«Rivoluzionari della sicurezza umana, passionari della giustizia». Secondo i titoli di prima pagina di alcuni giornali latinoamericani, andrebbero definiti così i parenti delle vittime del terrorismo moderno. Mentre aumentano le vittime di un atto terroristico e i sequestrati dai ribelli, aumentano ancor di più i sopravvissuti organizzati, le associazioni di familiari dei morti e dei sequestrati. Fanno sempre più opinione. Quest?anno hanno tenuto il loro secondo congresso mondiale a Bogotà. C?erano i familiari delle vittime delle bombe all?Hotel Marriot di Jakarta, i genitori dei bambini di Beslan, i parenti delle centinaia di vittime dell?Ira, l?esercito terrorista irlandese, a fianco alle famiglie dei morti a New York l?11 settembre 2001, con le vittime di Sendero Luminoso del Perù, la famiglia di Ingrid Betancourt, sequestrata da tre anni e mezzo, con i parenti di tutti gli altri sequestrati dalle Farc, i terroristi colombiani.
Ma perché li chiamano rivoluzionari o passionari? Perché non sono dei sempliciotti: non si accontentano di denunciare l?efferatezza del terrorismo, non chiedono solo la liberazione dei sequestrati; ce l?hanno anche con tanti governi e politiche anti terrorismo. Criticano perché i governi non reagiscono alla violenza terrorista? No, protestano perché non si fa abbastanza prevenzione, perché non si fanno scambi umanitari, perché non si vuole capire la natura violenta di certi gruppi fin dal loro nascere, perché non si vogliono avviare presto negoziati di pace che potrebbero fermare la crescita dei gruppi armati che poi diventano più radicali, più disperati, più terroristi. I rappresentanti dei familiari delle vittime del terrorismo hanno parlato chiaro: «Non siamo affatto contro la mano dura, siamo contro la mano dura senza usare il cervello…».
In fondo ai parenti delle vittime che la mano dura sia o no giusta interessa poco. Sono invece molto arrabbiati per i casi in cui si è visto che non funziona. Chiedono ai governi di non farsi terrorizzare dai terroristi. Chiedono loro di ragionare di più per salvare più vittime potenziali nel futuro.
Sandro Calvani è dirigente delle Nazioni Unite.
Quanto qui espresso non rappresenta necessariamente l?opinione delle Nazioni Unite
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