Politica
Vittadini: “La politica dei divi è finita. Milano segna la via”
L'astensionismo è la conseguenza di chi, in questi vent'anni, ha lavorato per gettare discredito sui corpi intermedi, usando il divismo politico come surrogato e "collante". Lo spiega Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che avverte: "Il collante non tiene più e se si riparte dal modello di Milano, dove quei corpi hanno reagito, l’Italia va avanti. Ma se si riparte dal disastro di Napoli, l’Italia si spegne"
di Marco Dotti
I numeri parlano chiaro: domenica, un elettore su due ha disertato le urne. A Napoli, dove i media parlano di plebiscito, i votanti sono stati solo il 35,8% degli aventi diritto. Al primo turno, il 5 giugno a Napoli erano il 54,11%. Tutt'altro che un "buon modello". Ma Napoli non è un caso limite. È casomai il segno di un malessere fin troppo diffuso. Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, professore di Statistica all'Università Statale di Milano ha un'idea chiara in merito: la crisi ha radici profonde. Ma il corpo sociale ha probabilmente ancora anticorpi a sua difesa.
Lo schema e il disastro
Professor Vittadini, a bocce ferme, ripartiamo da una lettura complessiva di questi ballottaggi. Che segno ne traiamo?
Innanzitutto è evidente che il partito vincente sia l’astensionismo. Al riguardo non si cita mai tra le cause l’opera di demolizione ventennale da parte di opinionisti, editorialisti e analisti, gli stessi che oggi si preoccupano della disaffezione dei cittadini. Col pretesto di superare la prima Repubblica, hanno strumentalizzato prima Tangentopoli e poi ogni possibile scandalo, buttando via il bambino con l’acqua sporca. Demonizzando la politica tout court, hanno screditato un sistema politico basato su partiti radicati nel territorio e nati da realtà popolari, gettando un’ombra sull’operato dei corpi intermedi. Si sono costruiti castelli di chiacchiere sulla necessità di imitare altri modelli politici basati su divi al comando, sullo scontro mediatico, sul personalismo esasperato e su partiti di plastica ridotti a comitati elettorali. L’esito è sotto gli occhi di tutti. Naturalmente i politici che in questi ultimi venticinque anni hanno accettato e cavalcato questo schema sono altrettanto, se non più colpevoli.
Si sono costruiti castelli di chiacchiere sulla necessità di imitare altri modelli politici basati su divi al comando, sullo scontro mediatico, sul personalismo esasperato e su partiti di plastica ridotti a comitati elettorali. L’esito è sotto gli occhi di tutti
Giorgio Vittadini
Il populismo di Masaniello
Rispetto a tutto questo parlare di antipolitica, la gente ha scatenato una reazione immunitaria…
È una reazione provocata dal clima che ho descritto, ma non è giustificabile. Perché l'astensione è un’astensione da se stessi. È un venir meno da un atteggiamento di responsabilità di fronte alla realtà che rende il nostro Paese simile, ma negli aspetti più deteriori, alle “democrazie più avanzate”, dove si vota poco. In America infatti dove si reca alle urne una percentuale bassissima, sono i poveracci a disertare il voto, perché sanno che anche una come Hilary Clinton, anche se vincesse, anche se è democratica, se ne infischierà del popolo. Chi comanda oramai, rappresenta un’élite al potere e del potere, che è diventata quasi una dinastia. Per noi la tradizionale forte partecipazione al voto era segno del fatto che i partiti, pur con tutti i loro difetti, erano “diversi”, legati a degli ideali, personali e collettivi, che le persone sentivano loro. Non possiamo rassegnarci a questo disimpegno perché significa perdere uno dei caratteri migliori del nostro Paese.
Napoli è una città al disastro. Stiamo assistendo alla perdita di coscienza di parte del popolo, che si è fatto imbonire da un uomo diventato famoso, tra l’altro, per inchieste che si sono rivelate farlocche. Un uomo che ha governato malissimo la città e che per salvarsi si è fatto passare come una sorta di Masaniello.
Giorgio Vittadini
Tornando all’Italia – e al popolo – a Napoli, al netto dell’astensionismo, c’è stato quasi un plebiscito per il sindaco uscente De Magistris…
Napoli è una città al disastro. A Napoli è venuta meno la capacità di discernere tra bene e male. Stiamo assistendo alla perdita di coscienza di parte del popolo, che si è fatto imbonire da un uomo diventato famoso, tra l’altro, per inchieste che si sono rivelate farlocche. Un uomo che ha messo sotto inchiesta mezza Italia, salvo poi scoprire che quelle accuse non reggevano. Un uomo che ha governato malissimo la città e che per salvarsi si è fatto passare come una sorta di Masaniello. Credo che i napoletani siano destinati a una delusione totale e spero non al disastro.
Il dato è eclatante anche su Torino. Come leggiamo questa specificità?
Qui ritorniamo al discorso di prima. A Torino è caduta la politica intesa come presenzialismo autoreferenziale. A Torino non si è votato contro Fassino che è stato un ottimo sindaco, ma contro Renzi e il suo divismo che riproduce ormai in molti aspetti il divismo pluri-ventennale di Berlusconi, fatto di promesse non mantenute che ci ha rovinato. Il divo è una modalità introdotta in politica con la rottamazione della prima Repubblica e i talk show televisivi. La gente non ne può più del divismo.
Che cosa vuole allora la gente?
