Politica

Vittadini: «La sfida della sussidiarietà in questo cambio d’epoca»

«Senza i corpi intermedi, oggi messi da tanti in discussione», spiega il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, «saremmo un Paese ancora più spaccato di quello che è». Ecco perché, racconta in questa intervista, dobbiamo ripartire da un bagno di realismo. E nel sociale la sfida è cambiare la mentalità

di Marco Dotti

Che ne sarà del Terzo settore? Che cosa accadrà ai corpi intermedi? Come si ridisegnerà, fra pubblico e privato, il profilo del welfare? Sono domande ricorrenti, dopo le elezioni del 4 marzo. Abbiamo posto queste domande a Giorgio Vittadini, fondatore e presidente delle Fondazione per la Sussidiarietà.

Dopo il diluvio

ll voto del 4 marzo ci ha restituito la fotografia di un Paese diviso, non solo sul piano elettorale, ma forse anche su quello sociale. Da dove possiamo ripartire?
Non possiamo che ripartire da un progetto sussidiario, senza del quale nessun obiettivo di interesse pubblico potrà essere raggiunto. Per progetto sussidiario intendo quello che tende a valorizzare l'iniziativa "dal basso" delle realtà sociali che perseguono interesse pubblico.
La crisi economica rende primaria, ad esempio sul piano del welfare, la collaborazione tra queste realtà e quello che ho chiamato “sussiStato” che non ha più risorse da sprecare. Ma la crisi è tale e tanta anche per la rabbia generalizzata e per il crollo della fiducia: soprattutto per questo occorre ripartire dalla rivitalizzazione delle realtà sociali, a sostegno delle persone.

I primi segnali lasciano supporre che la collaborazione tra Stato e realtà sociali potrebbe spezzarsi…
Se accadesse potremo non farcela. La crisi economica porterebbe a un’esplosione delle diseguaglianze e nessun approccio assistenziale potrebbe farvi fronte. L’approccio sussidiario ai problemi è diventato drammaticamente necessario.

Il reddito di cittadinanza e i corpi intermedi

Questo vale anche per il reddito di cittadinanza?
Prendiamo un dato di realtà. Quando venne introdotta la social card il ragionamento fu: saltiamo i corpi intermedi, diamo i soldi direttamente ai poveri e alle persone in condizione di disagio. Che cosa è successo? È successo che pochissimi hanno richiesto la social card, perché chi aveva bisogno non è riuscito a superare il gap del rapporto con lo Stato: non ha ricevuto l'informazione e non ha saputo come farne richiesta. Siccome è chiaro che il reddito di cittadinanza non potrà essere un semplice trasferimento di soldi, perché soldi non ce ne sono, dovrà essere agganciato inevitabilmente a comportamenti virtuosi: ritorno al lavoro, formazione professionale. Per agganciarlo a questi comportamenti virtuosi ci sarà inevitabilmente bisogno di soggetti intermedi attraverso cui le persone singole, le persone disagiate, entrano in rapporto. Che siano i sindacati, che sia l’associazionismo, che sia il welfare del Terzo settore: comunque vada, non si può fare questo intervento in termini realistici, di sostegno alla povertà, senza qualcuno che materialmente incontri chi ne ha bisogno. Senza contare che poi servono le imprese che assumono. Se reddito di cittadinanza significa aiuto alle persone disagiate, il reddito di cittadinanza deve essere fatto attraverso corpi intermedi che incentivano all’azione. Altrimenti sarà assistenzialismo totale.

I corpi intermedi oggi vengono sempre più visti come strutture secondarie, questo è un altro grande problema.
C’è un esempio storico importante che può aiutare a capire: il welfare dei democratici americani degli anni Sessanta (Kennedy, Johnson). Seguirono un pensiero sociologico che proponeva l'erogazione diretta di sussidi saltando qualunque appartenenza. I sussidi non portarono a una diminuzione della precarietà, attirando per giunta nelle grandi città altri precari con conseguente disgregazione delle famiglie, delle reti affettive e di relazione, creando nuovi problemi di lavoro e di welfare. In seguito, gli stessi sociologi americani abbandonarono questo tipo di approccio, tornando a interventi di politica sociale realizzato attraverso soggetti sociali. Se non capiamo questa lezione e trattiamo i soggetti sociali, ovvero i corpi intermedi, come meri orpelli non solo aumenteremo il precariato, anziché diminuirlo, ma siccome sarà impossibile erogare questi servizi nell’entità in cui verranno richiesti provocheremo un malcontento e una nuova rivolta. Un corpo intermedio è un fattore fondamentale e non va visto come una mediazione clientelare. È un fattore essenziale di sviluppo della società.

