Politica

Vittorio Sgarbi e le capre disabili

di Franco Bomprezzi

Non volevo scriverne, davvero. Ma alla fine penso che sia giusto rendere conto ai miei affezionati (?) lettori di FrancaMente di una intervista elettorale a Vittorio Sgarbi, personaggio che non necessita di particolari presentazioni, questa volta nei panni di candidato per i Verdi (sic!) a sindaco di Urbino. L’intervista è stata pubblicata, assieme a quelle con gli altri candidati, su “Il Ducato online”, ossia il giornale dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, e i virgolettati abbondano, come è giusto quando si vuol riportare fedelmente il pensiero dell’intervistato. Il punto in questione è il giudizio del Grande Critico rispetto alla proposta urbanistica che sembra affascinare i cittadini di Urbino, ossia la realizzazione di scale mobili e di ascensori gratuiti per rendere accessibile il centro storico, attualmente impraticabile non solo per chi si muove in sedia a rotelle, ma anche per chiunque faccia fatica a inerpicarsi nel cuore di una città splendida quanto sicuramente preziosa e delicata. Questa mia lunga premessa per cercare di essere sereno e obiettivo, e non pregiudizialmente pronto a insultare con un ripetuto “Capra! Capra! Capra!” il nostro showman dell’arte e della politica.

Anche io, lo dico sinceramente, sono preoccupato quando leggo di progetti avveniristici che possono compromettere in modo definitivo l’estetica e la storia delle nostre città d’arte. Non sono un troglodita, non mi piacciono gli sventramenti e gli scempi in nome del progresso o dell’archistar di turno. Ho combattuto – qualcuno lo ricorderà forse – di fronte all’obbrobrio del ponte di Calatrava a Venezia (e contro gli errori clamorosi nella ricerca di rimediare alla sua evidente inaccessibilità). Ma sono anche rimasto ammirato – ad esempio – dalla splendida soluzione trovata per arrivare al forte di Bard, con ascensori trasparenti che consentono a tutti di raggiungere questo gioiello all’ingresso della Valle d’Aosta.

Ed eccoci alle frasi inquietanti di Vittorio Sgarbi. “Guai a nominare scale mobili o ascensori – scrive Maria Gabriella Lanza – davanti al candidato dei Verdi: “Mi fa schifo solo la parola. Una città civile non ha né ascensori né scale mobili. Solo quelle abitate da nani, zoppi e handicappati hanno le scale mobili. Se le devono mettere nel culo”“.

Nani, zoppi e handicappati. Proprio così. Greve, insultante, direi pure razzista (nel senso della razza pura, ariana). Incredibilmente privo di qualsiasi freno inibitorio, ma questa non è la novità. Potrei spiegargli che le scale mobili non sono esattamente il nostro problema, di persone con disabilità motoria, ma sarebbe inutile. Potrei riferirgli alcuni dei commenti crudeli arrivati da ieri sera nella mia pagina facebook . Ma preferisco concentrarmi su di una riflessione ancor più preoccupata. Eccola. Secondo me ciò che ha urlato sgangheratamente Sgarbi è condiviso, in modo soft e silenziosamente, da larga parte del mondo di critici d’arte, di cultori del passato, di sovrintendenti, di esperti, di urbanisti, di architetti più o meno famosi. Lo stigma e il pregiudizio nei confronti di soluzioni capaci di rispondere alle esigenze di una utenza universale, in nome della salvaguardia elitaria  e aristocratica della bellezza sono sicuramente assai più diffusi di quanto possa apparire, e sono la premessa, il sottofondo culturale, che consente a Sgarbi di infierire, di maramaldeggiare impunito. Adesso probabilmente qualcuno protesterà, e in modo sottilmente ipocrita si dirà che Sgarbi è una capra ignorante. Ma poi tutto continuerà come prima e le nostre città, in pianura come in collina o in montagna, resteranno fruibili appieno solo dalla minoranza atletica e performante che domina la nostra società postmoderna.

La verità amara è che vince il pensiero di Sgarbi. Oddio: pensiero, mi rendo conto, è una parola grossa.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.