino senza un ritorno economico o di altra natura. Noi, se vuoi, siamo l’eccezione in tutto questo. Perché le associazioni che tu citi, per ricevere i finanziamenti pubblici, hanno dovuto mollare la presa ed essere un cane al guinzaglio. Noi il guinzaglio non abbiamo mai accettato di metterlo, e questo film verrà fatto proprio per un atto di solidarietà nei confronti di chi si è giocato la vita, su invito dello Stato.
@oilforbook
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