… se la pancia è vuota bisogna attivare la testa per capire come non soccombere. Mai come in questo momento si capisce quanto fosse cruciale la preoccupazione che don Giussani esprimeva a fine anni Ottanta: che i corpi intermedi, partiti, sindacati, associazioni, aggregazioni umane di qualunque tipo continuassero a fare incontrare le persone, a farle confrontare, a permettere loro di conoscere, di approfondire, di porsi domande

Giorgio Vittadini

La solitudine alla base del rancore

Lei ha recentemente parlato di un voto orientato dalla solitudine: è un altro sintomo di quella riduzione individualistica che ha posto i corpi intermedi in secondo piano?
L’uomo da solo, penso ad esempio a chi sfoga il suo malcontento sul web, è un uomo fondamentalmente impaurito. È impaurito perché nel momento in cui è malato, disoccupato, ha problemi familiari o sta perdendo il lavoro, non sa a chi rivolgersi. Non sa dove andare, non sa quale strada imboccare per uscire dalla sua situazione.

L'Italia deve ai suoi corpi intermedi il fatto di non essere diventato come l’America, ossia un Paese con disuguaglianze enormi (oltretutto senza avere il dinamismo imprenditoriale americano). Senza i corpi intermedi, oggi messi da tanti in discussione, saremmo un Paese ancora più spaccato di quello che è.

Il termine “rancore” è diventato un leitmotiv degli analisti. Ovviamente c’è rancore sociale, e ce n’è molto. Ma dietro il rancore c’è un disagio e dietro il disagio?
La solitudine, l’isolamento, la desertificazione dei rapporti e dei legami. Dialogando si può lavorare assieme per trovare soluzioni migliori, ma se uno è da solo diventa atomo in una massa, diventa punto indifferente in una folla. Diventa qualcosa che cerca una soluzione, là dove non c’è una soluzione. E trova liberatori, quando questi sono parte del problema e non parte della soluzione.

La sussidiarietà educativa

C’è chi, a proposito di questo, ha sottolineato un’irrilevanza delle questioni cattoliche nel dibattito elettorale e post-elettorale…
Io penso che "questioni cattoliche" lo siano tutte. A partire dal lavoro. Poi, su questioni come il rispetto per la vita e la dignità di tutti, non penso che appellarsi a delle leggi possa portare lontano. Ancora una volta, ciò che serve è ricostruire "dal basso" una mentalità, attraverso testimonianze di vita diverse, in cui domini l'amore per la vita. Una legge non può impedire che si affermi una mentalità. E poi, comunque, una legge utile può essere fatta solo con intelligenza e trovando situazioni di compromesso.

Che rischio corriamo?
Corriamo il rischio di essere sempre più spaccati. Questo rischio impone di pensare un partenariato pubblico-privato. I corpi intermedi, oggi, hanno una grande responsabilità. Una responsabilità educativa: i corpi intermedi, infatti, hanno come scopo primario quello di educare la persona alla responsabilità, oltre che alla solidarietà. Per questo ho parlato di una sussidiarietà educativa. Se parto domani a ricostruire, avrò un giorno in meno. Se parto oggi, sono avvantaggiato. Poi ci vorranno anni, ma devo ricostruire subito dei luoghi dove la gente possa vivere bene. Non è che questi luoghi non ci siano, ma bisogna moltiplicarli.

Prendiamo ad esempio l’esperienza di Portofranco a Milano, un doposcuola in cui degli insegnanti aiutano i ragazzi a studiare gratuitamente. Vi partecipano studenti di diverse etnie. Il problema è l’immigrazione? Ebbene, a Portofranco il problema dell’immigrazione non dico sia risolto, ma è affrontato dandogli il giusto valore. Questa esperienza stempera anche le violenze, perché si vede senza retorica come l’immigrazione può essere una risorsa. Lo si vede in azione e, vedendolo in azione, lo si capisce.

Non serve moltiplicare le leggi. Bisogna permettere a realtà come questa di espandersi, di moltiplicarsi nei fatti. Servono fatti di vita nuova subito. Fatti di rivitalizzazione dei corpi intermedi subito. Questo può essere liberante subito per molti. E poi serve realismo. Il Terzo settore e i corpi intermedi devono essere la chiave per questo bagno di realtà, contro le facili ma irrealizzabili promesse. La realtà è il nostro punto di osservazione. La realtà che corrisponde al cuore e aiuti l’uomo a diventar felice.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.