Welfare

Vittorio Pelligra: non esistono lavori senza senso

Un modello manageriale e organizzativo strutturato sulla fiducia e non sul controllo riduce le inefficienze, stimola la crescita e l'innovazione. «Applicarlo a ogni lavoro, non solo a quelli "creativi" o "smart", è la vera sfida per ripartire assieme», spiega l'economista dell'università di Cagliari

di Redazione

Un'indagine condotta da Andrew Bryce dell'Università di Sheffield su oltre centocinquantamila lavoratori americani e inglesi ha rivelato l'importanza degli elementi non strettamente monetari o legati alla retribuzione nel determinare il benessere dei lavoratori. Lavoratori che, spiega Vittorio Pelligra, docente di politica economica all'Università di Cagliari, esperto di economia comportamentale ed experimental economics, «sempre più chiedono un investimento sul senso». Con quali conseguenze su management, modelli organizzativi e riduzione delle inefficienze? Lo abbiamo chiesto al professore che da alcuni anni sta studiando i risvolti economici e sociali di questa concezione organizzativa del wellbeing.

La questione del senso del lavoro è riemersa, prepotentemente, in questi mesi. Come lo spiega?
Lo shock antropologico, innescato dalla tragedia della pandemia, ha costretto tutti a interrogarsi sulla natura del lavoro. Sia perché, per molti, il lavoro si è bloccato, sia perché, per altri, si è trasformato in maniera rapida e improvvisa.

Sta di fatto che questa situazione è diventata un'occasione per riflettere sull'utilità di alcuni lavori e sulla disutilità di altri…
I dati di alcune indagini internazionali mostrano che non tutti i lavori sono percepiti come dotati di un senso. Alcuni lavori sono ritenuti useless dai lavoratori stessi. Questo apre di fatto uno spazio enorme per la riflessione, anche perché parliamo di una percentuale di persone che, a livello internazionale, si aggira attorno al 17-20% di lavoratori. Se il nostro sistema propone delle occupazioni che generano ricchezza ma distruggono senso, il problema va ben oltre la crisi economica e va affrontato con radicalità.

Come intervenire?
Partiamo da una constatazione apparentemente scontata: in questo periodo abbiamo fatto un'esperienza comune di ripensamento sia del senso complessivo delle nostre vite, sia del lavoro. Più o meno empiricamente abbiamo capito cosa va e cosa non va, ma la mia idea è che il lavoro vada ripensato a fondo, non tramite aggiustamenti parziali. Va ripensato a fondo affinché diventi sempre più generatore di senso sia per i singoli, che per le organizzazioni. Sia, di conseguenza, per l'intera società. Ogni lavoro, ancorché faticoso, è infatti capace di produrre benessere e questo benessere è tanto maggiore quanto maggiore è il senso che dal lavoro stesso riusciamo a trarre. Gli effetti di questa "generazione di senso" impattano anche sulla produttività e molte organizzazioni se ne stanno accorgendo, proprio in questa fase di smart working forzato.

Quali sono le caratteristiche di un lavoro dotato di senso?
L'autonomia, la fiducia, la crescita costante e l’orientamento sociale.

Partiamo dalla fiducia…
Si deve ristabilire un rapporto di fiducia tra lavoratore e organizzazione. Ma per farlo bisogna attivare un percorso contrario rispetto a quello del management improntato essenzialmente sul controllo. La pandemia ha mostrato i limiti…

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