Vuole politici che tornino a rappresentare ideali e interessi del popolo. Inoltre, come ho detto prima, l’idea dell’uomo solo al comando per garantire la governabilità è finita. Vogliamo ridurci come in America, dove si è costretti a votare tra due autentiche sciagure per il mondo, come Trump e la Clinton?
A Torino non si è votato contro Fassino che è stato un ottimo sindaco, ma contro Renzi e il suo divismo che riproduce ormai in molti aspetti il divismo pluri-ventennale di Berlusconi, fatto di promesse non mantenute che ci ha rovinato.
Giorgio Vittadini
Milano: un laboratorio globale
A Milano, invece?
Milano invece insegna qualcosa di diverso. A Milano le due coalizioni hanno parlato della città, nella città, con la città. A Milano abbiamo visto due “leader” che hanno espresso due visioni della città, senza enfasi, senza la pretesa di essere dei demiurghi. Si sono staccati, uno da xenofobi, fascisti e populisti, l’altro dalla sinistra statalista radicale e dallo stesso premier.
…Parla di Renzi?
Certamente, parlo di Renzi. I due candidati di Milano hanno discusso in modo equilibrato della città, di visioni del rapporto periferia-centro, di urbanizzazione, di welfare… Hanno portato contributi importanti anche sul rapporto di collaborazione con le realtà di base, sulla costruzione e sull’amministrazione della città.
A Milano si è visto che chi considera la politica solo schieramento e indicazione di nomi, non collegati a contenuti. Se si riparte dal modello di Milano, l’Italia va avanti. Se si riparte da Napoli, l’Italia si spegne.
Giorgio Vittadini
A Milano i temi del welfare e del sociale sono stati al centro di un vero dibattito, non solo di proclami elettorali…
Si è insistito molto su questo tema, quello delle periferie, quello delle realtà sociali, quello del modello di un Comune che non vuole gestire ma governare. Devo dire che certi media hanno vissuto male tutto questo e hanno paralato di campagna elettorale scialba! Sembra che vogliano il “sangue”, che pretendano il talk show, che preferiscano insulti e aggressività. Noi abbiamo bisogno di smetterla con quelli che hanno urlato per vent’anni con slogan e insulti.
Milano è un punto da cui ripartire?
Sono d’accordo, da qui si riparte. Ripeto, a Milano si è discusso moltissimo su come deve essere la città. Dalle primarie del Pd fino a Parisi, che non è andato alla festa della Lega, si è capito subito che a Milano l’aria era diversa. Anche la dichiarazione di Parisi al suo avversario dopo il ballottaggio: “vogliamo collaborare al lavoro su questa città, non facendo ostruzionismo, ma opposizione”. È una grande dichiarazione, che va in controtendenza rispetto alla sua stessa coalizione. Una dichiarazione che mostra il valore dell’uomo e dà speranza per il futuro. Inoltre, a Milano si è visto che chi considera la politica solo schieramento e indicazione di nomi, non collegati a contenuti, è un uomo del passato e non prende consensi.
Questo lo possiamo dire anche sul Movimento CL?
Io non parlo a nome del Movimento. Io dico che il compito di tutti i corpi intermedi che ragionano è sostenere le persone nel costruire opere, elaborare giudizi, impegnarsi nell’educare i giovani e aiutare i più bisognosi. Se da questo impegno sociale che ha a cuore il bene comune e la responsabilità personale, emergono politici capaci, è un bene per tutti. Sapendo bene che le scelte dipendono da valutazioni personali e che i tempi del Muro sono superati: quindi che nessuno schieramento è l’universo del bene che si batte contro l’impero del male.
Milano è un laboratorio attivo, come abbiamo detto. Ma può esserlo anche per questo?
Milano è distante miliardi di chilometri da Napoli. Miliardi di chilometri da Roma. Ma come in altre città – pensiamo a Rimini, dove un ottimo sindaco è stato eletto al primo colpo, pensiamo a Busto Arsizio dove un uomo della società civile ha vinto al primo colpo – a Milano la gente mostra libertà, capacità di discernere, nessuna vocazione ad essere intruppata. Se si riparte da questo modello, l’Italia va avanti. Se si riparte da Napoli, l’Italia si spegne.
Come bisogna fare affinché questo non accada?
Bisogna che nascano personalità che si dimostrano libere, capaci, costruttive, ricche di ideali e, nello stesso tempo, pragmatiche. Occorre ad esempio che i nuovi sindaci a cinque stelle mostrino la loro capacità di costruire. Per farlo bisogna essere capaci di dialogare, di tenere conto della complessità, non solo di gridare allo scandalo come hanno fatto finora. Serve realismo, ossia la capacità di connettere la posizione ideale di ciascuno, che ha in mente il domani e dopodomani del Paese, con la realtà dei fatti. Solo se la politica riparte da qui abbiamo buone speranze.
L'ospite
Professore ordinario di Statistica Metodologica presso l'Università degli Studi di Milano, direttore scientifico del Consorzio Interuniversitario Scuola per l’Alta Formazione Nova Universitas, Giorgio Vittadini ha dato vita, nel 2002, alla Fondazione per la Sussidiarietà, di cui è presidente. Vittadini è anche tra i fondatori della Fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli (Meeting di Rimini). Ha fondato e presieduto fino al 2003 la Compagnia delle Opere.
Immagine in copertina: OLIVIER MORIN/AFP/Getty Images
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